Maledetto il politically correct, ovvero ode al Natale in via di estinzione
di Nevio Polli
Siamo ai primi giorni di Dicembre e già strade e negozi sono
infestate da terrificanti nenie: sono i famigerati ginglebells, i tediosi
uaitcristmas e le lagnosissime melense canzoncine (rigorosamente in americano)
che ci accompagneranno, ossessivo e fastidioso sottofondo, fino all’Epifania. E
tra un po’ arriverà anche il carico da undici: qua e là, come se non fosse già
sufficiente, appariranno i penosi tristi Babbinatale a scampanare davanti ai negozi.
Siamo proprio diventati dei poveretti (in senso culturale). Un tempo Italiani
ora soltanto Italioti. Che sarebbe (nomen omen) un “intarsio” o “lucchetto”
(non ricordo bene, roba da Settimana Enigmistica n.d.r.) tra le parole Italiani
e idioti. Capirei qualche canzoncina natalizia tipo bambini dello Zecchino
d’Oro, per non dire di un più appropriato coro di voci bianche che riempie
l’aria e il cuore (e forse anche il cervello) con melodie lievi e appropriate,
o anche brani di canti Gregoriani, o Bach o Hendel, Mozart, Vivaldi,
Chaicovskij, Sibelius… una gamma
infinita, magnifica, che sa accompagnare l’incanto di un tempo speciale.
E invece sempre, continuamente, ovunque e purtroppo senza
scampo e senza difese, ‘ste boiate, ‘ste americanate per anime semplici (con
tutto il rispetto per le anime). Perfino Francesco, tra corvi dentro casa,
cardinali-faraoni, soldi che spariscono e conti che non tornano e, soprattutto
(credo), l’approssimarsi di questo genere di pseudo-Natale, se n’è scappato in
Africa ad aprire là, dove i faraoni sono solo imbalsamati e senza uaitcristmas
di accompagnamento, la Porta Santa. Là forse ci credono ancora e comunque sono
sicuramente più vicini di noi al senso vero della Natività. Qua è soltanto
vetrina e vetrine, pacchetti colorati e gingilli, carole americane,
babbipagliaccionatale e minchiate simili. Ma è inevitabile che sia così: da
tempo siamo ormai una colonia e facciamo di tutto per confermarlo. Copiamo,
compriamo e trangugiamo felici e storditi i beveroni. Da tempo non siamo più
noi. Se, come affermò Protagora qualche anno fa, “l’uomo è misura di tutte le
cose”, e anche di se stesso, aggiungo io, allora negli ultimi anni abbiamo
perso almeno 20-25 centimetri, e non è finita qui, anzi: il traguardo “che
bello tutti nanetti tutti uguali” è lì, a un passo e mezzo. Qualche “anima
bella”, e aggiungo “intellettualmente illuminata” (in genere di sinistra),
insiste che i crocifissi devono sparire dalle aule scolastiche, qualche altra
(credo sempre di sinistra, perché bisogna dimostrare di essere aperti,
comprensivi e accoglienti verso i nuovi e diversi da noi) ha deciso che non si
deve fare il presepe nelle scuole e assolutissimamente niente canzoncine e
feste di Natale negli asili. E così facendo non si urtano sensibilità diverse né
si impone ad alcuno di assistere (e magari forse anche conoscere, capire ed
accettare) i nostri riti millenari, le nostre tradizioni. Che buono che sono.
Che apertura mentale cosmica. Che uomo di cultura elevata. Dall’anno prossimo è deciso: elimineremo
dalle scuole anche la scandalosa Divina Commedia e nelle lezioni di Storia
dell’arte si parlerà soltanto di arte astratta e informale, niente immagini e
niente statue: turbano e non sono accoglienti. E allora niente più stupore
davanti al David e alla Resurrezione di Piero a Sansepolcro (che sarà bene che
cambi nome), le madonne e gli angioletti di Raffaello vadano in deposito e
soprattutto, diociliberiescampi, assolutamente niente più crocifissi santi e
madonne. Naturalmente al rogo film come Gesù di Nazareth o il Vangelo secondo
Matteo o (orrore massimo!) The Passion, che a qualcuno non venga in mente di
trasmetterli in tv. Tutto questo per una migliore conoscenza reciproca. Che non
si fa, come qualcuno (vecchio e superato) può pensare, con un presunto arricchimento
basato sullo scambio di conoscenze ed esperienze tra culture diverse, e quindi
sulla comprensione e rispetto reciproci che proprio la miglior conoscenza
dell’altro da noi può dare, ma (e sta qui la mancina pensata geniale) si fa
invece con l’accogliente, lenta, progressiva, irreversibile rinuncia della
propria identità. Per Eraclito detto l’Oscuro, “panta rei”, tutto scorre, ma mi
sa, da noi, nella direzione contraria.
E non è finita: dall’anno prossimo, è deciso, ultimo
doveroso sacrificio: con dolore ma stoica bontà e fiera accoglienza elimineremo
anche ginglebells e uaitcristmas dalle strade e dalle botteghe (sottofondi
musicali che potrebbero essere un richiamo - seppur tristissimo - all’abolito
Natale) e così non offenderemo nessuno, saremo tutti finalmente uguali e, se
non proprio fratelli-fratelli, sicuramente buoni cugini. E soprattutto,
eliminando il Natale, non ci saranno più né odi e né violenze e il terrorismo,
senza più nemici da scannare, troverà la sua pace.
Era semplice, bastava che noi facessimo… qualche passo
indietro… e poi ancora qualche passo indietro…. Le “anime belle” saranno felici
e… pure io. Finalmente niente più ginglebells!
Buona tenebra.
Nevio
Ps. Faccio outing: da sempre preferisco percorrere la riva
sinistra del mio fiume (non questa però, una tutta mia)
Ps II Il titolo Maledetto politically correct è tratto da un
articolo del Sole 24 ore di cui si consiglia la lettura.
1 commento:
Il suo sfogo è diretto al contesto nel quale lei sceglie di vivere. Ognuno è libero di vivere come desidera e lo scempio che descrive pare una caricatura tratta da ben altre realtà, di certo non quelle di Gorizia. A ogni modo, di certo non è la realtà mia e della mia Gorizia. Il suo attacco è un vuoto e noioso lamentarsi, pieno di luoghi comuni; inizi piuttosto a costruire (o ricostruire) la realtà che le manca.
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