venerdì 3 luglio 2015

Ansia da ‘lavavetri'? Tutta colpa di Honsell



Il Tar dovrà decidere sul diritto al risarcimento dell'automobilista infastidito dai lavavetri




di Marilisa Bombi

Udine non è un’isola felice, l’ho scoperto anch’io quando ci sono ritornata dopo un’assenza di anni, anche se le vie del centro continuano a trasudare ricchezza. Ma non immaginavo fosse anche intollerante.

Sarà il giudice amministrativo a dover decidere se il Comune di Udine dovrà risarcire un l’automobilista per il «danno esistenziale» che gli è stato causato dal «disagio» e dall'«ansia» provocati dalla fastidiosa presenza dei "lavavetri" ai semafori. E’ quanto hanno stabilito le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 13568 depositata il 2 luglio, ovvero ieri. Ciò in quanto la questione va decisa in punta di diritto: non è configurabile un «diritto soggettivo» ma semmai un «interesse legittimo» del cittadino all'adozione da parte dell'ente di provvedimenti «contingibili ed urgenti» atti a tutelare la «sicurezza urbana».

Per l’automobilista, invece, la presenza di pedoni «ben vestiti e ben pasciuti» che «domandano insistentemente soldi sulla strada comunale» è equiparabile «al tronco caduto sull'asfalto e perciò [...] fuori posto rispetto al diritto di circolare dell'automobilista ricorrente». Per cui, allo stesso modo, il Comune sarebbe «tenuto alla materiale attività di sgombero della carreggiata da tali pericoli/insidie per garantire la sicurezza e la fluidità del traffico».

Il tribunale di Udine invece nello stabilire la giurisdizione amministrativa ha sostenuto che il danno lamentato non derivava direttamente dalla strada («la cosa in custodia»), per effetto di un'omessa attività materiale del Comune, ma dalla mancata adozione di adeguate misure volte a fermare l'accattonaggio, e cioè dal mancato esercizio di poteri autoritativi, che in sostanza altro non potrebbero essere che le ordinanze per la sicurezza urbana volute dall’allora ministro dell’interno Maroni.
Tale posizione è stata confermata dalla Suprema corte secondo cui la richiesta di «aiuto» o il «mendacio», caratterizzandosi come «attività umane», non possono essere poste sullo stesso piano dell'obbligo di «pulizia delle strade», «mera attività materiale», gravante sull'ente proprietario ai sensi dell'articolo 14 del Codice della strada. Nella prima ipotesi, infatti, l'azione amministrativa deve sempre muoversi nel rispetto della «dignità umana» e, come chiarito dalla Consulta (115/2011), deve sempre incontrare una «delimitazione della discrezionalità amministrativa» a tutela della libertà dei consociati i quali devono sottostare unicamente agli obblighi di fare, non fare o dare, previsti in generale dalla legge.

Nel caso concreto, invece, ci si è trovati di fronte al mancato esercizio da parte del sindaco del potere di emanare provvedimenti «contingibili ed urgenti» per fronteggiare «gravi pericoli» che minacciano l'incolumità pubblica. Sarà dunque il tribunale amministrativo di Trieste a valutare se nell'ordinamento c’è, o meno, una norma che accordi tutela alla posizione giuridica dell’automobilista incavolato «cittadino automobilista fruitore di strade pubbliche».

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