Pasqua, Numi, auguri, Mr. Hyde: pensieri e parole in (assoluta) libertà…
di Nevio Polli
Auguri, auguri, auguri… ancora auguri. Non ci mancano
davvero occasioni per farli e scambiarli. Questi, per Pasqua, sono di rito e
quindi inevitabili, doverosi e dunque, ........... i migliori
auguri di una serena Santa Pasqua. Non sarà però facile trovarla questa
serenità, basta guardarci intorno. E si sprofonda nella tenebra più profonda e
dolorosa.
Ma torniamo agli auguri. Quanti auguri ci facciamo? E cosa
sono questi auguri, da dove vengono, qual è il loro significato, il senso?
Quelli collettivi cominciano doverosamente col primo giorno dell’anno e, in
teoria, dovrebbero valere e bastare per tutto l’anno, ma poi già subito
qualcuno, più malizioso o burlone, approfitta anche del giorno della Befana;
arrivano poco dopo quelli molti più teneri e dolci di San Valentino, quindi c’è
la festa della Donna e subito dopo quella del Papà; arriva Pasqua, il primo
Maggio, la Mamma e ora mi sembra anche i nonni; poi finalmente tregua e si
salta direttamente a Natale per poi riprendere subito con Capodanno ecc.. In
mezzo però anche una miriade di piccoli rituali domestici e occasioni
personali, dai classici buongiorno, buonasera, buonanotte, buon appetito e
buona salute ai compleanni, onomastici, comunioni, cresime, matrimoni, nascite,
diplomi, lauree… insomma un’infinità di “ti auguro…”.
Ma perché lo facciamo, e perché proprio questa parola
“augurio”? E’ una tradizione lontanissima, romana nella sua derivazione
etimologica, ma già prima, nel suo rito, anche etrusca, greca, celtica… insomma
un’usanza che trova radici praticamente in tutti i popoli e culture. Ci viene
dal latino “aùgures”, ossia l’interpretazione (“auspicia”) che gli “Aùguri”
(sorta di indovini-sacerdoti) davano per spiegare il favore o meno degli dei
difronte ad una possibile scelta che la comunità o un singolo individuo si
apprestavano a fare: meglio la pace o si fa la guerra, il raccolto sarà
abbondante o ci sarà la carestia, è il luogo adatto per costruire una città,
vivrò ancora o dovrò morire… e via così. Un rito di divinazione dunque: se
fulmini, nubi, vento, aquile o corvi o altri presagi venivano da sinistra,
allora gli dei erano favorevoli, se invece da destra meglio non fare niente.
Poi qualcuno, nel tempo, deve aver fatto un po’ di confusione e tutto si è
capovolto: ora da evitare sono invece i “sinistri presagi”. Comunque si
guardava sempre in alto, verso il cielo, verso il divino, verso colà ove si
puote ciò che si vuole. Quindi, riassumendo, gli Aùguri confermavano la
benevolenza o meno degli dei, e noi, in veste di moderni Aùguri non facciamo
altro che ripetere quei lontani riti, chiedendo a Dio la sua attenzione e la
sua benevolenza per la persona alla quale stiamo “augurando” quelle belle cose.
Già, ma a quale Dio, noi Cristiani, oggi, la chiediamo
questa benevolenza? A chi ci rivolgiamo inconsciamente affinché il nostro
augurio venga ascoltato? Al Figlio, che ha patito come un uomo e si è
sacrificato per la nostra salvezza o al Padre che invece l’ha mandato a patire
e morire e non ha fatto niente per salvarlo, anzi, aveva già scritto, Lui,
tutto? Al Figlio che ha predicato la bontà, l’amore, la fratellanza, o al Padre
che invece, per liberare il suo popolo, ha mandato l’Angelo della Morte a far
strage di tutti i primogeniti egiziani, colpevoli soltanto di esser nati tali?
Al figlio che niente ha chiesto per sé e tutto ha voluto donare agli altri o al
Padre, capace della scandalosa richiesta fatta ad Abramo di sacrificare, a Lui,
il figlio Isacco? A quale Dio chiediamo intercessione per accompagnare i nostri
Auguri? A quello buono, certo… Ma, un momento, Dio Padre e Gesù non sono forse
la stessa persona? Il Padre e il Figlio non sono sempre Uno (e qualche volta
anche di più)? Ma chi sono allora in realtà queste figure, queste entità
soprannaturali alle quali ci rivolgiamo affinché i nostri buoni auguri possano
arrivare fino ai nostri cari? Forse che uno è il dio buono e l’altro il dio
severo, inflessibile, crudele? E sono sempre Lui-Loro che consentono tutto
questo orrore che circonda il nostro quotidiano? O forse semplicemente se ne
disinteressano, o (se mai ci sono) hanno altro da fare? O forse sono in realtà
un’identificazione simbolica, trascendente, di quel Male e quel Bene che, come
dentro ciascuno di noi, anche lassù, nel Settimo Cielo, si guardano, si
confrontano e si scontrano? In fondo non abbiamo forse creato Dio a nostra
immagine e somiglianza? E dunque perché meravigliarsi se anche lassù c’è un Dr
Jekill e un Mr. Hyde.
Oggi però, purtroppo, sul trono c’è Hyde.
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