domenica 23 novembre 2025

Futuro incerto del pioppo cipressino di via Manzoni: primi segnali della sofferenza patita a causa dei lavori del nuovo parcheggio.


Come previsto, come temuto, come già scritto e riscritto.

di Giancarlo Stasi


Su questo blog era già stato evidenziato più volte che i lavori di costruzione del parcheggio di via Manzoni, condotti senza criterio e senza riguardo per lo splendido pioppo cipressino che si trova sul sito, avevano fortemente danneggiato sia le radici sia i contrafforti radicali dell’albero, cioè le strutture basali che sono il raccordo tra il fusto e l’apparato radicale. (Piazza Traunik: Gorizia odia i suoi grandi alberi. Incuria ed efferatezza sono le regole della gestione del verde urbano.) Danni di questo genere permettono l’ingresso di numerosi organismi all’interno della pianta, alcuni dei quali possono essere fortemente lesivi. Purtroppo questi fenomeni sono molto comuni nelle piante presenti lungo le strade, dove subiscono ogni genere di ingiuria quando vengono effettuati lavori e scavi.

Esempio drammatico è stato il nostro viale XX Settembre, i cui ippocastani (messi a dimora dall’amministrazione austro ungarica) hanno subito sevizie pesantissime dai lavori stradali, si sono seccati, sono stati attaccati dai funghi, si sono cariati e sono divenuti pericolosi: per gestire la sicurezza sono stati via via abbattuti nei decenni successivi.
I platani di Corso Italia, coinvolti nei lavori di rifacimento dei viali pedonali, hanno subito lo stesso trattamento, e non dubito che la stessa sorte toccherà agli altri esemplari a causa dei futuri lavori, a causa della totale mancanza di adeguata competenza in materia di arboricoltura e, a monte, di una cultura del verde urbano. Competenze e cultura che scarseggiano tanto tra i progettisti dei lavori pubblici quanto tra i “decisori” delle pubbliche amministrazioni.






Torniamo al pioppo di via Manzoni, che con evidente ipocrisia è stato lasciato in loco, a manifestare una sensibilità per i grandi alberi che è solo di facciata e sostanzialmente è servita ad evitare le proteste dei cittadini qualora lo si fosse abbattuto dal bell’inizio.
Invece è stato incluso nell’area di cantiere e maltrattato pesantemente dagli scavi a filo tronco, dai cumuli di detriti ammassati sulla base del fusto, dal compattamento del suolo causato dai pesanti mezzi operativi: ma nessuno ci fa caso, a queste prolungate aggressioni, l’albero è in piedi e questo basta alla sensibilità collettiva.
Poi, quando sarà diventato evidentemente deperente e pericoloso, in nome della pubblica incolumità , ne verrà accettato l’abbattimento, dimenticando che si è trattato di una morte indotta diversi anni prima.
Pochi giorni fa, il periodo stagionale è favorevole, sono apparsi su una porzione del colletto della pianta alcuni corpi fruttiferi di un fungo, che pare essere il pioppino, detto anche piopparello.
Questo fungo si comporta sia da saprofita, nutrendosi di legno morto, sia da parassita, nutrendosi di legno ancora vitale, soprattutto su piante debilitate, come per l’appunto il nostro pioppo cipressino di via Manzoni.
In corrispondenza di questo cespo di funghi inoltre si notano sulla corteccia delle rotture che non sembrano i fisiologici corrugamenti della corteccia stessa.
La presenza dei funghi è sicuramente sintomo di una carie del fusto, ma solo con un’indagine strumentale è possibile determinarne ampiezza e grado di degenerazione.

La rottura della corteccia potrebbe essere il segnale del cedimento delle fibre legnose sottostanti, perché la struttura della pianta, ormai indebolita dai maltrattamenti antropici e dall’attacco fungino, non ha più la capacità di compensare le sollecitazioni cui è sottoposta.
Entrambe le problematiche ipotizzate meritano una valutazione più approfondita, che porti ad escludere il rischio di cedimenti strutturali e permetta la conservazione del bell’esemplare arboreo.
E’ anche una questione di responsabilità civile e penale, che sarebbe serio considerare prima che i grandi rami si secchino e si schiantino, fermo restando che l’intera pianta è a rischio. Un rischio che andava considerato da bel principio, che doveva essere previsto nel progetto: allora bisognava fare una scelta. O cambiare il progetto, a tutela del pioppo e della sua conservazione e sicurezza, o deciderne l’abbattimento e le conseguenti polemiche.



giovedì 20 novembre 2025

Asfaltare nel caos. Si fa con ordinanza comunale aperta, da ottobre 25 a maggio 26, e delega in bianco per la viabilità alla ditta appaltatrice

 

Ordinanza comunale aperta e generica, da ottobre 2025 a maggio 2026, che fa gestire alla ditta appaltatrice dei lavori di asfaltatura divieti di sosta e modifiche alla viabilità su oltre una ventina di strade cittadine. E' il caos.

di Martina Luciani


Oggi, la ditta che ha ottenuto l’appalto per lavori di asfaltatura –appalto che include la gestione integrale della viabilità cittadina – ha modificato le date del divieto di sosta in via Manzoni. Il 20 novembre, termine del precedente divieto, è diventato 26 novembre. Come già nei giorni scorsi, lavori fermi. Causa la pioggia, certo, ma erano fermi anche con il sole. 

Avrei potuto scommettere una cifra importante che finiva così. Il caos imperante che interseca le aree di cantiere lo faceva prevedere facilmente: strade impedite materialmente al traffico senza alcun cartello che, con apposito divieto, ci avvisi per tempo di cambiare percorso; sensi unici in cui senza preavviso alcuno ti trovi bloccato e l’unica cosa che puoi fare è retromarcia ( ovviamente con propria piena responsabilità se ci fosse un incidente a causa della manovra vietata); pedoni che vagano alla ricerca di un punto il meno sconnesso possibile dove attraversare o che transitano sfiorando i possenti automezzi senza che ci sia nessuno a garantire la sicurezza (eppure i movieri, ovvero le persone con la paletta rossa e verde, sono espressamente previsti nell’ordinanza comunale); semafori installati senza che se ne comprenda lo scopo; file di macchine che attendono di insinuarsi tra i mezzi pesanti al lavoro per procedere; lavori cominciati e abbandonati; cartelli di senso unico cui non corrisponde il divieto di accesso dalla parte opposta.


 Tutto legittimo, visto che l’ordinanza del Comune consegna alla ditta appaltatrice una delega in bianco a provvedere ai divieti di sosta, anche con la rimozione forzata dal 2 ottobre 2025 al 14 maggio 2026.
L’esperienza di Capitale della cultura culmina con questa esilarante esibizione di cultura amministrativa e civica, con l’ennesimo esempio di abdicazione al governo puntuale ed efficace della città, alla cura necessaria per sorvegliare che i lavori appaltati ( e pagato con i soldi pubblici) siano gestiti con intelligenza o almeno con decenza.

Inutile telefonare alla Polizia locale, rispondono che quando ci sarà una pattuglia libera manderanno a vedere, oppure ti rispondono ( nemmeno tanto cordialmente) che si chiama solo per incidenti ed emergenze, per il resto chiamare l’ufficio del traffico. E quest'ultima risposta è davvero incoerente con quanto sta scritto nell'ordinanza: agli ufficiali di Polizia Locale, coordinatori del servizio di viabilità, viene data facoltà di adottare ulteriori provvedimenti che dovessero risultare necessari per garantire il corretto svolgimento della manifestazione. Di quale manifestazione si tratti nessuno lo sa,  evidentemente il copia incolla è stato eseguito in maniera affrettata, da un vecchio documento a questa ordinanza. Il senso dovrebbe essere: la Polizia locale vigilerà. E invece a me non pare proprio.   Ma state tranquilli, tutto è saldamente in mano a Nord Asfalti: asfalto, viabilità, divieti di sosta con rimozione forzata, sicurezza degli automobilisti e dei pedoni. 


martedì 16 settembre 2025

Aggressione al giornalista Mervar: così si svilisce un'azione civile a difesa dei diritti umani del popolo palestinese



Opinione non richiesta:
riflessione sui danni collaterali dell'aggressione, a Ronchi dei Legionari, pochi giorni fa, subita dal giornalista RAI Maurizio Mervar nel corso della protesta davanti all'azienda che produce droni militari. 



di Martina Luciani

Se dei manifestanti che invocano pace, giustizia, diritti e salvezza per il popolo palestinese si permettono di aggredire un giornalista, come è avvenuto ai danni di Maurizio Mervar della RAI FVG, del quale è certa la straordinaria capacità di attenzione e onestà intellettuale per le problematiche che affronta nel suo lavoro, significa che sono dei deficienti (dal participio presente del verbo latino deficere).
Questa classificazione precede il reato commesso e dal mio punto di vista spiega le conseguenze che si sono propagate sull'intero movimento che cerca di fermare lo sterminio del popolo palestinese e la quotidiana pratica dei crimini di guerra da parte dello stato di Israele. 

Perchè ho usato la parola deficienti: perchè si sono rivelati, oltre che violenti, incapaci di prevedere le conseguenze di un’azione così spregevole e nel contempo priva di ogni risvolto utile allo scopo della manifestazione, e di considerare preventivamente lo stigma da generalizzazione che avrebbero riversato, come una fognatura che esplode, sulla causa che difendono, per la quale si è ritenuto di chiamare i cittadini a riunirsi e protestare.
Costoro, che dovrebbero partecipare all'immane sforzo di smuovere le coscienze contro gli orrori in corso e contribuire a far cessare il genocidio del popolo palestinese, sono riusciti  a distogliere l'attenzione pubblica dall’effetto voluto ed è  difficilissimo adesso enucleare le personali responsabilità della violenza e bloccare chi ora ne approfitta per istigare a NON distinguere tra i buoni e i cattivi. Siamo tutti cattivi, adesso, e questo grazie a un gruppetto di autentici deficienti, che la comunicazione di questi giorni classifica come "pacifisti". Un danno collaterale enorme per tutti i veri pacifisti. 

Ecco, io dell’imbecillità umana non ne posso più.
Mi lasciano peraltro indifferenti le reprimende moraleggianti che ci dispensa la politica di destra e di sinistra. Anzi, mi irrita persino che la politica parli di valori, è retorica a buon mercato, ottima occasione per ripescare concetti come diritto dovere di cronaca, libertà di stampa, stampa pilastro della democrazia, dimenticando però quanto noi peones subiamo sistematicamente gli effetti della stampa di regime e le manipolazioni attuate attraverso i media. 
Qua, nella specifica situazione dell’aggressione al giornalista Maurizio Mervar, si evidenzia che la legittima  protesta collettiva contro lo sterminio di cui è responsabile lo stato di Israele (una delle tragiche questioni di questo secolo sulle quali toccherà ai posteri esprimere l’ardua sentenza, sempre che i posteri restino liberi a sufficienza per farlo) ha sofferto grandemente perchè alcuni manifestanti hanno esibito la mancanza delle doti intellettuali minime richieste per partecipare ad attività sociali. 
Cioè comprendere le situazioni, le conseguenze dell’agire, l’opportunità dei comportamenti, i limiti logici e legali entro cui muovere una protesta. La stupidità ha alimentato la violenza, stavolta contro un giornalista, ed ha prevalso sul senso di opportunità, persino sul mero calcolo di convenienza  mentre l’opinione pubblica non discerne, e di stupidità si stordisce sempre più, attratta dalla luce di un fuoco che brucia l’autonoma riflessione e l’indipendenza di giudizio: esattamente quel che serve al potere, qualunque sia la sua bandiera, per conservare il suo predominio o per illudere sulle sue intenzioni.

Mi terrorizza prendere atto che siamo una società attrezzata ormai ad interloquire solo su fronti contrapposti e non con le dinamiche e le attrezzature dell’elaborazione di opinioni diverse, così guastando lo spirito e gli effetti delle più nobili resistenze.
Va detto che tutto ciò non è causato soltanto dell’impoverimento culturale e dell’educazione sempre più grossolana riservata alle nuove generazioni: il sistema stesso ci educa alla violenza, siamo capillarmente esposti a questo contagio mortale perché chi esercita il potere, e quindi governa a proprio vantaggio il sistema, lo fa con continue discriminazioni contro le quali siamo impotenti, accentuando le disuguaglianze e svilendo i valori e i principi che assicurano la salute sociale e democratica della comunità dei cittadini. Io non credo che si torni indietro, la civiltà umana è guasta oltre il punto di non ritorno e chi la difende deve ormai imparare a guardarsi anche dai suoi stessi compagni. 

lunedì 1 settembre 2025

INESORABILMENTE. FIRMATO DIGITALMENTE.


Pubblica Amministrazione: uno Stato nello Stato. L'emozione di un provvedimento che usa la parola "inesorabilmente"


di Martina Luciani



La premessa: una cittadina (il genere è rilevante nelle conclusioni del discorso) e dipendente di un ente locale ha una interlocuzione formale con la pubblica amministrazione di appartenenza.  Non servono molti dettagli, basta sapere che la questione è grave, riguarda intrinseche qualità della vita privata e delle relative proiezioni future. 

La cittadina e dipendente avvia l’interlocuzione in maniera formale, richiedendo l’annullamento in autotutela di un provvedimento in quanto sostenuto da motivazioni insufficienti , spiegando perché e percome.

(L'obbligo di motivazione non è un orpello retorico. Lo prevede la norma sul procedimento amministrativo, l’art. 3 della legge 241 del 1990, che dice: Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato… La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria.
Se la motivazione è carente, si salta all’art.21 octies che configura le ipotesi di annullabilità del provvedimento.)


La pubblica amministrazione, attraverso il direttore di servizio competente per la questione, che qui, per ovvi motivi, chiamo solo Firmato Digitalmente, risponde respingendo l’istanza della cittadina dipendente. Tuttavia, con la famosa espressione “a ogni buon fine” (forse Firmato Digitalmente ha qualcosa di cui deve innanzitutto convincere se stesso?) la risposta “coglie l’occasione per dettagliare alcuni specifici aspetti”.

E lo fa, certo, infilando una serie di “confutazioni” che nuovamente, come nell’atto precedentemente contestato, non rispondono alla domanda “perché” , indicando quale specifica disposizione di legge sia da applicarsi ad una specifica situazione, così da consacrarne senza dubbi la categoria, la classificazione legale, chiamatela come volete
Mi spiego meglio, in ossequio al sopra citato concetto “ad ogni buon fine”: quando si attribuisce alla cittadina dipendente l’appartenenza ad una certa categoria, bisogna dire in base a quali fatti e quali regole (formatto la parola in grassetto e sottolineato, perché nell’atto c’è l’utilizzo di questi stili a rafforzare gli effetti comunicativi di termini peraltro di uso comune).
E per contro, nella dinamica della confutazione, bisogna dire in base a quali fatti e quali regole la dipendente non rientra nella categoria o nella condizione cui ella invece è convinta di appartenere.
Ma bisogna farlo correttamente, in maniera intelligibile, così oltretutto da consentire alla cittadina e dipendente di esercitare il suo diritto alla difesa, in fase interlocutoria o giurisdizionale.

Ci sono infatti palesi travisamenti nell’ analisi e nella classificazione di specifici o presunti diritti della cittadina dipendente e in aggiunta la manifestazione di completa ignoranza di certe prassi che intercorrono tra i cittadini lavoratori e l’INPS, oltre che delle sottigliezze infinite della materia pensionistica.

Ma fin qua, saremmo nell’ambito dell’ordinaria follia causata dall'ipertrofia della legislazione, tale che, nel sempre più rigoglioso intreccio delle leggi - così fitto da esser una volta oscura, impenetrabile alla luce dell’intelletto - soltanto l’estrema specializzazione dell’interprete consente di individuare il corretto sentiero da percorrere. Un generico Azzeccagarbugli non ce la può fare.

Ecco perché, al fine di attraversare la nera jungla (come scriverebbe Salgari) e far sì che l’amministrazione adempia al suo principio fondante ( la legalità, grassetto e sottolineato, su finalità, poteri e modalità di esercizio del potere) esiste il meccanismo dell’interpello al Ministero competente, che Firmato Digitalmente, co- protagonista di questa vicenda, ben si è guardato di attivare, altrimenti sarebbe stato logico farne buon uso e nel caso confermasse la correttezza dell’operare nei confronti della cittadina dipendente l’avrebbe definitivamente zittita. Certamente non ne aveva l’obbligo, ma sarebbe stato da parte un gesto rispetto verso la cittadina dipendente. Che peraltro ha ritenuto di segnalare la questione all’Ispettorato della funzione pubblica del Ministero della Pubblica Amministrazione.

Fin qui, a parte gli ovvi reciproci fastidi, la relazione rimane nel solco della normalità.

Quel che invece manda fuori dai gangheri la cittadina e dipendente è una parola, un avverbio assolutamente estraneo alle regole della comunicazione di un ente pubblico. Un’auto attribuzione di ruolo che la pubblica amministrazione non ha, a meno che non intenda consacrare il ruolo di antagonista di chiunque sia in una situazione di svantaggio: ovvero i cittadini.
Dirò di più: in quell’avverbio c’è l’atavica  tracotanza del patriarcato, che pure è in agonia ma si ostina a non vederlo; c’è la trasfigurazione di un direttore di servizio in un implacabile giudice che attua le spietate direttive di una divinità ctonia.
Arrivo al dunque: “L’ Amministrazione dovrà inesorabilmente far cessare il rapporto di lavoro…”: INESORABILMENTE. Implacabile, spietato. Lo è anche in un altro passaggio: la richiesta “ contrasta inesorabilmente con la disciplina…”. Nuova, esorbitante e non richiesta esibizione muscolare.

E’ evidente che nella costruzione delle frasi l’avverbio utilizzato è del tutto inutile: lo levi e rimane quanto necessario ad una pubblica amministrazione che applica la legge e con quella governa l’infinita variabilità della società umana nei settori della sua specifica competenza.

Quindi il fatto di averlo usato è emblematico.
Quesito: la cittadina dipendente si sente più colpita perché è una donna, e ha in sé depositati millenni di implacabili e inesorabili oppressioni, discriminazioni e violenze? Possibile! Ognuna di noi è portatrice, più o meno consapevolmente, delle memorie  e degli archetipi della sottomissione femminile da parte della società patriarcale.
E comunque, a sostegno della cittadina dipendente e di tutte le componenti dell’immensa Sorellanza, enfatizzo che quando l’esercizio di un qualsiasi potere perde la sua necessaria condizione di essenzialità ( piattaforma dell’imparzialità), assumendo connotati e sfumature personali, qualcosa da psicoanalizzare sicuramente c’è: cosicché questo INESORABILMENTE dice molto, molto di più di quel che significa sulla Treccani.

Ma chi te lo fa fare, egregio Firmato Digitalmente, ad essere inesorabile? Ti è consentito, essere dichiaratamente inesorabile o è una qualità richiesta ai direttori di servizio? 


domenica 29 giugno 2025

Nuovi interventi sul verde pubblico del Cimitero centrale di Gorizia: nuovamente ingiustificabili, incompetenti e brutali

Alla tristezza del recarsi in un cimitero, si aggiunge, in quello Centrale di Gorizia, l’impatto brutale del verde pubblico trattato nel peggior modo possibile. 

di Giancarlo Stasi


A quasi un anno dalla segnalazione dello sconsiderato, controproducente e antiestetico intervento su un nutrito numero di cipressi nel Cimitero centrale di Gorizia ho amaramente constatato che le “potature”, o piuttosto barbariche amputazioni, sono proseguite: e questo nonostante la precedente operazione abbia sollevato scandalizzate proteste che hanno evidenziato gli errori tecnici, le incongruenze e i rischi fitosanitari, sottolineato tutta l’incompetenza e la brutalità delle ingiustificate “manutenzioni”, sottolineato i terribili risultati estetici per le singole piante e per il contesto cimiteriale. L’unica differenza è che i rami stavolta sono stati tagliati e non strappati: magra consolazione! La scelta di avere piante con la parte basale del fusto libera da rami andava fatta al momento dell’impianto, o negli anni immediatamente successivi, quando queste erano giovani ed avrebbero cicatrizzato bene i tagli, che all’epoca sarebbero stati di piccole dimensioni. A suo tempo, sicuramente più di settant’anni fa, non era stato ritenuto opportuno, esteticamente gradevole ed idoneo allo sviluppo delle piante il tipo di allevamento con la ramatura alta. Gli attuali scriteriati tagli rimarranno visibili fino al termine del ciclo vitale delle piante stesse, testimoniando l’insensatezza umana nel rapportarsi alla natura. Non si parli di topiaria: quella è un’arte e qui ci troviamo invece di fronte ad una serie di nefandezze.

Spiccano la potatura di un Cipresso che ormai ha solo due rami ancora vitali e che era meglio da ogni punto di vista abbattere (foto1) ; la potatura fatta a casaccio su un altro Cipresso, lasciando un ramo completamente disseccato tra quelli invece tagliati (foto 2); tagli su piante giovani eseguiti maldestramente con la motosega quando bastava un semplice paio di forbici da potatura per assicurare un taglio netto e pulito.


Certamente quanto speso dal Comune poteva essere più opportunamente utilizzato per:

- effettuare un bonifica fitosanitaria delle parti colpite dal Cancro del Cipresso su numerosi esemplari (foto 3) e ciò sia per risanare le piante malate sia per diminuire la presenza del fungo e prevenire gli attacchi di scolitidi (piccoli coleotteri che depongono le uova in gallerie sotto la corteccia di piante preferibilmente debilitate ed in cui si sviluppano le larve. I nuovi adulti che usciranno da queste gallerie larvali si nutriranno di freschi germogli diffondendo le spore del fungo patogeno);

- bagnare le piante di nuovo impianto, manutenzione che si usa fare assai poco, come ad esempio nel caso del Cedro, un bell'esemplare certamente costoso posto ad un incrocio dei viali interni, impiantato recentissimamente e già disseccato in agosto del 2024, ancora presente come testimonianza di manutenzione nulla, custodia negligente e sperpero di pubblico denaro (foto 4);

- abbattere e sostituire le piante disseccate o irrimediabilmente compromesse;

- togliere i tutori ed i legacci da piante ormai affrancate, che in un caso sono stati parzialmente inglobati tra due fusti affiancati, creando un danno attuale e futuro ed indebolendo una struttura già critica di suo;

- nel piazzale davanti l’ingresso del cimitero abbattere i Carpini disseccati o in via di disseccamento, sostituendoli con la stessa specie ed integrando quante già eliminate nel corso degli anni, allevandoli e potandoli allo stesso modo, ridando unitarietà all’impianto, molto bello e caratterizzante.

 Ovviamente nessuno penserà di giustificare l’accaduto ai cittadini. Né del resto esiste alcun modo possibile di giustificare questo trattamento al verde pubblico.

La gestione del verde urbano è la gestione di un patrimonio collettivo, quindi un investimento diretto a conservare, proteggere e, in aggiunta, accrescerne l’estensione e la qualità, con i relativi servizi ecosistemici ( non solo di mitigazione ma anche di tutela della biodiversità) dei quali abbiamo assoluto bisogno, vista la crescente pressione del cambiamento climatico.


foto 1
foto 4

    
foto 3

foto 2

venerdì 28 marzo 2025

Prato rasato a zero o prato fiorito? Situazione degli sfalci in quel che resta del Parco Basaglia.

 

Un lembo di prato fiorito a ridosso
delle trincee scavate al parco Basaglia
 

  Le soluzioni basate sulla natura ( Nature - based      solutions)  non attecchiscono al Parco Basaglia,        nemmeno nei prati sopravvissuti agli scavi. 

  di Giancarlo Stasi


Diversi sono gli enti proprietari del complesso del Parco Basaglia e le superfici di proprietà di ogni singolo ente sono poligoni irregolari che talvolta si compenetrano.
Tale situazione patrimoniale, mi riferisco alle aree a verde, non ha mai semplificato le diverse attività di manutenzione ordinaria e straordinaria. Con buona probabilità anche la nascita e lo sviluppo del “Progetto di rigenerazione urbana in chiave storico/culturale del Parco Basaglia a Gorizia” ha avuto - nell’espressione delle esigenze e, passatemi il termine, delle pulsioni di Asugi, Erpac e Comune di Gorizia - notevoli condizionamenti e fraintendimenti istituzionali.
Inoltre, il passaggio delle competenze di realizzazione del progetto stesso alla Direzione centrale patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi ha spostato lontano dal sito interessato ai lavori le necessarie attività di verifica precedenti e contemporanee alle attività previste e svolte. Voglio ricordare che non stiamo parlando di manufatti, che più o meno rispondono a canoni standardizzati, ma di organismi viventi che nel loro progressivo sviluppo si sono adattati alle puntuali condizioni climatiche e pedologiche.

E siamo giunti all’attuale sconquasso.
E’ di questi giorni l’inizio dell’attività manutentiva delle superfici prative, dove queste ancora esistono. E naturalmente anche qui si evidenzia quanto sia incongruente una situazione che se fosse familiare definiremmo da “separati in casa”: sono state falciate le aree prative d’ingresso e quelle poste tra la palazzina Asap e C-Asugi, a sinistra della strada asfaltata di accesso al complesso. Potrebbe sembrare una normale attività se non fosse che è stata interrotta circa cinque metri prima del margine ultimo del prato, posto di fronte alla palazzina Asugi: è una scelta o forse i diversi proprietari del prato non si sono messi d’accordo? Considerando, però, che si fa un gran parlare del parco come scrigno di biodiversità, del declino degli insetti e soprattutto delle api come essenziali impollinatori, delle sue funzionalità terapeutiche e della necessità di limitare i costi di gestione non si capisce perché si prosegua ad adottare delle pratiche manutentive non adeguate alle nuove consapevolezze ecologiche e sicuramente più costose.       


Perché, come fatto già da altre amministrazioni pubbliche, non si adotta lo sfalcio differenziato?
Tecnica in base alla quale i confini degli appezzamenti vengono regolarmente rasati, mantenendo così il decoro che piace tanto, mentre la vegetazione erbacea delle parti più interne e più ampie è lasciata libera di crescere e di fiorire, effettuando su queste superfici solo due o tre tagli annuali.
Valutando correttamente i tempi di sfalcio, le fioriture delle piante annuali e perenni sarebbero a disposizione della fauna impollinatrice e la profusione di fiori e colori andrebbe sicuramente a beneficio di tutte le persone che a vario titolo frequentano questo luogo. Non si dimentichi che un prato naturale svolge una anche una funzione di regolazione termo-climatica, che è cosa di cui abbiamo estremo bisogno, ed è sequestratore di carbonio, altra grande urgenza collettiva.
Nella foto accanto, si nota a sinistra il prato rasato, con un taglio così basso da mettere a rischio il manto erboso.
A destra il prato intonso, nel quale si vedono le tracce dei pneumatici di mezzi pesanti, che miracolosamente sono d'un tratto scomparsi dall’area, insieme ai materiali di cantiere che delimitavano spazi del prato in cui evidentemente si prevedeva di proseguire con la serie di
 INSPIEGABILI trincee.

Non è una novità, per questo blog, la crociata per i prati naturali, se ne era già parlato qui.
Voglio ricordare che in molti paesi europei, a partire dal Regno Unito, si sta sempre più diffondendo sia in ambito privato sia pubblico il movimento No Mow May (https://www.plantlife.org.uk/), che propone di lasciar riposare il tosaerba e di conseguenza anche l’operatore per tutto il mese di maggio  e lasciar spazio a questa meravigliosa schiera di piccoli esseri che nel loro operare compiono azioni indispensabili per la natura e di conseguenza per l’essere umano, che è una piccola e distruttiva parte di questo insieme. In Italia sono censite 944 specie di apoidei e tra gli impollinatori si annoverano anche sirfidi, farfalle, falene, alcuni coleotteri e vespe: una infinita moltitudine di insetti impollinatori che nell’ambiente contribuiscono al mantenimento dell’ecosistema e sono indispensabili, molto più delle api allevate, per assicurare i livelli produttivi della nostra agricoltura.
E dirò di più: insieme alla contrazione delle aree destinate al pascolo, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento ambientale anche di origine agricola, la forte presenza di api allevate determina il fatto che gli impollinatori selvatici rischiano grandemente di morire di fame. Conservare prati naturali anche in città, nei parchi pubblici ma anche nei giardini privati (le aiuole destinate alle api in mezzo al traffico sono di fatto pericolose per gli insetti) è un’azione ecologicamente responsabile. Ma qui i responsabili dove sono?

Prato fiorito alla Certosa di Pavia. Cartolina spedita nel 1979

Consiglio, a chi volesse approfondire l’argomento riguardante gli insetti, due gradevolissimi libri scritti dal prof. Dave Goulson, professore di biologia all’Università del Sussex: “Il ritorno della Regina” e “Terra silenziosa”. Interessanti notizie e informazioni sui bombi e su cosa fare per favorirne presenza e sviluppo le trovate sul sito delle fondazione da Goulson creata: https://www.bumblebeeconservation.org/ .


lunedì 17 marzo 2025

De profundis per il Parco Basaglia.



I lavori  di sminamento e gli altri interventi del “Progetto di rigenerazione” assolutamente non corrispondono alle “buone pratiche” agronomico-colturali necessarie per un parco. Quanto ho osservato nell’area degli scavi è negativo per la salute, la prosperità e la vita stessa delle piante.


di Giancarlo Stasi

Di Parco Basaglia in questi anni molto si è detto e scritto senza lesinare lodi e magnificenze ma  le belle parole moltissime volte hanno avuto scarsissimo riscontro nella realtà.  Molto impegno è stato profuso a descrivere l’avvolgente abbraccio verde del Parco, per contro l’impegno riservato al mantenimento di questo complesso arboreo, eredità primo novecentesca, non è stato sicuramente al passo delle reali esigenze di manutenzione e conservazione, sia dal punto di vista delle tempistiche sia delle corrette pratiche agronomiche e colturali.

La manutenzione ordinaria, sfalci ed eliminazione di soggetti ritenuti pericolosi per l’incolumità pubblica, è stata eseguita, magari in momenti non adeguati e con troppo estesa applicazione del principio di precauzione, mentre sono mancati gli interventi di manutenzione straordinaria ed in alcuni casi, quando attuati, hanno provocato maggiori danni del non intervento. Potature di rimonda, alleggerimento e riforma delle chiome degli alberi, selezione dei soggetti arborei e arbustivi nati spontaneamente, trattamenti fitosanitari sono i grandi dimenticati, smemoratezza che in verità riguarda l’intero patrimonio verde cittadino, pubblico e pure privato.

Alcuna anni fa, sulla scorta di un rinato interesse per la figura di Basaglia, si è pensato anche alla ristrutturazione del parco.
La Treccani on-line ci fornisce questa definizione: “Il PARCO è un ampio territorio che, per speciali caratteri naturalistici, è sottoposto a tutela dalle leggi nazionali o regionali per essere salvaguardato dalle azioni dell’uomo capaci di alterarne i caratteri, …”.

Nello specifico parliamo di un parco tutelato in base alla legge sui beni culturali, legge che in primis tutela l’artefatto e poco considera il carattere naturalistico: da qui discende a mio avviso il “peccato originale” e le sue conseguenze nefaste.
Ecco quindi apparire il “Progetto di rigenerazione urbana in chiave storico/culturale del Parco Basaglia a Gorizia”.  Vi pare sia menzionato nel titolo del progetto il fatto che la vegetazione è un elemento vivo, che nelle sue componenti arboree è soggetto ad un continuo e lento modificarsi di forme e strutture? Che la terra, il terreno, sui cui si va ad intervenire è un elemento fondamentale e ricchissimo di biodiversità importante per consentire ai vegetali presenti di svilupparsi nel modo più adeguato? Che la presenza di parti vegetali anche secche o seccaginose sostengono e permettono la vita ad un ampio numero di organismi (insetti, rettili, mammiferi, uccelli)? NO.

 Personalmente sono convinto che sia fondamentale quanto indicato all’Art. 14 della Carta di Firenze – Carta per la salvaguardia dei giardini storici (1982): Il giardino storico dovrà essere conservato in un intorno ambientale appropriato. Ogni modificazione dell'ambiente fisico che possa essere dannosa per l'equilibrio ecologico deve essere proscritta....













Quanto è stato possibile rilevare nei giorni scorsi sui lavori di sminamento e predisposizione dei successivi interventi del primo lotto del “Progetto di rigenerazione” assolutamente non corrisponde alle “buone pratiche” sia storiche sia agronomico-colturali. Tralasciando il tema prettamente “storico”, vorrei illustrare perché ritengo quanto ho osservato nell’area degli scavi al Parco, dal punto di vista agronomico, negativo per la salute, la prosperità e la vita stessa delle piante.
Danni diretti agli apparati radicali: ad un superficiale esame non pare che questi danni provocheranno nell'immediato problemi alla tenuta statica dei diversi esemplari arborei interessati da questa prima fase di lavori. Andrebbero comunque approfondite nello specifico, per ogni esemplare interessato, le condizioni di danneggiamento dell’apparato radicale così da escludere l’eventualità di schianti nel breve periodo.

 Attualmente, essendo l'area interdetta al transito del pubblico il rischio derivante da eventuali situazioni critiche risulta evidentemente basso: e quando il luogo sarà restituito alla pubblica fruizione, chi si ricorderà dei precedenti interventi invasivi, delle ferite e criticità procurate al Parco nel suo complesso ed ai singoli individui vegetali che lo compongono? Chi ne valuterà le possibili conseguenze durante il trascorrere del tempo? Ovviamente nessuno. Tuttavia è certo che i danni inferti alle loro strutture radicali predisporranno i soggetti vegetali ad un più o meno rapido declino vegetativo.

Spiego meglio: le radici assorbenti acqua e sostanze nutritive hanno necessità di un'adeguata dotazione di ossigeno. Ecco perché sono presenti negli stati superficiali del terreno, soprattutto dove per molti anni questo non è stato disturbato. I lavori effettuati hanno determinato, in alcuni casi, una forte riduzione delle possibilità di assorbimento idrico e, se il periodo estivo sarà particolarmente caldo e siccitoso, si verificheranno prima difficoltà nutrizionali e poi sicuramente estesi disseccamenti delle chiome.

Inoltre la rottura degli apparati radicali e in particolare di radici di medie e grandi dimensioni, come verificato, favorisce la colonizzazione di queste strutture legnose da parte di agenti di marciumi radicali. E' nota la presenza nel complesso di Armillaria sp., noto come chiodino, fungo che ha un duplice comportamento: è un parassita ed anche, con parola tecnica, un saprofita, cioè si nutre di materia organica morta e partecipa quindi agli importantissimi processi di decomposizione. Comunque sia, il suo attacco è letale: una delle comode vie d’ingresso dell’Armillaria nell’organismo dell’albero è l’insieme degli estesi danni provocati agli apparati radicali, e sono predisponenti all’ingresso del fungo nelle radici anche le situazioni di stress e difficoltà vegetative. A conferma della presenza di questo fungo, ci sono attualmente sono in attesa di abbattimento almeno tre grandi alberi, portati a morte dall'Armillaria. Naturalmente i lunghi tempi di colonizzazione e di degradazione degli apparati radicali da parte di questi organismi fanno sì che per i tempi dell'uomo non è mai evidente un rapporto di causa ed effetto e le morie saranno ascritte ai cambiamenti climatici. Così che la responsabilità originaria non ha mai un nome e un cognome, e con questa certezza progettisti e pubbliche amministrazioni procedono imperterriti a rigenerazioni che meglio sarebbe chiamare “devastazioni”, gli uni in preda del proprio estro creativo che esclude di solito, e completamente, la previsione delle modalità di gestione agronomica di quanto hanno disegnato; e le altre con totale garanzia di immunità per il futuro.

Danni indiretti agli apparati radicali: il transito con pesanti mezzi meccanici e il deposito delle ingenti quantità di terreno scavato sulle superfici prative luogo di sviluppo degli apparati radicali provoca un notevole compattamento del terreno, asfissia e cambiamento dei parametri fisici e microbiologici dello stesso. L’alterazione del profilo del terreno con quanto attuato provoca un ulteriore danno chimico e microbiologico. Lo spostamento di queste masse solide diffonde i patogeni tellurici presenti.

Danni alla componente erbacea: il rimescolamento dei diversi strati del suolo determinerà, una volta ripristinate le superfici, crescite disomogenee del nuovo manto erboso, evitabili solo suppletivi interventi agronomici.

 Chiedere ragione e giustificazione a ASUGI, ERPAC e Regione Friuli Venezia Giulia dei lavori attuati finora al Parco Basaglia non solo si può ma si deve.
La mia opinione: la scelta di voler ripristinare l’assetto originario dei tracciati, anche con lo scopo di assicurarne la massima fruibilità, ha ed avrà un costo altissimo: perché gli scavi in corso (cui si aggiungerà ciò che è ulteriormente previsto dal progetto) intervengono su una situazione di fatto profondamente diversa da quella di partenza.  E lo fanno pesantemente, causando danni irreversibili e, ancor peggio, in evoluzione negativa, al Parco così come è sopravvissuto e giunto a noi, nonostante tutto quel che gli è toccato subire. Alla faccia delle raccomandazioni e della saggezza della Carta di Firenze.