di Marilisa Bombi
Centri commerciali
aperti, ragazze e ragazzi che ciondolano nei caffè del corso e se chiedi loro notizie
circa la possibile partecipazione alla manifestazione a Pordenone, ti guardano
allucinati: ma di che cosa stai parlando? Insomma più che quarant’anni sembra
passato un secolo da quando la festa del primo maggio era la Festa per
antonomasia, con la banda che, ad esempio, a Farra, di buon mattino, attraversava
le vie del paese e la mia nonna che, di norma, trascorreva le giornate festive
assieme a noi, aveva difficoltà a raggiungerci perché nemmeno le corriere
circolavano in quel giorno.
La manifestazione a
Monfalcone in piazza che si concludeva, inevitabilmente, con il corteo dei
trattori arrivati dalla provincia. Ed, infine, per chi era di Gorizia, il
raduno a San Floriano, nell’osteria delle Taccò a cantare fino a tardi
Contessa, Cara moglie, e poi, via via che le ore trascorrevano, le canzoni
diventate ornai patrimonio collettivo di una generazione. Di protesta, si
diceva allora. Adesso, a riascoltarle, come Bella ciao, sono il canto disperato
che accompagna la paura di un futuro sempre più oscuro.
Cosa significa oggi festeggiare
il primo maggio che lavoro per le nuove generazioni non c’è o, se c’è è
comunque precario? Riempiamo questa giornata di nuovi contenuti, di riflessione
sulla solidarietà che non c’è, sul mancato senso civico di una generazione che
non può guardare al futuro con serenità e certezza del domani. Cerchiamo di
essere, almeno oggi, un po’ più altruisti e leggere con un po’ di speranza il
messaggio che il Presidente del Consiglio ha inviato a tutti i lavoratori del
pubblico impiego, quale indizio di un percorso condiviso ed innovativo.
Questo il testo della lettera:
"Vogliamo fare sul serio.
L'Italia ha potenzialità
incredibili. Se finalmente riusciamo a mettere in ordine le regole del gioco
(dalla politica alla burocrazia, dal fisco alla giustizia) torniamo rapidamente
fra i Paesi leader del mondo. Il tempo della globalizzazione ci lascia inquieti
ma è in realtà una gigantesca opportunità per l'Italia e per il suo futuro. Non
possiamo perdere questa occasione.
Vogliamo fare sul serio,
dobbiamo fare sul serio.
Il Governo ha scelto di
dare segnali concreti. Questioni ferme da decenni si stanno finalmente
dipanando. Il superamento del bicameralismo perfetto, la semplificazione del
Titolo V della Costituzione e i rapporti tra Stato e Regioni, l'abolizione
degli enti inutili, la previsione del ballottaggio per assicurare un vincitore
certo alle elezioni, l'investimento sull'edilizia scolastica e sul dissesto
idrogeologico, il nuovo piano di spesa dei fondi europei, la restituzione di 80
euro netti mensili a chi guadagna poco, la vendita delle auto blu, i primi
provvedimenti per il rilancio del lavoro, la riduzione dell'IRAP per le
imprese. Sono tutti tasselli di un mosaico molto chiaro: vogliamo ricostruire
un'Italia più semplice e più giusta. Dove ci siano meno politici e più
occupazione giovanile, meno burocratese e più trasparenza. In tutti i campi, in
tutti i sensi.
Fare sul serio richiede
dunque un investimento straordinario sulla Pubblica Amministrazione. Diverso
dal passato, nel metodo e nel merito.
Nel metodo: non si fanno
le riforme della Pubblica Amministrazione insultando i lavoratori pubblici. Che
nel pubblico ci siano anche i fannulloni è fatto noto. Meno nota è la presenza
di tantissime persone di qualità che fino ad oggi non sono mai state coinvolte
nei processi di riforma. Persone orgogliose di servire la comunità e che fanno
bene il proprio lavoro.
Compito di chi governa
non è lamentarsi, ma cambiare le cose. Per questo noi, anziché cullarci nella
facile denuncia, sfidiamo in positivo le lavoratrici e i lavoratori
volenterosi. Siete protagonisti della riforma della Pubblica Amministrazione.
Nel merito: abbiamo
maturato alcune idee concrete. Prima di portarle in Parlamento le offriamo per
un mese alla discussione dei soggetti sociali protagonisti e di chiunque avrà
suggerimenti, critiche, proposte e alternative. Abbiamo le idee e siamo pronti
a intervenire. Ma non siamo arroganti e quindi ci confronteremo volentieri,
dando certezza dei tempi.
Le nostre linee guida
sono tre.
Il cambiamento comincia
dalle persone. Abbiamo bisogno di innovazioni strutturali: programmazione strategica
dei fabbisogni; ricambio generazionale, maggiore mobilità, mercato del lavoro
della dirigenza, misurazione reale dei risultati, conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro, asili nido nelle amministrazioni.
Tagli agli sprechi e
riorganizzazione dell’Amministrazione. Non possiamo più permetterci nuovi tagli
orizzontali, senza avere chiari obiettivi di riorganizzazione. Ma dobbiamo
cancellare i doppioni, abolendo enti che non servono più e che sono stati
pensati più per dare una poltrona agli amici degli amici che per reali esigenze
dei cittadini. O che sono semplicemente non più efficienti come nel passato."
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