Votare si o no al referendum costituzionale di ottobre è una decisione che non può essere lasciata alla simpatia più o meno palese nei confronti degli schieramenti politici e partitici che ne sostengono un certo risultato. Ma è necessario porsi degli interrogativi a partire da quello, non irrilevante, sull'opportunità che una modifica alla Costituzione sia votata da un Parlamento eletto in base ad una legge, in parte dichiarata incostituzionale.
di Marilisa Bombi
Dopo il
referendum sul divorzio dei primi anni '70, quello che ci aspetta, ad
ottobre, è un altro referendum che sta dividendo l'Italia. "Tocca ai sostenitori del no cambiare scenario e imporre
un’altra narrazione, diversa da quella renziana. Tocca a loro, adesso, mostrare
che la riforma costituzionale non cambia proprio nulla. Semmai fotografa,
congelandoli per almeno vent’anni, gli attuali rapporti di potere.”
Con queste parole, il mio mentore, Mauro Barberis, dalle
pagine dei suoi Blog del Fatto quotidiano e di Micromega spezza una lancia a
favore del NO al referendum del prossimo ottobre.
E allora eccomi qua, doverosamente, a dire anche la mia su di una
questione che sta spaccando non solo l’Italia, ma anche un certo mondo
accademico. Da una parte, infatti, ex giudici di Corte costituzionale e docenti
univeritari, dall’altra, una schiera molto più numerosa di cui fa parte anche
Roberto Bin, docente di diritto costituzionale e componente della Commissione paritetica del Friuli Venezia Giulia.
Ma che la lista dei sostenitori della riforma sia così nutrita non mi tocca minimamente per due ordini di motivi. Il primo perché sposo, nel mio piccolo, le considerazioni dei giuristi che si sono espressi criticamente per questioni di merito. Il secondo motivo perché sono profondamente convinta che una modifica alla Costituzione, o meglio qualsiasi modifica alla Costituzione, non può essere approvata a colpi di maggioranza e, quindi per questioni di metodo. Nel senso deve essere formulato un testo capace di trovare il più ampio consenso parlamentare e non soltanto quello della maggioranza parlamentare. E ciò, soprattutto in relazione al fatto che per la validità dei referendum confermativi non è richiesta alcuna percentuale di votanti. Insomma, un paradosso. Ma la questione più delicata o scottante è la legittimità di questo Parlamento a votare una modifica alla Costituzione, quale ne sia il suo contenuto, più o meno rilevante. Sarà pur vero, infatti, che la Corte costituzionale nel cassare il Porcellum, due anni fa, a proposito della operatività di un organo eletto sulla base di una legge incostituzionale, ha affermato che: "le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.)". Ma evidentemente morale, etica ed opportunità sono termini sconosciuti all'attuale Governo.
Ma che la lista dei sostenitori della riforma sia così nutrita non mi tocca minimamente per due ordini di motivi. Il primo perché sposo, nel mio piccolo, le considerazioni dei giuristi che si sono espressi criticamente per questioni di merito. Il secondo motivo perché sono profondamente convinta che una modifica alla Costituzione, o meglio qualsiasi modifica alla Costituzione, non può essere approvata a colpi di maggioranza e, quindi per questioni di metodo. Nel senso deve essere formulato un testo capace di trovare il più ampio consenso parlamentare e non soltanto quello della maggioranza parlamentare. E ciò, soprattutto in relazione al fatto che per la validità dei referendum confermativi non è richiesta alcuna percentuale di votanti. Insomma, un paradosso. Ma la questione più delicata o scottante è la legittimità di questo Parlamento a votare una modifica alla Costituzione, quale ne sia il suo contenuto, più o meno rilevante. Sarà pur vero, infatti, che la Corte costituzionale nel cassare il Porcellum, due anni fa, a proposito della operatività di un organo eletto sulla base di una legge incostituzionale, ha affermato che: "le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.)". Ma evidentemente morale, etica ed opportunità sono termini sconosciuti all'attuale Governo.
Un'ultima considerazione mi sia consentita: i due distinti schieramenti di accademici che si sono schierato pro o critici a proposito della riforma, sono la dimostrazione, palese, del modo di governare che ha caratterizzato il nostro Paese da una decina d'anni in poi. Le osservazioni critiche redatte dal primo autorevole gruppo, infatti, che sono state presentate come utili osservazioni di coloro i quali "masticano" la materia sono state percepite come fastidiosamente conservatrici. La "massiccia" risposta dei sostenitori del "SI", invece, almeno a me è parsa come l'esecuzione di un ordine di scuderia governativo. Insomma, la dovuta difesa d'ufficio di chi, in un modo o nell'altro, fa parte (o ne ha fatto parte o spera di poter farne a parte) dell' establishment. E, pertanto, per quanto mi riguarda inizio e continuerò nella mia azione persuasiva a favore del NO, ovvero NO a questa modifica della Costituzione raffazzonata.
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