Non è possibile che la rivoluzione statale e regionale che investe le autonomie locali rimanga argomento per gli addetti ai lavori. Le leggi di riforma riguardano prima di tutto i cittadini. Tanto più che in questo caso travolgono quello che soltanto una decina di anni fa era considerato come attuazione del principio comunitario di sussidiarietà e del principio costituzionale di valorizzazione delle autonomie locali.
di Marilisa Bombi
Manuela Botteghi, capogruppo in Consiglio comunale per il
Movimento cinque stelle ha portato in primo piano, a livello cittadino, la questione della legge di
riforma delle autonomie locali. Ma ahimè, pare proprio che dei contenuti di
questa innovativa legge si interessino solo gli addetti ai lavori. Mentre, invece,
questa legge riguarda ogni cittadino della regione.
Chi scrive ed ha l’età giusta per poter guardare al “passato”
non può che prendere atto che questa è la vera rivoluzione compiuta dalla
generazione dei quarantenni che hanno deciso di rottamare non soltanto politici
o politicanti che dir si voglia per un necessario (a dir loro) ricambio
generazionale, ma l'intero assetto costituzionale. Ciò che, sotto un certo punto di vista, non si può non far notare, infatti, è
che viene ad essere travolto ciò che soltanto una decina di anni fa veniva
salutato come attuazione del principio comunitario di sussidiarietà e del principio
costituzionale di valorizzazione delle autonomie locali. La soppressione delle
provincie, in questo contesto, rappresenta la negazione di quanto nel 2001, con
la legge costituzionale 3 era stato entusiasticamente affermato nella riforma
del titolo V e, più specificatamente, con l’articolo 118. Ma chi vivrà vedrà, come si suol dire.
Allora, ed eravamo già nel terzo millennio, la parola d’ordine
era federalismo e decentramento. Due termini il cui contenuto era talmente
trabocchevole di novità da far trionfalisticamente titolare il commento alle
novità legislative, da parte di un quotidiano nazionale, “L' Italia? Ora è fondata sui Comuni” . E così, il Friuli Venezia Giulia, unica regione assieme alla
Sicilia a non aver mai decentrato le funzioni statali ai comuni che nel resto d’Italia
sono state trasferite già nel lontano 1998 (d.lgs 112) fa da avamposto alla
riforma delle autonomie locali nel momento in cui i comuni, soprattutto quelli
piccoli, sono stati privati di mezzi e di risorse. Insomma afflitti dallo
sfinimento ed incapaci di dare risposte ai cittadini.
Che dire? Perlomeno cerchiamo di capire che cosa sta
succedendo e dove stiamo andando. Essere cittadini consapevoli significa
prendere atto che siamo degli esseri umani straordinari, con diverse capacità,
che siamo parte di una comunità, che siamo noi gli artefici del destino e della
storia politica del luogo in cui viviamo. Cerchiamo pertanto di capire che cosa
sta succedendo nel nostro Paese, a partire dalla legge Delrio dello scorso
anno, dal quale è partita la trasformazione della Repubblica così come era stata
disegnata dal Costituente.
Un commento della legge statale n.56 del 7 aprile 2014 “Disposizioni
sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”
che ridisegna confini e competenze dell'amministrazione locale è disponibile cliccando qui
L'iter legislativo di approvazione della legge regionale 12 dicembre 2014, n. 26 “Riordino del
sistema Regione-Autonomie locali nel Friuli Venezia Giulia. Ordinamento delle
Unioni territoriali intercomunali e riallocazione di funzioni amministrative”,
pubblicata nel Supplemento Ordinario al BUR n. 23 del 17 dicembre 2014,i necessai approfondimenti e le schede di lettura sono disponibili qui.
3 commenti:
Marilisa Bombi fa un interessante e sintetico excursus politico-istituzionale che condivido: è quasi storia.. C'è molto disinteresse per quest'ultima riforma che cambierà i nostri Comuni e l'assetto istituzionale. Se poi congiungiamo tutti i punti fino ad arrivare alle riforme costituzionali in discussione in queste ore alla Camera, il disegno che appare è a dir poco inquietante!
La nuova legge risponde a due ordini di fattori.milmprimo e fare coincidere gli ambiti assistenziali della ASL con le nuove UTI. Il secondo è più politico e merita qualche considerazione. La disgregazione delle Province crea una maggiore omogeneità generale da parte delle UT. Alcune, quelle che contengono i capoluoghi di provincia (Gorizia, Udine e Pordenone), assumono una dimensione simile in termini di abitanti; altri, come Monfalcone, Cividale, ecc. raggiungono lo scopo di divenire naturale centro di aggregazione per i comuni contermini, altri ancora avranno davanti un percorso di collaborazione che determinerà nuove leadership e capacità di aggregazione. La legge, infatti, consente risistemazioni volontarie successive, ma soprattutto pone le basi per avere centri di competenza amministrativa, sulle materie proprie, di dimensione maggiorie, che dovrebbe assicurare in prospettiva una razionalizzazione. Le materie sono anch'esse risistemate,avendo la Regione avocato a se quelle che meglio consentono una pianificazione non frammentaria. Tra queste la promozione del prodotto turistico FVG e la viabilità infracomunale. Sta ai comuni ora, in particolare ai maggiori, guadagnarsi forme di leadership riconoscibile è una pianificazione dei propri percorsi per denotare un'identità che possa garantire sviluppo e vivibilità.
Siamo all'inizio di un nuovo percorso che necessita di auto programmazione, anche ricorrendo a forme di concorso pubblico-privato, con project financing e altre forme di valorizzazione.
La riforma è come minimo zoppa. la Regione non ha delegato ancora nulla e lo stesso riasultato si sarebbe ottenuto con semplici accordi di collaborazione. Altra cosa sarebbe stata definire ambiti comunali minimi , favorendo l'accorpamento delle municipalità per arrivare a una reale semplificazione con solo due figure istituzionali: la Regione con soli compiti legislativi e di coordinamento e i Comuni "riformati" con tutte le altre competenze. Il tutto ristrutturando contestualmente l'allocazione del personale.La riforma attuale invece moltiplica i centri decisionali e di potere, senza aumentare l'efficienza amministrativa e probabilmente senza risparmiare sulle spese. Un pateracchio.
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