Perchè ci facciamo gli auguri? Riflettiamo sul significato del termine perchè ogni atto deve avere un senso
di Marilisa Bombi
L'àugure era un sacerdote dell'antica Roma che aveva il compito di interpretare la volontà degli dèi osservando il volo degli uccelli, a partire dalla loro tipologia, dalla direzione del loro volo, dal fatto che volassero da soli o in gruppo e dal tipo di versi che emettevano.
Il verbo augurare è, quindi, sinonimo di auspicare.
In questi giorni di festa gli "auguri" si sprecano: ognuno di noi ripete questa parola centinaia di volte, anche se quasi sempre in modo meccanico.
Auguri... Auguri... Auguri...
Ma cosa stiamo augurando?
Pronunciando la parola "auguri" qual è il reale sentimento che ci anima?
Quando ripetiamo meccanicamente "Buon Natale" o "Buon Anno" lo facciamo perché sentiamo una reale vibrazione nel nostro Essere, o semplicemente perché é tradizione?
In realtà, quasi mai nel nostro animo stiamo davvero augurando INTENSAMENTE qualcosa a qualcuno.
La cosa saggia che potremmo fare quest'anno è individuare qualcuno che meriti davvero i nostri "migliori auguri", quelli più veri e sentiti, ed io credo che questo "qualcuno" siamo noi stessi.
Per carità, gli auguri un po' meccanici della tradizione vanno benissimo, perché fanno parte del folklore e dell'atmosfera festaiola, ma l'augurio vero, quello catartico dovremmo rivolgerlo alla nostra interiorità: augurare a noi stessi un vero "Natale", cioè una nuova nascita, ricordando che per cambiare e migliorare il mondo è necessario partire sempre da noi stessi.
Solo operando bene nel Microcosmo possiamo far sì che, per un fenomeno di Risonanza, cambi in meglio anche il Macrocosmo.
Se ciascuno di noi fa un piccolo salto quantico, allora TUTTA l'Umanità farà anch'essa la stessa cosa.
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