domenica 26 dicembre 2021

Pionieristica ordinanza cautelare del Tribunale civile di Gorizia che configura una modalità preventiva di contrasto ai danni da greenwashing.

 


Riflessioni attorno alla gravità dei green claims che ingannano sulle qualità ecologiche dei prodotti e sulla coerenza degli stessi con i principi dell’economia circolare. In Europa il 42 per cento della pubblicità eco friendly è esagerata, falsa o ingannevole.



di Martina Luciani


Abbiamo letto un po’ ovunque della recentissima ordinanza cautelare del Tribunale di Gorizia, giudice Francesca Clocchiatti, che ha imposto ad una azienda,la Miko srl,  di rimuovere  da tutto il suo apparato comunicativo i messaggi pubblicitari ingannevoli in ordine ad una tipologia di tessuto sintetico utilizzato dall’industria automobilistica, considerati operazioni di green washing delle qualità del materiale e dei processi necessari a produrlo.  
Ma forse non è immediato percepire l’innovazione di questo provvedimento, il fatto che cioè intervenga ad inibire preventivamente il potenziale “ingannevole” del messaggio pubblicitario, intervenendo in base alla verifica del pericolo di pregiudizio che non è solo, procedendo dal caso specifico verso una prospettiva più ampia, la perdita economica causata dalla concorrenza sleale, e nemmeno solo l’illecita manipolazione del convincimento del consumatore, ma l’impatto ambientale che il green washing nasconde dietro un’immagine ingannevolmente positiva.
( Un’utile classificazione delle varianti di green washing la potete leggere qui).

Il contesto era quello del ricorso per concorrenza sleale, attivato a luglio scorso da Alcantara srl, storica azienda del tessile, contro la Miko srl, che conosciamo perché produce a Gorizia il tessuto Dinamica destinato, con successo, all’industria automobilistica.
Alcantara srl si è mossa sul piano giudiziale perché ha ritenuto che alcuni aspetti della green reputation di Miko srl, utilizzati per la promozione del prodotto di punta (materiale simile al celebre finto camoscio sintetico brevettato da Alcantara) costituissero concorrenza sleale perché non verificabile e non attendibili.


Da anni i lettori della stampa locale apprendono che Miko (ad esempio: https://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2017/07/19/news/miko-adesso-punta-a-un-ciclo-produttivo-completo-nel-2020-1.15634080),fa una microfibra ecologica, riciclata  e riciclabile: ma ad un giornalista puoi dire quello che vuoi, capirà quello che può e scriverà come gli pare ( ad esempio che “ Miko rinuncia al carbone” a proposito della certamente lodevolissima  iniziativa di riforestazione in un’area boschiva friulana diretta a catturare, attraverso la fotosintesi, più anidride carbonica di quanta sia stata già immessa nell’ ambiente dall’attività produttiva, con l’obiettivo di neutralizzarne l’impatto ambientale e diventare climate positive entro il 2030: concetto, evidentemente ben diverso da quello finito nei titoli dei media, che verrà confermato solo quando leggeremo i certificati di compensazione della CO2).
Quando poi ti informi meglio, su questo prodotto ecotutto, scopri che la quantità di materiale riciclato non copre l’intera produzione ed ha diverse percentuali nelle specifiche lavorazioni. 
E' dovuto il plauso ai manager per  aver introdotto questa tecnologia che immette scarti e rifiuti di plastica nel ciclo produttivo, ma non è corretto lasciar credere la  riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2 dell’80% sia
rapportabile all’intera produzione, evidentemente perché il vantaggio ambientale riguarda solo la quota di materiale riciclato impiegato.  
Anche la faccenda del completo riciclo della microfibra prodotta è stata messa in discussione in Tribunale: perché Miko nella sua narrazione commerciale delle proprie performance ambientali (inclusa la perla della “scelta naturale”, che per un materiale realizzato con una fibra sintetica derivata dal petrolio è davvero audace) insinua qualcosa che non c’è, visto che sul suo stesso sito afferma  che sta valutando le proposte per riciclare Dinamica a fine vita e trasformarla in prodotti semi lavorati, come ad esempio pannelli per l’isolamento termico e acustico. Proposito molto eco friendly, ma al momento non una qualità del prodotto.
Insomma, per tutelare Alcantara dal rischio di un pregiudizio e danno alla sua posizione sociale nel mercato dei tessuti, il giudice ha ordinato a Miko la cessazione della diffusione, in qualsiasi forma e contesto, di una serie di claims, in quanto reputati idonei a influenzare le case automobilistiche nella scelta dei materiali da utilizzare, senza poter inoltre escludere il condizionamento dell’acquirente finale nella fase di commercializzazione delle autovetture attraverso la ripresa a cascata dei claims di Miko. E cioè “La prima microfibra sostenibile e riciclabile”, “100% riciclabile”, “Riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2 dell’80%”, “Amica dell’ambiente”, “Scelta naturale” e “Microfibra ecologica”. Da rimuovere anche  le “informazioni non verificabili ed ingannevoli sul contenuto di materiale riciclato del prodotto”. Ordinata anche la pubblicazione dell’ordinanza sul sito di Miko srl.

Di pubblicità ingannevole son pieni i fossi, ma la pubblicità che inganna sulle qualità di eco sostenibilità e sul livello di tolleranza da parte dell’ambiente di prodotti e servizi a me pare abbia un’aggravante molto seria, perché turlupinando il consumatore ruba il futuro a tutti, anche a coloro che con lo specifico contesto ingannevole nulla hanno a che fare. Per la semplice ragione che sorregge meccanismi di produzione che inquinano, sfruttano le risorse naturali, violano il diritto ad un ambiente salubre, compromettono i bisogni delle generazioni future e aggravano il conflitto tra specie umana e Natura.
L’ordinanza del giudice Clocchiatti richiama, nell’articolata motivazione, anche il Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale del 2014, in particolare quell’art.12 che stabilisce che la comunicazione commerciale che dichiari o evochi ( già, è nell’ evocare si sostanzia la più raffinata tecnica dell’inganno) deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. In realtà il fenomeno patologico del green washing si sta estendendo perché i supposti “vanti ambientali” diventano frasi di uso comune, prive di concreto significato ai fini della caratterizzazione e differenziazone dei prodotti, utili però a fuorviare la percezione del pubblico.

E’ interessante a questo punto dare un’occhiata in una dimensione più ampia.
Ancora nel 2007  la Commissione europea ha prodotto il libro verde  sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale, al quale sono seguiti innumerevoli documenti e atti normativi europei per sviluppare l’utilizzo di sistemi economici nell’ambito delle azioni di tutela degli ecosistemi. Per mettere d’accordo economisti e ambientalisti, imprenditori ed ecologi e salvare il salvabile dell’ambiente.
Oggi gli strumenti  che l’Europa predispone in campo economico sono direttamente funzionali agli obiettivi della politica ambientale comunitaria. In quest’ambito, rilevano come fondamentali l’informazione e l’orientamento dei consumatori  quali presìdi nelle dinamiche di mercato  per condizionare i potenziali inquinatori, sfavorendo l’interesse per i prodotti privi di requisiti ecologici e favorendo quelli che hanno una reputazione virtuosa in termini di impatto ambientale ed ecosostenibilità.
Le ecolabel o altri tipi di certificazione ambientale privatistici, gli ecobilanci aziendali o l’adesione  volontaria a codici di autodisciplina ambientale sono esempi, formalizzati e non, di una specifica azione di informazione sulle qualità “green” e sulla conformità a determinati  standard di eco compatibilità dei prodotti; e sono anche meccanismi che rendono possibile il controllo e la scelta consapevole da parte dei cittadini.

Poi però c’è il problema della fiducia, o meglio della fiducia tradita.
Perché il marketing verde ha ben capito che le sollecitazioni ecologiche piacciono ai mercati, e non ha molti scrupoli ad attuare il greenwashing, che non è solo un modo di attuare pratiche commerciali sleali per imbrogliare la gente, ma anche una tattica che vanifica il ruolo che l’UE riconosce ai consumatori quali co-protagonisti della riconversione ecologica dell’economia.
Così afferma la nuova Agenda dei consumatori  che ha da poco compiuto un anno: La Commissione intende garantire che i consumatori abbiano a disposizione sul mercato dell'UE prodotti sostenibili e dispongano di informazioni migliori per poter operare una scelta consapevole. L'anno prossimo presenterà una proposta intesa a fornire ai consumatori migliori informazioni sulla sostenibilità dei prodotti e a combattere pratiche quali il green washing o l'obsolescenza precoce. La Commissione promuoverà inoltre la riparazione e favorirà prodotti più sostenibili e "circolari". La transizione verde non può avvenire senza le imprese: la Commissione è determinata a collaborare con gli operatori economici per incoraggiarli ad assumere impegni a favore di un consumo sostenibile, al di là di quanto richiesto dalla legge.
A gennaio 2021 Commissione europea e le autorità nazionali di tutela dei consumatori hanno pubblicato i risultati di uno screening sui siti web, indagine che viene effettuata annualmente per individuare violazioni del diritto dell'UE in materia di tutela dei consumatori nei mercati online. Per la prima volta, l'indagine si è focalizzata sul green washing, analizzando le affermazioni ecologiche online in vari settori economici, quali abbigliamento, cosmetici e elettrodomestici. A parere delle autorità nazionali di tutela dei consumatori nel 42 % dei casi vi era motivo di ritenere che le affermazioni fossero esagerate, false o ingannevoli e potessero potenzialmente configurare pratiche commerciali sleali a norma del diritto dell'UE.  L’incremento degli imbrogli dipende dal fatto che un numero sempre maggiore di consumatori vuole acquistare prodotti rispettosi dell'ambiente e climaticamente neutri.
Ma Green Deal e green washing non è che vadano molto d’accordo. Mettiamoci anche l’obsolescenza precoce e la non riparabilità dei prodotti e si capisce subito quanto lavoro ci sia da fare per  garantire che i consumatori riescano effettivamente ad esercitare tutti i loro diritti e abbiano un ruolo decisivo nella transizione dell’economia e della società a livelli realmente eco compatibili.