domenica 26 ottobre 2014

Immigrazione: dall'Isonzo al capannone di via Trieste. Organizzazione inesistente.

Coscienze a posto.

di Martina Luciani


Direi che questo è l'unico risultato dell'operazione che ha spostato il gruppo degli accampati sul fiume: al coperto, certamente, via dalla pioggia e dal gelo, ma in che contesto igienico e logistico! Roba da vantarsene alle Nazioni Unite, da far invidia ai campi profughi in Africa.
Per il resto nulla: una parte delle persone ospitate ricevono da mangiare, una parte no ( ci pensano i volontari con acrobatici trasferimenti di pentoloni e provviste da casa, in modo che almeno un piatto caldo al giorno sia assicurato), una parte ha una branda una parte dorme a terra, un'unica doccia e un unico servizio igienico, i wc chimici sono quelli della tendopoli ma pare non siano stati svuotati ( non ho controllato, spiacente), non esiste un referente che stabilmente gestisca i continui arrivi di persone, le relazioni tra strutture dell'Immigrazione e gestione della struttura non abbiamo capito quali siano, i controlli sanitari sono stati eseguiti per molti ma non per tutti e non prosegue un controllo periodico in loco ( oggettivamente il pericolo sanitario si riproporrà molto presto), non esiste un coordinamento tra volontari, autorità, istituzioni come CRI e Caritas, non esiste un flusso di informazioni nemmeno minimo tra Prefettura e volontari ( non si sa nemmeno se siano graditi o meno, non si sa con chi costoro possano interloquire in caso di necessità)
Campo Francesco, al confronto, era un esempio manageriale di gestione dell'emergenza e della buona volontà.
Che il problema sia immane non c'è dubbio; ma si poteva fare certamente meglio, contando sulla disponibilità di tante persone e gestendo le poche risorse che comunque la collettività è pronta a condividere con i richiedenti asilo. La micidiale commistione tra irrinunciabili abitudini al benessere, attitudine alla scarsa ospitalità e drammatiche conseguenze della crisi economica nella vita dei cittadini italiani  e determinante nel definire le aspettative e le consapevolezze collettive (in  gran parte condivisibili e legittime, ma viziate dall'assenza di prospettive globali e di coerenti visioni sul problema immigrazione nella sua portata  storica, geo politica ed economica globale e sulle cause della stessa). Ma nonostante tutto ciò, gli immigrati brutti sporchi e cattivi, gli invasori del nostro traballante mondo di certezze e sempre più scarse ricchezze  sono persone umane. O li trattiamo come tali o ci assumiamo la responsabilità giuridica e morale di cacciarli subito, se necessario in malo modo: a metà del guado non si può stare.

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