Al sequestro di alcune aree Fincantieri segue la serrata
dell'intero stabilimento di Monfalcone: azione inconsulta,tanto
più perché esercitata da una azienda dello Stato. Il caso
è la conseguenza diretta della nuova stagione di prevaricazioni santificata
con il Job Act. Insidiati i diritti dei lavoratori e negato ogni
controllo sui subappalti, l'azienda, anziché mettersi in regola, aizza i
sindacati e i politici di pochi
scrupoli contro la Magistratura e la legalità.
di Aldevis Tibaldi
Comitato per la vita del Friuli Rurale
Negli ultimi 20 anni, di ricatti occupazionali ne abbiamo visti a iosa. Nulla di meglio che
barattare la dignità e la salute dei lavoratori in cambio di un posto di
lavoro, per giunta precario e per giunta sulla pelle della popolazione che vive
in prossimità dell'area industriale. L'Ilva di Taranto ne ha ha rappresentato
l'esempio più eclatante e disgustoso, senza dimenticare la ferriera di Servola
o la città di Monfalcone dove le vittime dell'asbestos sono a chiedere
giustizia dopo aver ingurgitato la polvere maledetta per decenni, senza che
nessuno li avesse mai informati che stavano andando a morte certa. Una
ecatombe. Eppure il cinismo del padronato e degli oligarchi non sembra avere fine,
specialmente con i tempi che corrono, dominati da un capo del governo che
millantando una investitura popolare dispone del voto acritico di un nugolo di fraccabottoni che sembrano aver messo il cervello e la coscienza all'ammasso.
Un clima fertile per fare il bello e il cattivo tempo e oltremodo
gradito all'oligarca di turno che profittando della paura di una crisi
economica che sembra costruita ad arte per durare e per mettere tutti sull'attenti,
approfitta per assestare un colpo tremendo alla classe operaia, anzi la
utilizza per mettere all'angolo la Magistratura e per certi versi la stessa
democrazia.
E' presto detto: dopo che il tribunale superiore ha disposto il
sequestro di alcune aree adibite allo stoccaggio e al trattamento dei residui
delle lavorazioni delle ditte in subappalto, la Fincantieri ha ordinato la
serrata dell'intero stabilimento di Monfalcone. Una azione a dir poco
inconsulta ed immorale, tanto più perché esercitata da una azienda dello Stato
al cui vertice siede chi è nominato dal Presidente del Consiglio.
Una reazione a dir poco esagerata che attraverso il fermo di
tutte le attività lavorative estranee alle poche aree poste sotto sequestro
palesa una volontà che travalica la osservanza dell'ordine giurisdizionale. Un
modo plateale per farsi scudo delle maestranze, dei sindacati e della
cittadinanza tutta per contestare radicalmente e con tutta la massa mediatica
possibile la Magistratura: l'unico organismo a non essere funzionale al potere
esecutivo. Un colpo basso dagli effetti disastrosi, tanto più se non censurato
prontamente dal Presidente del Consiglio che della nomina apicale è il solo
responsabile. Allora sì che può essere inteso come un premeditato attentato alla Costituzione, tanto più in
considerazione del fatto che l'ordinanza è stata emessa nell'ambito di una
lunga indagine della magistratura isontina avviata nel 2013 e quindi tale da
potersi risolvere per le vie brevi, in maniera composta e indolore, come si
conviene ad una azienda che non naviga in cattive acque e che, operando nel
settore delle navi da crociera, avrebbe avuto tutto l'interesse ad evidenziare
il suo attaccamento ai requisiti ambientali di eccellenza. Ci sarebbe voluto
poco per mettersi in regola e anche oggi, anziché abbaiare alla luna, tenere
fuori dai cancelli migliaia di operai preoccupati per il futuro, organizzare
tavoli ministeriali insieme all'amministratore delegato che ha disposto la
provocatoria chiusura dell'intero cantiere navale, sarebbe stato sufficiente
richiedere che il sequestro si tramutasse in un cosiddetto sequestro con
facoltà d'uso. E che dire di quel fraccabottoni che in un impeto di patriottica
ricerca della visibilità, ha predisposto una interrogazione per chiedere
l'immediato invio di ispettori ministeriali presso una Procura di Gorizia
debilitata da una insufficienza cronica di magistrati. Ebbene, dopo il famigerato Job Act e la
pistola fumante del licenziamento per chi non si fa servo e non va sulle
barricate per coprire le inadempienze della dirigenza, le prevaricazioni sono
diventate all'ordine del giorno. Ad approfittarne e ad assumere posizioni ricattatorie nei
confronti dei dipendenti sono stati in molti, ma soprattutto i peggiori. E i
peggiori sono anche quelli che sanno abusare dell'ambiente e che meglio di
tutti sanno approfittare della carenza dei piani ambientali e domani sapranno
giovarsi della genericità del nuovo sistema sanzionatorio ambientale della
legge 68. Per quanto sia fonte di ingiustificato orgoglio da parte dei suoi
proponenti, di questa legge abbiamo già dato un parere poco lusinghiero, ma
oggi torniamo sull'argomento per criticare a ragion veduta il generoso
atteggiamento premiale nei confronti di chi si ravvede e, una volta scoperto a
commettere un reato ambientale -anche se grave-, è disposto ad “adoperarsi” per
evitare che la azione delittuosa venga portata a conseguenze peggiori. Sconti
di pena assai generosi che ricordano le sanatorie di infausta memoria e che
nella genericità dei pentimenti e delle azioni riparatorie trova aleatorie
valutazioni. Senza contare come la apprezzabile volontà del legislatore di
incentivare comportamenti riparatori si possa tradurre in attività di
lunghissimo periodo inconciliabili con l'andamento processuale, se non in vere
e proprie prese in giro.
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