Se alla giunta Illy si poteva rimproverare l'arroganza e a quella di Tondo l'insipienza, la compagine attuale si distingue per l'arrogante insipienza. Il ricordo della strage del Vajont non ostacola l'uso scellerato del territorio né le millanterie: lo afferma Aldevis Tibaldi del Comitato per la Vita del Friuli rurale. Il comunicato del 10 ottobre 2017.
OTTOBRE 2013.
Nell'ottobre del 2013 la sopraintendente Maria Giulia Picchione celebrò il cinquantesimo anniversario della strage del Vajont con una mostra di significativa rilevanza: inaugurata ad Erto fu replicata nei capoluoghi di Provincia nel sostanziale disinteresse dei media e dei politici regionali. Nonostante abitasse a due passi dal municipio, la bandana del tuttologo Mauro Corona disertò l'inaugurazione e fra i presenti ci fu chi addebitò la cosa alle conseguenze di una sbronza. Di altra natura fu l'assenza, o per meglio dire il disinteresse, della governante e dei fracabotoni di Piazza Oberdan, preoccupati di alienarsi il consenso degli immobiliaristi, che nella serietà della Soprintendente avevano trovato pane per i loro denti.
Quella del Vajont fu a tutti gli effetti una strage di Stato rimasta sostanzialmente impunita. Come se non bastasse, il fiume di denaro che fu riversato per mitigare il dolore dei sopravvissuti e la cattiva coscienza di uno Stato complice dei padroni dell'energia, finì per alimentare la corruzione e il bieco affarismo degli sciacalli. Una macchia indelebile, che anziché suscitare la perenne indignazione e la formazione di una commissione parlamentare d'inchiesta, nel 2011 il Parlamento Italiano ha voluto travisare, limitandosi a definire il Vajont un monito per “le tragedie provocate dall'incuria umana”. Come dire che quel genocidio altro non è stato che il frutto di una svista e non il deliberato, consapevole ed inevitabile effetto di chi ha voluto fregarsene di quel vistoso pericolo incombente, da tutti preconizzato.
Nell'ottobre del 2013 la sopraintendente Maria Giulia Picchione celebrò il cinquantesimo anniversario della strage del Vajont con una mostra di significativa rilevanza: inaugurata ad Erto fu replicata nei capoluoghi di Provincia nel sostanziale disinteresse dei media e dei politici regionali. Nonostante abitasse a due passi dal municipio, la bandana del tuttologo Mauro Corona disertò l'inaugurazione e fra i presenti ci fu chi addebitò la cosa alle conseguenze di una sbronza. Di altra natura fu l'assenza, o per meglio dire il disinteresse, della governante e dei fracabotoni di Piazza Oberdan, preoccupati di alienarsi il consenso degli immobiliaristi, che nella serietà della Soprintendente avevano trovato pane per i loro denti.
Quella del Vajont fu a tutti gli effetti una strage di Stato rimasta sostanzialmente impunita. Come se non bastasse, il fiume di denaro che fu riversato per mitigare il dolore dei sopravvissuti e la cattiva coscienza di uno Stato complice dei padroni dell'energia, finì per alimentare la corruzione e il bieco affarismo degli sciacalli. Una macchia indelebile, che anziché suscitare la perenne indignazione e la formazione di una commissione parlamentare d'inchiesta, nel 2011 il Parlamento Italiano ha voluto travisare, limitandosi a definire il Vajont un monito per “le tragedie provocate dall'incuria umana”. Come dire che quel genocidio altro non è stato che il frutto di una svista e non il deliberato, consapevole ed inevitabile effetto di chi ha voluto fregarsene di quel vistoso pericolo incombente, da tutti preconizzato.
OTTOBRE 2017
Ebbene, in occasione del cinquantaquattresimo anniversario della strage, la governante non ha celebrato la ricorrenza con l'ufficialità dei comunicati che vengono strombazzati a piene mani dal sito della Regione per celebrare se stessa o i fasti della Barcolana, bensì con un fugace twitter che lascia il tempo che trova.
Ebbene, in occasione del cinquantaquattresimo anniversario della strage, la governante non ha celebrato la ricorrenza con l'ufficialità dei comunicati che vengono strombazzati a piene mani dal sito della Regione per celebrare se stessa o i fasti della Barcolana, bensì con un fugace twitter che lascia il tempo che trova.
Eccola dunque assegnare la causa della tragedia “all'incuria
e al dolo degli uomini”, e si badi non a caso ha parlato di uomini e non di
istituzioni, come se il fatto debba essere imputato unicamente alla
responsabilità dei singoli e non debba invece riguardare le complicità della
pubblica Amministrazione che hanno permesso ai singoli di portare a termine i
loro disegni criminosi con le modalità di una vera e propria associazione per
delinquere.
I FATTI: L’ELETTRODOTTO REDIPUGLIA- UDINE OVEST
Orbene, siccome “le ciacole non fa fritole” basterà vedere come la governante ha onorato con i fatti l'anniversario della strage del Vaiont.
In effetti se la famigerata diga doveva servire alla produzione di energia, quale migliore occasione per restare in tema e servire gli interessi dei padroni del vapore portando a termine l'elettrodotto Redipuglia Udine ovest? Opera questa che di certo non produrrà una strage, ma solo un indelebile e mortificante oltraggio alle qualità paesaggistiche della nostra Regione: senza poi contare l'inconfondibile segno di vassallaggio e di perpetua rassegnazione che esso rappresenta. Quando si pensa in grande come fa la piccola governante c'è da aspettarsi di tutto, persino di raggiungere traguardi altrimenti irraggiungibili.
IL CONSUMO DI SUOLO IN FRIULI VENEZIA GIULIA
In effetti i dati più recenti dell'Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA) relativi al 2016 parlano chiaro e ci mettono ai vertici nel consumo di suolo. Cosicché, mentre gli ambientalisti di regime continuano a vendere magliette e gadget multicolori, del fatto se ne sono accorte persino le associazioni di categoria del mondo agricolo: quelle stesse che ieri hanno sacrificato i loro aderenti per favorire la costruzione dell'elettrodotto e che oggi emettono lagnosi guaiti.
Il fatto è che, nonostante la crisi dell'edilizia, la nostra
è la Regione d'Italia con il consumo di suolo più alto e non a caso è anche
l'unica a non aver portato a termine il Piano Paesaggistico Regionale. Se la
media italiana è pari al 7,6 %, quella regionale tocca l'8,9%: valore ben
superiore alla media europea che si attesta al 4,3%. Peggio di noi sarebbero
solo la Germania, il Belgio e l'Olanda, ma solo apparentemente, perché se
detraiamo le zone montuose, per loro natura inospitali, il consumo di suolo
nella nostra Regione balza al 14,6%, quando la media italiana è ferma al 12,7%.
Numeri da capogiro, che pongono in tutta evidenza la assoluta inidoneità della
nostra classe politica e della burocrazia che ne è la fedele emanazione. La
facilità con la quale si autorizzano le edificazioni di zone industriali, di
nuovi centri commerciali e residenziali è fonte di una contestuale crescita e
diffusione territoriale dei relativi servizi e dei collegamenti viari. Ne
derivano costi sempre più insostenibili per la loro realizzazione e per il loro
mantenimento, ma anche una moltiplicazione dei costi energetici ed una plateale
sottrazione di terre fertili altrimenti dedicate ad una produzione agricola di
qualità, nonché ad una funzione ecologica a tutela degli ecosistemi e a
beneficio della qualità dell'aria, delle risorse idriche e quindi della salute.
Le urbanizzazioni e i nuovi centri commerciali desertificano i centri abitati,
il piccolo commercio e quindi incidono sulla coesione sociale, sulle afflizioni
psichiche e sui processi di spaesamento dei residenti. Sono processi a catena
dalle conseguenze talvolta inimmaginabili quelle che si possono sviluppare a
seguito di una gestione del territorio lasciata nelle mani dell'improvvisazione
o degli interessi particolari. Basti pensare agli effetti che la
cementificazione del territorio produce a seguito delle precipitazioni, ovvero
delle alluvioni che si producono per la minore capacità di ritenzione del
terreno, quindi per i ridotti tempi di corrivazione delle acque di pioggia.
TERZA CORSIA A4.
Andando di meno negli studi televisivi romani a fare la prima della classe, di certo avrebbe avuto più tempo da dedicare al territorio e alla scelta di collaboratori competenti e meno inclini alla supina obbedienza. A volerlo, avrebbe anche allentato l'abbraccio dei poteri forti e smesso di favorire la realizzazione di una terza corsia che costa quanto una nuova autostrada e che si è arrogata il diritto di invadere una fascia abnorme di territorio, ben superiore al necessario, sottratta all'agricoltura, all'habitat naturale e ai suoi acquiferi: una fascia tanto larga da tagliare in due la pianura friulana e impedire ogni trasmigrazione di specie animali e vegetali.
Andando di meno negli studi televisivi romani a fare la prima della classe, di certo avrebbe avuto più tempo da dedicare al territorio e alla scelta di collaboratori competenti e meno inclini alla supina obbedienza. A volerlo, avrebbe anche allentato l'abbraccio dei poteri forti e smesso di favorire la realizzazione di una terza corsia che costa quanto una nuova autostrada e che si è arrogata il diritto di invadere una fascia abnorme di territorio, ben superiore al necessario, sottratta all'agricoltura, all'habitat naturale e ai suoi acquiferi: una fascia tanto larga da tagliare in due la pianura friulana e impedire ogni trasmigrazione di specie animali e vegetali.
Senza poi contare che tutto ciò è avvenuto in fretta e furia
prima che la Comunità Europea decretasse la fine del monopolio della Autovie e
sottraesse quella gallina dalle uova d'oro all'arbitrio della politica
regionale. Un lotto che sembra fatto ad personam, tant'è vero che, dopo la
nostra segnalazione alla Comunità Europea, la governante, alias Commissaria
Straordinaria per i lavori dell'A4, si è affrettata a mandare in appalto le
tratte che lo precedono e lo seguono, per rendere quei lavori legittimi, ovvero
funzionali al collegamento fra un casello autostradale e quello successivo.
Senza contare che per tagliare la strada all'iniziativa censoria della Comunità
Europea i lavori sono partiti a razzo, indifferenti al fatto che, coincidendo
con la stagione di maggior traffico, avrebbero provocato infiniti disagi e una
caterva di incidenti, talvolta mortali.
Per aggirare l'ostacolo della decadenza della concessione la
governante non ha esitato a inventarsi la creazione di una società pubblica che
non esiste e che serve a gettare fumo negli occhi di una Comunità Europea che
si lascia infinocchiare. Poco male, visto che ha messo subito le mani avanti ed
è corsa dal Prefetto -quello che per affermare la sua terzietà ha dichiarato di
stare dalla sua parte- e con lui ha firmato un protocollo d'intesa per concordare ogni misura utile a lavarsi le mani di fronte
alle conseguenze penali degli incidenti autostradali che ne sarebbero seguiti.
Storie di ordinaria follia? Si direbbe di no: sono solo storie di cinici
interessi che per essere conseguiti non guardano in faccia a nessuno, né al
contribuente che paga con le sue tasse opere pubbliche spesso inutili e dai
prezzi gonfiati, né all'utente che si sobbarca gli accresciuti pedaggi
autostradali e i continui disagi, né i contadini espropriati, che continuano a
non essere remunerati e che per giunta continuano a pagare le tasse sugli
immobili che sono stati sottratti con tanto di decreto commissariale.
Le prevaricazioni sono all'ordine del giorno, eppure la
pillola viene indorata a suon di comunicati autocelebrativi, perché da che
mondo è mondo è vero solo ciò che appare, e alla bisogna basta un giornalista
morto di fame o, per meglio dire, immorale.
In effetti basterebbe guardarci attorno e scopriremmo che gli elettrodotti si possono interrare, che nel Parmense hanno deciso di piantare sul bordo autostradale una barriera verde di ventiduemila nuovi alberi, mentre da noi si spreca una foresta per infiggere trenta mila tronchi sui bordi del porto canale dell'Aussa Corno al solo scopo di triplicare l'importo dei dragaggi.
In effetti basterebbe guardarci attorno e scopriremmo che gli elettrodotti si possono interrare, che nel Parmense hanno deciso di piantare sul bordo autostradale una barriera verde di ventiduemila nuovi alberi, mentre da noi si spreca una foresta per infiggere trenta mila tronchi sui bordi del porto canale dell'Aussa Corno al solo scopo di triplicare l'importo dei dragaggi.
Non è forse questo andazzo il naturale erede della stessa
criminale arroganza che procurò la strage del Vajont? La stessa che si fece beffe delle coraggiose
previsioni della giornalista dell'Unità Tina Merlin?
Aldevis Tibaldi - Comitato per la Vita del Friuli ruralehttps://www.facebook.com/comitato.friulirurale
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