Da stanotte, nel cuore dell'inverno, si è riproposto a Gorizia il problema dell'accoglienza migranti. Più che fornire coperte e sperare nella clemenza delle temperature notturne, altro il volontariato locale non ha potuto fare se non lanciare l'allarme e un appello alle istituzioni, ai cittadini, alle associazioni, alle forze politiche. Il meccanismo dei trasferimenti gestito dalla Prefettura nuovamente è in stallo e un luogo coperto e sicuro in alternativa all'asfalto delle pubbliche vie e piazze non sembra si possa trovare in tutta la città.
di Martina Luciani
In quest'ultimo periodo, dopo la scelta dell'amministrazione comunale di chiudere la galleria Bombi senza mettere a disposizione un luogo chiuso e minimamente attrezzato dove sistemare i profughi, in qualche modo la situazione era rimasta sotto controllo. Il tendone aperto con la collaborazione di Curia diocesana e Medici Senza Frontiere ha consentito di disporre di 60 posti, mentre la sala della Caritas di piazza San Francesco ha sopperito ai momenti di sovraffollamento e la parrocchia di San Rocco è intervenuta offrendo gli spazi e la solidarietà dei parrocchiani per gestire una distribuzione di cibo e indumenti.
Adesso è inutile e capzioso discutere sulle dimensioni, sulle dinamiche e sulle ragioni e sul significato dei flussi di profughi: non si è riusciti, stanotte, a sistemare tutti, ci sono esseri umani che dormono all'addiaccio e continueranno a farlo finchè la richiesta della Prefettura di Gorizia relativa ai trasferimenti da Gorizia in altri centri di accoglienza non troverà risposta. Una risposta sempre più difficile da ottenere, ce ne rendiamo conto, con l'aggravante non solo della mancanza di un piano di emergenza comunale ma di una qualsiasi possibilità di ragionamento con l'amministrazione in carica: ragionamento basato sui fatti e sulla valutazione oggettiva, invece che su una serie di stigma politici assolutamente avulsi dalla realtà globale dei flussi migratori, xenofobi e destinati ad implodere ( non oggi, forse non domani, ma probabilmente dopo domani) con gravi conseguenze pratiche per tutti, cittadini inclusi.
Avere gente che bivacca all'aperto è una crisi umanitaria che si perpetua in molte altre città, della nostra regione e dell'Italia: vero, ma noi vorremmo essere diversi, vorremmo dimostrare a noi stessi che siamo capaci di dare una soluzione a questa devastante situazione, in cui si è formata - qui, nel cuore della civiltà europea - la classe dei paria, piazzati al livello più basso dell' umanità. No, forse più sotto ancora.
Restiamo umani è l'appello che deve continuare a risuonare: chi può e chi deve si metta all'opera. Non ha importanza in questo momento di chi sia la competenza e la responsabilità: un negozio inutilizzato, un magazzino vuoto, un capannone in attesa di destinazione, una vecchia palestra in disuso, un posto qualsiasi dove rendere concreti i principi solidaristici di qualsiasi comunità civile che si sia evoluta oltre i tempi delle palizzate appuntite e delle mura che difendevano i villaggi e i borghi. Oppure, se non ci piace ricorrere alle categorie, come la "solidarietà", per paura di un eco moralistico o di ritrovarci alle prese con quella cosa misteriosissima che è l'etica, facciamo ricorso a criteri economici, giuridici, sociali, quelli veri però, non quelli dei talk show: arriveremo alla stessa conclusione, restiamo umani.
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