martedì 15 maggio 2018

Ad AGORE', il 15 maggio 18, si "mostra" la Comunità extraordinaria. Volontariato e richiedenti asilo. In fotografia e in video.

Volontariato nell'emergenza e nelle grandi e piccole azioni di integrazione, volontariato che offre cibo e ripropone anche a se stesso un'idea e una pratica di comunità spesso sbiadita: un progetto in itinere, importante per riflettere su anni di variegate esperienze, per riconoscersi uguali attorno ai Diritti fondamentali delle persone indipendentemente dalla propria provenienza politica o religiosa, per immaginare e condividere progetti e utilità future.


di Martina Luciani


Il sottotitolo del progetto COMUNITA' EXTRAORDINARIA recita:

volontàri e richiedenti asilo | ingredienti di una quotidianità invisibile.

Gli ingredienti materiali dell'esperienza raccontata sono semplici: cibo, the caldo, coperte, scarpe per sostituire quelle rotte durante lunghi viaggi, panni puliti, acqua e sapone, assistenza medica, presenza.  Tutto ciò interpretato da persone che in maniera volontaria si sono messe a disposizione dei loro simili, giunti fino qua per chiedere asilo, sicurezza, una vita "normale", lavoro, pace.  Il volontariato ha colmato un vuoto tangibile, si legge nel comunicato della presentazione del progetto: parole delicate per dire che i cittadini sono intervenuti  a correggere le mancanze delle istituzioni e la crisi umanitaria che troppi, pervicacemente, continuano a disconoscere, qui e nel resto dell'Europa.

Ma la combinazione degli ingredienti descritti non si è risolta in una somma di azioni e interventi: ha poco per volta creato e inserito nella vita di questa città una dimensione dove essere cittadini ed essere persone si sovrappone e si salda nella più semplice e abbagliante pratica dell'accoglienza, della solidarietà tra esseri umani, dell'uguaglianza, della dismissione della paura del diverso e dello sconosciuto.
Invisibile, come ben sappiamo, è anche l'elettricità, ma senza non sapremmo più come fare. Ecco, penso che la quantità di energia attivata dall'esperienza del volontariato in questa città esangue e demotivata sia un patrimonio, disponibile tra l'altro per tutti, come un enorme pannello fotovoltaico, cui attingere per ripristinare significati personali e collettivi indispensabili a trasformare un centro urbano in una città, a dare al toponimo Gorizia  un valore trasmissibile come eredità alle generazioni future, a riformulare l'idea stessa di collegamento non già come esperienza virtuale di socialità ma come base fondante della socialità. Non è sempre esperienza facile, non è sempre armoniosa: ma è sempre importante e non cancellabile.

Si legge nel comunicato del progetto:

"....volontari e richiedenti asilo. Persone tra persone. La cucina come soglia accessibile, porta d’ingresso in una casa comune, verso una cultura diversa. Oltrepassare questa soglia significa conoscere, assaporare, partecipare alla costruzione di un mondo diverso, i cui ingredienti sono Rispetto, Incontro, Dialogo, Sostegno, Contaminazione.
 E vogliamo raccontarla così, attraverso i volti e la luce emanata da tante persone che nella quotidianità di azioni tanto semplici, quanto dirompenti, riescono a fondere gli ingredienti di una società partecipe e attenta.
 Proprio come un ingrediente che entra nella composizione di un miscuglio, al fine di ottenere il risultato voluto, l’integrazione appare necessaria quanto possibile.
 La parte fotografica del progetto si compone di ritratti volutamente semplici ma non per questo meno significativi. Ritratti che fermano una comune espressione, quella che normalmente compare sul volto della persona dopo aver detto “sì”alla richiesta di poterla fotografare. In COMUNITA’EXTRAORDINARIA le foto dei volontàri e richiedenti asilo di Gorizia si mescolano tra loro, accomunate dalla medesima risposta affermativa che non è solo fiducia in un progetto artistico ma principalmente dichiarazione di riconoscimento e sintonia tra esseri umani.
Il video muove i passi della narrazione attraverso alcune ricette dei volontari che partecipano a questo vero e proprio laboratorio sociale. Il tamtam è serrato tanto quanto i ritmi temporali e gli accadimenti a cui queste persone hanno fatto fronte negli ultimi anni. Entrambi i progetti visivi sono un primo passo di testimonianza e sollecitazione riflessiva, due momenti tanto di scambio quanto di consapevolezza di sé di una comunità in cammino.
Il nostro grande ringraziamento va a tutta la rete dei volontàri di Gorizia e ai richiedenti asilo che hanno reso questo progetto possibile. Il breve tempo in cui è nato e ha preso forma non sarebbe mai stato così denso e ricco senza un coinvolgimento così unanime."

Il progetto di Fabiola Faidiga e Gianna Omenetto, con i testi di 
Lorella Cucit, è nato dalla collaborazione con la Rete Volontari di Gorizia, con l'Associazione di promozione sociale Agorè di Gorizia e l'Associazione culturale per lo sviluppo del territorio Casa C.A.V.E. di Visogliano e si inserisce, nella sede di via Rastello 49, nella mostra Il labirinto aperto, dove nascono i futuri.  





venerdì 11 maggio 2018

Le parole pesano come pietre. Quando riguardano richiedenti asilo, rifugiati, migranti sono particolarmente aguzze

Un caso, una disattenzione, ma l'abbiamo notato eccome, e chi non avesse esercitato il proprio spirito critico, comunque l'ha assimilato: il concetto di una locandina esposta oggi dai giornalai. E l'associazione a parer mio arbitraria di due notizie, con un effetto emozionale non indifferente.



di Martina Luciani

L'Isonzo ripulito dai migranti.
Considerate la storia goriziana locale, le infinite diatribe sugli accampamenti dei profughi nella jungle, l'attenzione, vera o di scopo, per la loro sicurezza, l'incapacità dell'amministrazione locale di gestire la presenza dei richiedenti asilo se non con ostilità e indifferenza: bene, la frase in questione sollecita l' immaginazione del cittadino sull'ipotesi che i richiedenti asilo di stanza a Gorizia siano stati definitivamente cacciati dai loro accampamenti improvvisati con una operazione analoga alla raccolta e smaltimento dei rifiuti.

Che non è in alcun modo il contenuto dell'articolo nella cronaca di Gorizia, dove si parla di tutt'altro, cioè delle operazioni di pulizia delle boscaglie e dei percorsi lungo le rive a cura degli stessi richiedenti asilo, residenti al Nazareno e coordinati dagli operatori che li seguono.
L'attrazione fatale verso una notizia che poi in verità non c'è, ma che a molti piacerebbe leggere, è rafforzata dalla proposizione subordinata attraverso un improbabile "ma" quasi esistesse una contrapposizione o una causalità tra le aree lungo Isonzo ripulite nel tratto goriziano dai migranti e " al Cara sale la tensione".

Al Cara, che sta a Gradisca d'Isonzo, la tensione è stata registrata, questo si, e riguarda le operazioni di sgombero in area golenale delle strutture definibili come baraccopoli che servivano quale campeggio diurno per i richiedenti asilo in convenzione e anche quale rifugio stabile per quelli fuori convenzione. In questa situazione si interseca il problema, annoso, della preparazione dei cibi, distribuiti poi anche a pagamento quale alternativa ai pasti disponibili all'interno del Cara. I richiedenti asilo non hanno apprezzato ed hanno protestato.

Per rimettere ordine: a Gorizia i profughi hanno diligentemente effettuato pulizie sulle rive del fiume, a Gradisca sono state sgomberate dalla boscaglia lungo l'Isonzo capanne e rifugi, ed ora è formalmente vietato ( e sanzionato) accendere fuochi, cucinare, abbattere alberi, costruire altre strutture....ma il fatto che, come se le persone fossero sporcizia, ci sia stata una "pulizia di migranti", bè, questo  non è accaduto, nè a Gorizia nè a Gradisca.

Inutile ricordare che la Carta di Roma parla chiaro su quanto sia scorretto e grave dare informazioni  imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti; e sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti anche attraverso improprie associazioni di notizie.

Preferisco invece ricordare Ugo. Quando ero molto giovane, e lavoravo come collaboratore a Il Piccolo, Ugo era lo stenografo cui via telefono dettavamo le notizie che non era stato possibile far partire materialmente con il cosidetto fuorisacco, consegnato all'autista della corriera che dalla Ribi partiva alla volta di Trieste.
Ugo era  personaggio misterioso, che maltrattava senza remore chi ( me inclusa) dettasse pasticciando e costringendolo a correzioni. Si diceva avesse, oltre al suo lavoro, un incarico speciale: scrivere l'oroscopo. Non era ufficiale, ma tutti ne erano convinti e garantivano ghignando che se lo inventasse di sana pianta, assaporando con malizia i possibili impatti  delle sue indicazioni astologiche sugli ignari lettori. Ecco, io penso che nel caso di questa locandina, che personalmente mi lascia basita, sia successa una cosa analoga agli oroscopi di Ugo, voglio credere al netto della malizia che veniva imputata all'oscuro stenografo.


lunedì 7 maggio 2018

Festa dell'Europa, 9 maggio: riflessione sul contributo delle donne all'unificazione e alla costruzione di una comune, pacifica identità europea.

La storia dell’Europa unita non è stata scritta solamente da uomini: il contributo femminile al processo di unificazione è stato notevole ed importante, sotto ogni punto di vista, teorico, politico e culturale, ovvero nella costruzione sentimentale dell’idea di un’Europa unita e di un’identità europea ( " L'Europa è una questione d'anima!"
Una importante pubblicazione del Senato della Repubblica, disponibile on line.  


di Stefano Cosolo



Il 9 maggio si celebra la Festa dell’Europa. La data scelta è quella dell'anniversario della storica dichiarazione, nel 1950 a Parigi, dell'allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman,  nella quale espose la sua idea di una nuova forma di cooperazione politica per l'Europa, necessaria per scongiurare in futuro  un’altra  guerra tra le nazioni europee.

Ma la storia dell’Europa unita non è stata scritta solamente da uomini. Sebbene anche nella celebre firma dei Trattati, avvenuta a Roma, il 25 marzo 1957, non fosse presente alcuna donna, il contributo femminile al processo di unificazione è stato notevole ed importante, sotto ogni punto di vista, teorico, politico e culturale, ovvero nella costruzione sentimentale dell’idea di un’Europa unita e di un’identità europea.

Un interessante pubblicazione che  ricorda alcune delle protagoniste del processo di unificazione europea è edita dal Senato della Repubblica e si intitola  “Donne che hanno fatto l’Europa” (2017), scaricabile all’ indirizzo web http://www.senato.it/4596?pubblicazione_anno_pubblicazione=2017 a cui rimando per una lettura più approfondita e completa.

Da questa pubblicazione, come da altri studi e ricerche, emergono anche molte “madri” dell’Europa unita, tra queste si ricordano, ma l’elenco è tutt’altro che esaustivo,  Anna Siemsen, Louise Weiss, Ada Rossi, Ursula Hirschman, Fausta Deshormes La Valle, Simone Veil, Marga Klompé, Christiane Scrivener, Katharina Focke, Colette Flesch, Eliane Vogel–Polsky, Sofia Corradi.

Di seguito alcuni brevi accenni relativi a due di  queste donne, Anna Siemsen e Louise Weiss, le quali cominciarono a parlare e a scrivere di scuole comuni, moneta comune, mercato comune un secolo fa, quando l’Europa si trovava  ancora nel mezzo del dramma della  Grande Guerra.

Anna Siemsen (1882-1951), deputata socialista al Reichstag, esule in Svizzera negli anni del nazismo al potere e figura chiave del Movimento Socialista per gli Stati Uniti d’Europa nella Germania del dopo­guerra.

Anna, una tranquilla insegnante nelle scuole femminili dell’Impero, in seguito alle tragiche vicende della Grande Guerra che coinvolsero anche la sua famiglia, divenne una convinta pacifista, europeista e socialista. Pedagogista per vocazione predicò un sistema scolastico che avesse “il bambino come punto di partenza” e la “comunità umana come punto di arrivo”. È la sua convinta idea della necessaria ricerca di una “pace europea” che la resero famosa in tutto il continente, pace che poteva trovarsi solamente realizzando in Europa una comunità pacifica, plurilingue, plurireligiosa, pluriculturale, curio­sa e aperta all’altro, che si sarebbe lasciata alle spalle l’autoritarismo, il militarismo, il nazionalismo, l’odio per il diverso e, inevitabilmente, la guerra.

Sicuramente un’«antesignana», come la definisce la sua biografa Francesca Lacaita (“Anna Siemsen. Per una nuova Europa. Scritti dall’esilio svizzero”,  F. Lacaita, Franco Angeli edizioni, 2010) e anche una visionaria, non solo per «la modernità del suo approccio che anticipa per certi versi in maniera sorprendente i modi in cui si pensa e s’immagi­na oggi l’Europa», ma anche per i temi trattati,  più che mai attuali: la convivenza tra culture e religioni, la costruzione consapevole di un’i­dentità comune ma rispettosa della diversità, un’unione che non sia solo dettata dagli interessi dell’economia e della grande finanza, ma anche e soprattutto, diceva e scriveva Anna, «dal diritto e dalla libertà».


Louise Weiss,
(Arras 1893 - Parigi 1983)  politica, femminista e intellettuale francese fu tra le prime donne a intravedere, già verso la fine degli anni Venti, la possibilità della costruzione di una Europa comune, di un mercato comune, di una moneta unica, di una comune identità culturale europea.
Seguì le proposte del ministro degli esteri francese
A. Briand e fondò e diresse, negli anni Trenta,  la rivista L'Europe nouvelle, sostenendo da un lato il riavvicinamento tra Francia e Germania, dall'altro, con la costituzione dell'associazione "La Femme nouvelle"  la lotta per le pari opportunità, la dignità politica per le donne francesi e la conquista del voto, ottenuto il 21 aprile 1944 con un'ordinanza firmata dal generale Ch. de Gaulle.

«Mi sembra, in questo momento, di aver attraver­sato questo secolo e solcato il mondo solo per venire in­contro a voi come innamorata dell’Europa…». Questa è la voce di Louise Weiss, a Strasburgo, il 17 luglio del 1979. Aveva ottantasei anni e una lucidità straordinaria. Era una leggenda vivente – giornalista, scrittrice, cineasta, viaggiatrice, fotografa – che quel giorno diventava, sia pure per poche ore, la prima Presidente del primo Par­lamento europeo eletto a suffragio universale diretto. In qualità di decana dell’Assemblea, ossia la più anziana, spettava a lei la parola. Quelle pronunciate da Louise Weiss furono parole  sull’Europa piene di poesia e di visioni, di passione e di speranza : «Questione d’anima! L’Europa è una questione d’ani­ma!».
Tra le altre protagoniste del processo di unificazione europea raccolte nella pubblicazione del Senato, ci sono anche Marga Klompé, l’unica donna eletta nell’Assemblea della CECA del 1952, Chri­stiane Scrivener, diventata nel 1989 la prima commissa­ria alla fiscalità, Eliane Vogel–Polsky, l’avvocato che ha portato davanti alla Corte di giustizia la mancata appli­cazione dell’articolo 119 del Trattato di Roma sulla parità di salario tra i sessi, Sofia Corradi, soprannominata "mamma Erasmus" in quanto ideò e costruì il programma Erasmus per l'interscambio degli studenti fra le università europee: donne che hanno creduto e perseguito con  convinzione l’idea  che  l’unità dell’Europa e la riconcilia­zione tra i sopravvissuti dei terribili conflitti bellici  fossero l’unica risposta in grado di restituire una speranza alle future generazioni.