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Un lembo di prato fiorito a
ridosso delle trincee scavate al parco Basaglia |
Le soluzioni basate sulla natura ( Nature - based solutions) non attecchiscono al Parco Basaglia, nemmeno nei prati sopravvissuti agli scavi.
di Giancarlo Stasi
Diversi
sono gli enti proprietari del complesso del Parco Basaglia e le superfici di
proprietà di ogni singolo ente sono poligoni irregolari che talvolta si
compenetrano.
Tale situazione patrimoniale, mi riferisco alle aree a verde, non ha mai
semplificato le diverse attività di manutenzione ordinaria e straordinaria. Con
buona probabilità anche la nascita e lo sviluppo del “Progetto di rigenerazione
urbana in chiave storico/culturale del Parco Basaglia a Gorizia” ha avuto -
nell’espressione delle esigenze e, passatemi il termine, delle pulsioni di
Asugi, Erpac e Comune di Gorizia - notevoli condizionamenti e fraintendimenti
istituzionali.
Inoltre, il passaggio delle competenze di realizzazione del progetto stesso
alla Direzione centrale patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi
informativi ha spostato lontano dal sito interessato ai lavori le necessarie
attività di verifica precedenti e contemporanee alle attività previste e
svolte. Voglio ricordare che non stiamo parlando di manufatti, che più o meno
rispondono a canoni standardizzati, ma di organismi viventi che nel loro
progressivo sviluppo si sono adattati alle puntuali condizioni climatiche e
pedologiche.
E
siamo giunti all’attuale sconquasso.
E’ di
questi giorni l’inizio dell’attività manutentiva delle superfici prative, dove
queste ancora esistono. E naturalmente anche qui si evidenzia quanto sia
incongruente una situazione che se fosse familiare definiremmo da “separati in
casa”: sono state falciate le aree prative d’ingresso e quelle poste tra la
palazzina Asap e C-Asugi, a sinistra della strada asfaltata di accesso al
complesso. Potrebbe sembrare una normale attività se non fosse che è stata
interrotta circa cinque metri prima del margine ultimo del prato, posto di
fronte alla palazzina Asugi: è una scelta o forse i diversi proprietari del
prato non si sono messi d’accordo? Considerando,
però, che si fa un gran parlare del parco come scrigno di biodiversità, del
declino degli insetti e soprattutto delle api come essenziali impollinatori,
delle sue funzionalità terapeutiche e della necessità di limitare i costi di
gestione non si capisce perché si prosegua ad adottare delle pratiche
manutentive non adeguate alle nuove consapevolezze ecologiche e sicuramente più
costose.
Perché,
come fatto già da altre amministrazioni pubbliche, non si adotta lo sfalcio
differenziato?
Tecnica in base alla quale i confini degli appezzamenti vengono regolarmente
rasati, mantenendo così il decoro che piace tanto, mentre la vegetazione
erbacea delle parti più interne e più ampie è lasciata libera di crescere e di
fiorire, effettuando su queste superfici solo due o tre tagli annuali.
Valutando correttamente i tempi di sfalcio, le fioriture delle piante annuali e
perenni sarebbero a disposizione della fauna impollinatrice e la profusione di
fiori e colori andrebbe sicuramente a beneficio di tutte le persone che a vario
titolo frequentano questo luogo. Non si dimentichi che un prato naturale svolge
una anche una funzione di regolazione termo-climatica, che è cosa di cui abbiamo
estremo bisogno, ed è sequestratore di carbonio, altra grande urgenza
collettiva.
Nella foto accanto, si nota a sinistra il prato rasato,
con un taglio così basso da mettere a rischio il manto erboso.
A destra il prato
intonso, nel quale si vedono le tracce dei pneumatici di mezzi pesanti, che miracolosamente
sono d'un tratto scomparsi dall’area, insieme ai materiali di cantiere che delimitavano spazi
del prato in cui evidentemente si prevedeva di proseguire con la serie di INSPIEGABILI trincee.
Voglio ricordare che in molti paesi europei, a partire dal Regno Unito, si sta
sempre più diffondendo sia in ambito privato sia pubblico il movimento
No Mow May (
https://www.plantlife.org.uk/),
che propone di lasciar riposare il tosaerba e di conseguenza anche l’operatore
per tutto il mese di maggio e lasciar
spazio a questa meravigliosa schiera di piccoli esseri che nel loro operare
compiono azioni indispensabili per la natura e di conseguenza per l’essere
umano, che è una piccola e distruttiva parte di questo insieme. In Italia sono
censite 944 specie di apoidei e tra gli impollinatori si annoverano anche
sirfidi, farfalle, falene, alcuni coleotteri e vespe: una infinita moltitudine
di insetti impollinatori che nell’ambiente contribuiscono al mantenimento
dell’ecosistema e sono indispensabili, molto più
delle api allevate, per assicurare i livelli produttivi della nostra
agricoltura.
E dirò di più: insieme alla contrazione delle aree destinate al
pascolo, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento ambientale anche di
origine agricola, la forte presenza di api allevate determina il fatto che gli
impollinatori selvatici rischiano grandemente di morire di fame. Conservare
prati naturali anche in città, nei parchi pubblici ma anche nei giardini
privati (le aiuole destinate alle api in mezzo al traffico sono di fatto
pericolose per gli insetti) è un’azione ecologicamente responsabile. Ma qui i
responsabili dove sono?
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Prato fiorito alla Certosa
di Pavia. Cartolina spedita nel 1979 |
Consiglio,
a chi volesse approfondire l’argomento riguardante gli insetti, due
gradevolissimi libri scritti dal prof. Dave Goulson, professore di biologia
all’Università del Sussex: “Il ritorno della Regina” e “Terra silenziosa”.
Interessanti notizie e informazioni sui bombi e su cosa fare per favorirne
presenza e sviluppo le trovate sul sito delle fondazione da Goulson creata:
https://www.bumblebeeconservation.org/ .
1 commento:
Ottimo articolo, che spiega e chiede spiegazioni, in attesa che anche i responsabili se ne rendano conto. Strana situazione che i migliori, i responsabili, i delegati a decidere con la maggior attenzione e oculatezza possibile del bene pubblico debbano venir costantemente edotti delle pratiche ecologiche. In attesa che anche loro capiscano invio cordiali saluti.
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