E' la sindrome Nimby quella che serpeggia in città, o la nascita di comitati esprime la sofferenza di una città mal governata, ignorata rispetto le sue esigenze di sviluppo sostenibile e di prospettive a lungo termine, svenduta agli interessi privati, oggetto di scambio proprio là dove si manifestano e chiedono valutazioni precauzionali gli interessi primari della salute, dell'ambiente, dei diritti?
di Martina Luciani
Quando si usa l'ultima accusa possibile, il Nimby, e attraverso l'attribuzione di uno stereotipo
si semplifica, standardizza e de - individualizza il malessere di una comunità,
significa probabilmente che non ci sono più argomenti seri per riqualificare il
rapporto cittadino - ente esponenziale. E si sancisce che, invece di aspirare
legittimamente ad un dialogo democratico con i rappresentanti
istituzionali, l'individuo può solo
tentare una interlocuzione con il potere,
proprio quello che egli stesso ha
costituito attraverso i meccanismi elettorali. Il singolo, quindi, svilito perchè escluso dalla gestione dela cosa
pubblica e costretto in una posizione di svantaggio rispetto la tutela dei suoi
diritti ( nel senso che deve pagare di tasca sua per attivare la verifica sugli
atti amministrativi) non può che unirsi ad altri singoli portatori delle sue
medesime aspettative, ritrovandosi paradossalmente ad essere considerato con
modalità gravemente impregnate di pregiudizio e dissimulata ( non sempre)
ostilità.Il guaio è che a forza di portare il peso di uno stereotipo, Not in my
backyeard, si consacra poco per volta una stigmatizzazione assai curiosa: il
cittadino radicalizza le qualità negative che gli sono attribuite quasi con
orgoglio, e oppone all'interlocutore pubblico, oltre alle proprie ragioni,
anche ulteriore pregiudizio e sospetto. La quantità di comitati e gruppi
spontanei dovrebbe far riflettere la politica sulle proprie incapacità e sulla
devianza inaccettabile dal ruolo che dovrebbe svolgere: la rappresentatività e
la ponderazione degli interessidella della collettività.
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