domenica 24 marzo 2019

(S) legati: al Verdi di Gorizia. Racconto teatrale di e con Jacopo Bicocchi e Mattia Fabris.

Emozionante esperienza teatrale, due uomini e una corda in scena, una storia vera di alpinismo e sopravvivenza, ma sulle quinte nere del palco scorrono gli orizzonti dell'epica, dell'eroismo che si contrappone al fato, della sfida degli uomini agli dei, e tanto altro ancora.


di Martina Luciani


Diamo in premessa che ai due giovani attori il talento teatrale scorre nelle vene assieme al sangue, così non sto più a dire quanto sono bravi e quanto con la corda di scena ci hanno "legato" alla storia raccontata.
Del resto Jacopo Bicocchi e Mattia Fabris non avrebbero portato in giro per i rifugi di montagna il loro lavoro, zaino in spalla e scarponi ai piedi, se passione e non comune talento non avessero sostenuto l'impervio cammino di questo tipo di teatro.

Andiamo per ordine: due giovani alpinisti inglesi, Joe Simpson e Simon Yates, conquistarono una vetta nelle Ande Peruviane sfidando una folle parete  Ovest. Poi il fato si accanisce contro di loro, con la determinazione con cui gli dei dell'Olimpo perseguitavano i piccoli ( magari astutissimi, ma pur sempre piccoli) eroi umani che avessero osato deporre paure e razionalità e penetrare nelle dimensioni riservate agli esseri divini.

Joe e Simon riescono a risalire la via, lottando allo spasimo. Ai 6.344 metri della vetta ci arrivano, e per un poco stanno tra gli dei, tra gli spiriti possenti della cosmogonia Inca.
Un peccato d'orgoglio? Siula Grande come l'Olimpo?
Non credo gli alpinisti percepiscano così la conquista di una vetta, certo però usano normalmente la parola "conquista", che implica una sottomissione e una sconfitta: quella della roccia apicale, dell' ultimo gradino prima del cielo infinito calpestato dallo scarpone e trafitto dalla picozza.

mercoledì 20 marzo 2019

On. Serena Pellegrino, sindacato ispettivo al CIE di Gradisca, estate del 2013. Solo dopo il termine del mandato della deputata, la Prefettura di Gorizia rivela i suoi fastidi per l'azione politica e istituzionale di Pellegrino.

Il Prefetto di Gorizia ha etichettato come non gradita la persona dell'on. Serena Pellegrino tra i relatori di un convegno che Agende Rosse  voleva organizzare a Monfalcone il 21 marzo, Giornata della legalità, in concomitanza con l'apertura di un presidio del movimento anti mafia nella città dei cantieri. 
Incauta presa di posizione, quella prefettizia, che fa riferimento alle valutazioni  espresse da Pellegrino nel 2013 e 2014 sulle strutture governative di Gradisca d'Isonzo: cioè il CIE e il CARA. 

di Martina Luciani

L' opinione del Prefetto su Serena Pellegrino diventa criterio di scelta e strumento operativo imposto a terzi senza l'esistenza  di uno strumento normativo che lo preveda o di un sistema gerarchico entro cui farlo valere: essa  incide nel campo delle libertà un solco non previsto nel nostro ordinamento, classifica del tutto arbitrariamente ciò che si può e ciò che non si può fare.
Qualcuno ci deve spiegare dove ha origine questo equivoco sul ruolo del rappresentante del Governo, che cosa ha determinato una simile, pericolosa sbandata nell'assetto di marcia dell'apparato istituzionale dello Stato. Com'era ovvio, si è  scatenato il finimondo (qui l'interrogazione al Ministro dell'Interno presentata alla Camera dei Deputati). 
In questa sommaria ricostruzione descrivo come la parlamentare Serena Pellegrino ha esercitato il suo diritto/dovere di ispezione e controllo, intrinseco al suo mandato, risalendo all'estate del 2013, dentro e fuori il cupo muraglione del CIE di Gradisca d'Isonzo.



Il 10 agosto 2013, Serena Pellegrino dichiarò:
"E’ stata una notte indescrivibile quella che ha concluso il Ramadam al Cie di Gradisca d’Isonzo (tra l'8 e il 9 agosto) : i racconti che le persone recluse mi hanno consegnato durante la mia visita alla struttura sono una testimonianza delle modalità inumane con cui è gestito il Centro. E io sento l’obbligo civile e morale di portar fuori da quel recinto ormai simile ad un lager questa ennesima storia di violenza e violazione dei diritti umani. I detenuti, visto il caldo torrido di questo periodo e le condizioni bestiali in cui sono rinchiusi normalmente, hanno chiesto di poter stazionare nelle aree aperte anche al termine del Ramadam. Al diniego senza appello si è aggiunta una reazione inusitata da parte della polizia: le forze dell’ordine in assetto anti sommossa hanno cominciato a lanciare lacrimogeni e ad usare i manganelli. Alcuni dei rinchiusi si sono sentiti male, non riuscivano a respirare; allora i compagni hanno spaccato uno dei vetri che limita le cosiddette vasche, nel tentativo di uscire da quella vera e propria camera a gas; ne è seguita una violenta colluttazione.”