venerdì 31 agosto 2018

Il comitato NoBiomasseGo ai consiglieri comunali: vi siete accorti che l'iter centrale termoelettrica procede a gonfie vele?

I cittadini sollecitano i Consiglieri comunali sulla futura centrale termoelettrica di Sant'Andrea: il Comune intende reagire alla decisione di non sottoporre il progetto a Valutazione di impatto ambientale?



di Martina Luciani

Premesso che questa (e la precedente amministrazione comunale) non ha mai ritenuto di ammettere
(agendo di conseguenza) che l'impianto per il trattamento dei rifiuti di alluminio, autorizzato in via Trieste, per il fuzionamento del quale sono previste due centrali a biomasse tra i quartieri cittadini, si trova all'interno del "centro urbano", e non fuori da esso e ad una certa distanza dal suo confine, come prevede la normativa ( vecchia o nuova che sia); premesso quindi che da cittadina mi fido ben poco della volontà dell'ente esponenziale di agire prima a tutela degli abitanti di Gorizia, e poi a tutela propria e della propria visione di gestione del territorio; premesso che amministrazioni di destra, in giro per la Regione e per l'Italia, sono state capacissime di avviare consultazioni pubbliche sui progetti di pianificazione e sviluppo, ma la nostra no.....
Ecco, oltre a queste premesse, sul progetto della centrale termoelettrica a gas prevista sul margine della zona industriale, quindi a ridosso dell'area residenziale di Sant'Andrea, tutto tace nel Palazzo. O meglio, oggi la stampa riporta una serie di dichiarazioni dei consiglieri comunali intervenuti all'incontro promosso dal comitato NoBiomasseGO sulla questione.

martedì 28 agosto 2018

Il Battaglione fantasma del Kanin, di nuovo su Alpinismo Goriziano del Cai di Gorizia.

A firma di Cheto Paulet, sul numero 2/2018 di Alpinismo Goriziano ( già on line)  un racconto che ha come protagonista il Battaglione fantasma che sempre si aggira sull'acrocoro del Kanin.


di Martina Luciani

E' un diario assai intrigante, quello di Cheto Paulet, che ci riporta al 1953, quando le tensioni tra Jugoslavia e Italia determinarono lo schieramento delle forze militari di entrambi i Paesi lungo il confine, da Muggia a Tarvisio.
In quella circostanza il narratore, alpino della "Feltre", era distaccato con il suo plotone al Gilberti.
Nel corso di un'operazione di sorveglianza, scendendo dal monte Ursic, a Paulet e al suo compagno toccò l'esperienza, tutt'altro che rara lassù, di sentire, dentro un improvviso e fitto banco di nebbia, il rumore dei passi di persone dietro a loro, accanto a loro fino a dissolversi  più avanti.
Svanita all'improvviso la nebbia, nulla, niente tracce nella neve e nessuno in vista.

Fu, quello, l'incontro personale di Paulet con il Battaglione fantasma del Kanin, che molti hanno descritto, anche con qualche impressionante variante, come Dario Marini sul numero 4 di Alpinismo Goriziano del 2006.
Ho avuto modo di sentire questa curiosa esperienza da altri che l'hanno sperimentata in tempi recentissimi, durante un campo speleo sull'altopiano.

XII Battaglia dell'Isonzo. 24 ottobre 1917, gli schieramenti italiani nella conca di Bovec sono annientati; il maltempo imperversa, si interrompono i collegamenti, le truppe in quota, a difesa del Monte Rombon, sono isolate, ripiegano su Sella Prevala.  Ci arrivano, nella neve alta, il giorno dopo, e tengono la posizione nonostante i ripetuti attacchi delle truppe austriache.  Resistono, in realtà inutilmente (siamo in piena rotta di Caporetto), finchè si trovano completamente tagliati fuori, impossibile scendere a Nevea, ormai presa dagli Austriaci arrivati dal Predil.
Tanta neve, niente munizioni, niente cibo, unica prospettiva di salvezza attraversare in quota per cercare di scendere in Val Resia o verso Chiusaforte. Chi ci riuscirà, sopravvivendo a condizioni estreme, finirà prigioniero degli Austriaci. Ma un reparto scompare. Cheto Paulet, dice che quelli che vagano tra le tra i valloncelli e gli abissi del Kanin sono gli alpini del Dronero, morti nelle bufere di neve e tra i dirupi. E che il passato si è impresso nel calcare, come se fosse stato registrato, riaffiorando a volte: le rocce parlanti, è un'idea ricorrente, nelle storie degli uomini di ogni tempo e luogo.

Rimandando per approfondimenti sul Battaglione fantasma alla lettura di un articolo di Franco Gherlizza, propongo anche il racconto di Fabio Marson, su Bora.la, dove si ricompone almeno in parte il vasto puzzle di misteri che si conservano sul Kanin.
Ed in questa prospettiva (tante leggende non pervadono gli stessi luoghi per caso) vorrei suggerire a Cheto Paulet di considerare (...non so perchè, ma ho idea l'abbia già fatto...) che forse lassù, in quel mondo dove abissi spaventosi (per noi non speleologi) congiungono il cielo e il sole con le profondità ctonie e le oscurità insondabili persino dalle lampade frontali, accadono cose che non sono solo semplici registrazioni, ma manifestazioni del "giro d'aria" di porte che si aprono e chiudono tra il " sopra" e il "sotto", e tra le scansioni ( tutte umane) del tempo che scorre.



lunedì 27 agosto 2018

Gesù non aveva le scarpe.

Questo non è un post. E' un racconto. Dalle memorie di una meravigliosa signora che non c'è più. 



di Martina Luciani


Tereza, o meglio Rezi, avrà avuto allora si e no otto anni: già dolore e guerra avevano spezzato tanti incantesimi del suo cuore, e tuttavia lei continuava generosamente ad inondare il mondo con il gioioso candore e l’incontenibile entusiasmo con i quali si manifestava l’eccezionale qualità della sua energia vitale.
E che solo le impietose sorti della sua lunghissima vita riuscirono, seppure solo in piccolissima parte, ad affievolire, come quando il fuoco vigoroso senza ossigeno si immalinconisce in una fiammella pensierosa. Oscurandosi di blu e viola.
Nello stesso modo, innumerevoli decenni dopo, gli occhi di Tereza a volte si oscuravano di rimpianto per la perduta emozione infantile del  vivere ogni attimo in prossimità di qualcosa di meraviglioso e perfetto che sta per accadere. Per esserci donato: e così sempre quel suo rimpianto aveva un che di tenerezza, un sorriso di gratitudine per tutti i ricordi tanto belli e cari che nessuno poteva portarle via.
Ma alle volte diventava rabbia tagliente, soprattutto quando lei doveva fare i conti non solo con le asprezze del proprio destino ma anche con la slealtà e  l’ingiustizia subite da altri: che le vittime fossero i vicini di casa o i contadini di una risaia cinese, per lei era uguale.  
 
I maledetti ce la rubano, la bellezza della vita -   diceva  agitando le grandi e forti mani e diventando roca da tant’era emozionata - ce la strappano via, proprio a noi che non chiederemmo null’altro se non cantare come quel merlo là fuori, sull’albero, le lodi al Creato e  al suo Creatore.
Si sentiva costretta a dubitare che il mitico mondo della sua infanzia fosse il delirio di una vecchia zitella: e questo produceva smarrimento, agitazione, reale sofferenza fisica.
Quando la ricordo infuriarsi così, magari dopo aver sentito le solite nefandezze alla radio, che lei con brevi tocchi ai pomelli della sintonia pilotava tra un notiziario e l’altro, aveva già ottant’anni suonati ed una forza inusitata per la sua veneranda età. Ma senza quella forza non avrebbe potuto attraversare il Novecento con tanta lucidità e allegria, con un cognome sloveno e importante, tre o quattro lingue parlate perfettamente, profuganze e miseria, un cognato siciliano, un fratello partigiano, una sorellastra in Francia, un fratello a Torino e un altro sindaco del paese natale,  parenti sparsi in mezza Europa.  

L’inizio della guerra – che poi chiamarono Prima e Grande –minacciava grandemente il suo paese natio, in una conca aperta e soleggiata lungo la valle dell’Isonzo sorvegliata da un candido e vasto massiccio calcareo, il Kanin: parlando con me, di solito diceva Plezzo, in italiano, ma a volte Bovec in sloveno, Plez in friulano e anche Flitsh in tedesco, sempre quello è.

Salvare almeno la vita e quel che si poteva stipare in una valigia: molti, moltissimi se ne erano fuggiti per tempo, finendo nei campi profughi organizzati dall’amministrazione austroungarica. Altri avevano resistito finchè le bombe degli uni e degli altri ( ma che importanza aveva mai di chi fossero le granate che riducevano in sassi la tua casa? ) resero insostenibile il ritmo della lugubre orchestra che mai zittiva, mentre  il fronte sanguinoso avanzava ed arretrava con crudele capriccio, incurante di dividere in due la piazza, il cimitero, le case stesse del paese.

Io non so perché il padre di Rezi, Leopold, non avesse abbandonato il paese con i figli; la mamma era morta nel 1913, forse a lui che tanto l’aveva amata premeva ormai solo mettere tutti i bambini al sicuro, a casa di conoscenti che abitavano lontano, in una zona lontana dalla guerra. Rezi ricordava solo che, per inappellabile decisione paterna, venne organizzata la partenza, con i suoi tre fratelli e con sua sorella.
Qualcuno del paese era stato incaricato di badare a loro nel viaggio ma, nella concitazione e nel succedersi di mille inconvenienti, tra colonne militari e ondate di profughi in movimento, Rezi perse di vista i fratelli e si ritrovò sola, affidata al buon cuore di chi le disse “vieni con noi”.

Andava quel gruppo che l’aveva accolta in un villaggio in Carniola, lontano tanto da Plezzo quanto dal paese dove erano diretti i suoi fratelli: le spiegarono che a Stična c’era un piccolo campo per accogliere i poveracci che non sapevano dove mettersi in salvo, e che là qualcuno l’avrebbe aiutata. Così seguì la marea, mentre al gruppo man mano si accodavano altri profughi, e il loro cammino risuonava di parole desolate in sloveno, in italiano, in friulano, in dialetti dal timbro tedesco….

sabato 18 agosto 2018

19 agosto 1923: la morte di Nino Paternolli, 95 anni fa, nel canalone di Val Tribussa.

Riflessioni, amarezze, e un po' di link per non dimenticare.


La foto accanto è stata scattata nel 2003 da Carlo Tavagnutti, durante una esplorazione alla ricerca del punto dove Paternolli volò via dalle rocce e dalla vita. Casualmente ripropone l'identica prospettiva della fotografia scattata da Ervino Pocar, il 19 agosto 1923, proprio nel corso della sventurata ascensione al Poldanovec.


di Martina Luciani


" Sai, se osservi le foto del funerale di Paternolli, vedi che c'era la città intera. Una città che l'ha dimenticato alla svelta, che oggi non sa quasi più chi fosse, che non ha memoria dei suoi figli migliori e dà voce e lustro a personaggi di nessun valore" : così mi dice poco fa Marko Mosetti, direttore di Alpinismo Goriziano.
Ci siamo sentiti per ragionare sul come ricordare  Paternolli nel novantacinquesimo anniversario della sua morte, e rinsaldare un tessuto di  testimonianze di quella Gorizia che a forza di celarsi dietro sospetti e mistificazioni non si ritrova più.
Proviamo semplicemente a raccogliere i link della grande quantità di testi che Alpinismo Goriziano ha raccolto nel corso degli anni. Molto altro materiale è disponibile, su Internet e in libreria. Persino a fumetti, nel libro di Miriam Blasich, che si è ispirata alla biografia di Nino Paternolli di Luca Matteusich.Ma occasioni di riflessione ce ne sono ancora all'infinito.


2003. La Comunità locale di Tribussa superiore, Krajevna Skupnost Gorenja Trebuøa, realizza la sistemazione del sentiero per raggiungere la lapide in memoria di Paternolli, posta dal CAI Gorizia nel 1924, e divenuta pressochè irragiungibile nel corso del tempo.  Lo fa perchè qualcuno ispirò e volle questo recupero così denso di significati: lo storico di Idrija  Jurij Bavdaæ.

Il numero 3 di Alpinismo Goriziano di quell'anno dedica ampio spazio all'iniziativa e all'eventi inaugurale. Numerosi i testi, tra i quali quello del prof.Sergio Tavano: Nino morì come Carlo, di slancio. Con la precisazione: Con lui Gorizia cadde nel vuoto. Ma vanno letti, credete, anche gli altri interventi che rendono quel numero della rivista una vera e propria pietra miliare.
Imperdibile anche quanto Tavano scrive dieci anni dopo, sul numero 3/2013 di Alpinismo Goriziano: Nino Paternolli e il tramonto di Gorizia.Marko Mosetti, dedica Perdute tracce al racconto della ricerca del Canalone Hudournik ( rinominato, grazie agli stessi valligiani, Paternolli), dalla val Tribussa su verso il Poldanovec, e all'emozionante incontro, in un "tempo sospeso" perchè anello di congiunzione tra passato e presente, con il vecchio che valligiano che ricordava ancora i due signori di Gorizia, Nino Paternolli e il suo compagno, Ervino Pocar; e quest'ultimo sconvolto che riappariva chiedendo aiuto la sera dell'incidente, il recupero del corpo del caduto, ritrovato su per la montagna, lungo un cammino improbabile, pericoloso, intriso anche oggi di inquietudine e minaccia.

Sergio Tavano, nel 2002, sempre sulle pagine della rivista Alpinismo Goriziano, in un saggio intitolato Non soltanto montagne mute, riportando le memorie di Ervino Pocar (che inizialmente furono pubblicate, nei primi anni  20, sul bollettino sezionale del Cai di Gorizia)  consente (almeno per quelli come me)
una fondamentale interpretazione  di chi fosse Paternolli.
Nino era uno capace di cogliere,o forse accogliere, in cammino tra le montagne e contemplando l'immensità del cielo sopra la Val Trenta,  la forza della bellezza che, in certi luoghi e in certi indescrivibili attimi, ci consente la percezione abbagliante della nascita del mito. Ma la disse, questa scoperta universale, all'orecchio dell'amico, sussurrando. Il sussurro è arte espressiva ormai inarrivabile.
Ed in fondo è rifiuto della Rettorica e possesso assoluto dell'attimo presente e della Persuasione.

Quando  penso a Paternolli, e al suo mondo, mi ritrovo sempre una irrisolvibile malinconia: la Grande Guerra è stata così grande perché non è finita in una data , è proseguita nel tempo, ben  oltre i trattati di pace, un'onda di infinito dolore e raccapriccio si è distesa sul suolo, è  penetrata in ogni falda,  e attraverso le radici nelle chiome degli alberi e in ogni ciliegia, mela, albicocca, susina e chicco d'uva per chilometri in lungo e in largo in queste terre.
La maledizione non è un fatto letterario o esoterico, ha una sua recondita biologia.

venerdì 17 agosto 2018

Nuova centrale a gas a Sant’Andrea: il progetto non verrà sottoposto a V.I.A. Il Comune ricorrerà al TAR?


Una nota del Comitato NoBiomasseGO. Ricordando le rassicurazioni del Comune di Gorizia,  e le dichiarazioni sui "rigidi paletti" alla centrale a gas ( nella foto accanto, cronaca de Il Piccolo, 25 febbraio 2018)

 

Gorizia, 14 agosto 2018.

( il comunicato è stato ripreso in cronaca il 17 agosto da Francesco Fain qui)
Il Ministero dell’Ambiente ha  deciso  che il progetto di una nuova centrale termoelettrica a gas naturale della potenza complessiva di circa 148 MWt, a Sant' Andrea, proposto dalla TAI Energy Spa, non deve essere sottoposto a procedura di Valutazione di Impatto Ambientale.
In estrema sintesi si ricorda che la procedura tecnico- amministrativa di V.I.A. (Valutazione Impatto Ambientale) ha lo scopo di individuare, descrivere e valutare gli effetti sull’ambiente e sulla salute di un’opera, al fine di identificare tutte le opzioni alternative al progetto, compresa la sua non realizzazione (c.d. “opzione zero”). La normativa vigente, per questa tipologia di impianti, fissa in 150 Mwt il limite che obbliga la procedura di V.I.A.: non è dunque un caso che sia stato proposto e dichiarato un impianto di 148 Mwt.
La decisione del Ministero è coerente con quella analoga della attuale giunta regionale, ma lascia preoccupato e indignato lo scrivente comitato, al quale il prescritto meccanismo del controllo a posteriori di eventuali impatti e di situazioni di non conformità interessa ben poco. Tanto più che le centrali termoelettriche, ai sensi del D.M. 5 settembre 1994, sono classificate tra le industrie insalubri di prima classe. Il testo unico delle leggi sanitarie prevede che debbano essere “isolate nelle campagne e tenute lontane dalle abitazioni”.
I costi che a Gorizia e in Friuli Venezia Giulia stiamo pagando in termini di devastazione ambientale, di impoverimento di risorse e di abbassamento della qualità della vita sono già abbastanza alti per aver voglia di fare scommesse sulla bontà e utilità di un progetto industriale che è evidentemente privo di qualsiasi utilità sociale.
In un Paese dove il pericolo è in agguato nell'aria inquinata, nelle acque potabili avvelenate, nei fiumi che muoiono, nei boschi che bruciano, nelle frane che travolgono strade e case, nei ponti che crollano, i monitoraggi e controlli a posteriori lasciano il tempo che trovano e solo la severa e precisa procedura di VIA può dare garanzie e manifestare in via preventiva i rischi ed i problemi.
Nel caso specifico, l'effettivo impatto ambientale della centrale termoelettrica a gas sul territorio circostante e sull’area residenziale limitrofa, i reali dell’ inquinamento della centrale sommato con quelli già esistenti o attesi nel futuro da progetti già autorizzati.

domenica 12 agosto 2018

Gorizia: una città arrugginita. E dove sono i consiglieri per i rapporti con i quartieri?


In assenza dei consigli di quartiere, il sindaco Ziberna ha escogitato una sorta di OGM  di rappresentanza democratica, istituendo la delega ad alcuni consiglieri per i rapporti con i quartieri. Risultati: nessuno, mentre l'unico fenomeno riscontrabile di ossido riduzione, fisico e metafisico, è la ruggine. 



di Martina Luciani


Le deleghe sono state assegnate a

- Walter Bandelj per Piedimonte del Calvario, Oslavia, San Mauro, Piuma

- Franco Hassek per San Rocco, Sant'Anna

- Rinaldo Roldo per Lucinico, Madonnina del Fante

- Alessio Zorzenon per Campagnuzza, Sant'Andrea

- Franco Zotti per Montesanto, Piazzutta.

Nessuna delega per il quartiere centro città, chissà perché: forse freudianamente è una indiretta presa d’atto delle estreme condizioni urbanistiche e della scarsa qualità sociale dell’area.
Comunque girando tra le vie dei quartieri cittadini, tra nugoli di zanzare, strade dissestate, marciapiedi pieni di buchi e tranelli, aree incolte a ridosso delle abitazioni, aiuole pietrificate, mancanza di qualsiasi tipo di luogo di aggregazione al di fuori dei pubblici esercizi, cemento e viabilità poco “sensibile” ai pedoni e ai velocipedi, ci chiediamo che fine abbiano  fatto i “consiglieri delegati”.
Che dicono? Che pensano? Che cosa hanno in serbo per noi? Hanno mai riflettuto sul senso del quartiere quale indicazione di un luogo della città dove persone risiedono stabilmente,  individuano esigenze e maturano esperienze collettive, possono attivare relazioni di solidarietà e condividere consensi/ dissensi su temi e interessi extra personali, avviano percorsi culturali di scoperta e riconoscimento dell’ altro da sè?
Si pensava che i prodi rappresentanti del popolo incontrassero i cittadini in assemblee pubbliche per ascoltare  il vissuto e il desiderato, per raccogliere in presa diretta criticità e sviluppi sociali e culturali; o almeno, semplicemente, per raccogliere segnalazioni e suggerimenti.