Emozionante esperienza teatrale, due uomini e una corda in scena, una storia vera di alpinismo e sopravvivenza, ma sulle quinte nere del palco scorrono gli orizzonti dell'epica, dell'eroismo che si contrappone al fato, della sfida degli uomini agli dei, e tanto altro ancora.
di Martina Luciani
Diamo in premessa che ai due giovani attori il talento teatrale scorre nelle vene assieme al sangue, così non sto più a dire quanto sono bravi e quanto con la corda di scena ci hanno "legato" alla storia raccontata.
Del resto Jacopo Bicocchi e Mattia Fabris non avrebbero portato in giro per i rifugi di montagna il loro lavoro, zaino in spalla e scarponi ai piedi, se passione e non comune talento non avessero sostenuto l'impervio cammino di questo tipo di teatro.
Andiamo per ordine: due giovani alpinisti inglesi, Joe Simpson e Simon Yates, conquistarono una vetta nelle Ande Peruviane sfidando una folle parete Ovest. Poi il fato si accanisce contro di loro, con la determinazione con cui gli dei dell'Olimpo perseguitavano i piccoli ( magari astutissimi, ma pur sempre piccoli) eroi umani che avessero osato deporre paure e razionalità e penetrare nelle dimensioni riservate agli esseri divini.
Joe e Simon riescono a risalire la via, lottando allo spasimo. Ai 6.344 metri della vetta ci arrivano, e per un poco stanno tra gli dei, tra gli spiriti possenti della cosmogonia Inca.
Un peccato d'orgoglio? Siula Grande come l'Olimpo?
Non credo gli alpinisti percepiscano così la conquista di una vetta, certo però usano normalmente la parola "conquista", che implica una sottomissione e una sconfitta: quella della roccia apicale, dell' ultimo gradino prima del cielo infinito calpestato dallo scarpone e trafitto dalla picozza.