Ho scoperto per caso un piccolo prato cittadino che per
varietà botaniche si presta ad una sperimentazione locale di quello che viene
definito “prato naturale". Una città che si vanta d’esser un giardino, ben
potrebbe condividere le più virtuose tendenze della gestione del verde urbano,o no?
di Martina Luciani
Passando a piedi nell’area verde di Lungo Isonzo Argentina vedo una pianticella
familiare sul bordo del prato. Impossibile, mi dico, non può esserci Achillea
in città, cresce in campagna, meglio ancora nelle radure in montagna dove
soffre meno il caldo e dove vado a raccoglierla per utilizzarne in famiglia le
grandi virtù terapeutiche ( lo sapeva già Achille, che la usava per curare i
compagni feriti sotto le mura di Troia).
E invece si, il prato è felicemente colonizzato da moltissima Achillea - qualche stelo ha già la sua corolla di fiorellini bianchi, e tanti altri rigogliosi ciuffi di inconfondibili “millefoglie” si preparano alla fioritura - felicemente mischiata ad altri fiori ed erbe, un insieme eterogeneo, colorato e pieno di aggraziata biodiversità.
A Bologna il Comune ha in piedi da alcuni anni il progetto Bio Habitat, che si
propone di attuare la gestione del verde finalizzata alla creazione di un
equilibrio tra pianta, ecosistema urbano, abitanti e frequentatori delle aree
verdi, la diffusione di tecniche a basso impatto ambientale, la tutela della
biodiversità e della micro e macro fauna, l’eliminazione dell’impiego dei
prodotti di sintesi per la difesa delle piante. In questo contesto, il Comune ha realizzato
diversi prati naturali, con lo scopo dichiarato di incrementare la biodiversità nel contesto
cittadino, ridurre il numero di sfalci e quindi i costi della manutenzione,
favorire gli insetti pronubi ( non ci sono mica solo le api, tra gli insetti di
cui dobbiamo aver cura).E invece si, il prato è felicemente colonizzato da moltissima Achillea - qualche stelo ha già la sua corolla di fiorellini bianchi, e tanti altri rigogliosi ciuffi di inconfondibili “millefoglie” si preparano alla fioritura - felicemente mischiata ad altri fiori ed erbe, un insieme eterogeneo, colorato e pieno di aggraziata biodiversità.
Ecco, noi un prato naturale ce l’abbiamo bello e fatto. Spero che qualcuno suggerisca all’amministrazione comunale di varare l’esperimento.
Cosa bisogna fare: innanzitutto limitare (per ora) lo sfalcio alla sola cornice del prato. Molto d'effetto anche il creare, in occasione dello sfalcio dei bordi, uno stretto "sentiero" che attraversa il prato, magari con una linea sinuosa: un invito ad osservare le piante e nello stesso un modo per enfatizzare il fatto che il prato naturale è una scelta ricca di significati e non una trascuratezza.
Poi le piante cresceranno, fioriranno, gli insetti faranno il loro lavoro e i semi si disperderanno; allora si provvederà allo sfalcio completo.
Certo, chi apprezza i prati vellutati e le realizzazioni verdi standardizzate, non importa a quale prezzo ambientale, noterà l’innovazione e probabilmente penserà che i giardinieri comunali hanno ignorato la manutenzione di quell’area. Quindi tocca anche installare un pannello che spieghi il perché e il percome di un prato naturale in città, nel quadro generale dell’importanza del verde urbano per la vita delle persone (dalla sempre troppo ignorata fotosintesi fino alla mitigazione del calore, senza trascurare tutti gli altri servizi ecosistemici), e dia una spintarella all’evoluzione del gusto e ad una maggiore percezione del valore paesaggistico nei luoghi del nostro quotidiano.
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