Se il legislatore della Regione FVG considera di aver ottenuto, il mese scorso, dal TAR “una importante legittimazione” a proseguire nella propria azione riformatrice delle autonomie locali ( leggasi Unioni Territoriali Intercomunali), abbia anche la diligenza di tenere le sentenze a portata di mano nel prosieguo dell’organizzazione. E di leggerle per intero, perché di avvisi ai naviganti ce ne sono più di uno, e molto importanti.
di Martina Luciani
Il Tar Friuli Venezia Giulia ha giudicato inammissibili i
ricorsi dei Comuni contro la delibera
della Giunta regionale del Friuli Venezia Giulia n. 1282 del 01.07.2015 riguardante
l’approvazione in via definitiva del Piano
di Riordino Territoriale previsto dalla legge regionale 26/2014, art. 4, comma
6. Ha invece accolto i ricorsi che
contestavano la nomina del commissario ad acta, riconoscendola contraria alla legge e annullando i
provvedimenti sostitutivi adottati.
Nella stesura delle sentenze ha inoltre formalizzato alcuni concetti che val la pena di estrapolare e rammentare quali strumenti di vigilanza e interpretazione nelle fasi attuative del meccanismo UTI, considerato dai giudici amministrativi a rischio “pervasività” su un paio di principi tutelati dalla Costituzione: la rappresentatività e la democraticità, prevalenti sul principio del contenimento della spesa pubblica.
Andiamo per ordine, cominciando da questo concetto: “Va ribadito come la ricostruzione dell’istituto delle UTI testé illustrata avviene sul piano formale e astratto, al solo fine di esaminare il ricorso così come prospettato.”
I giudici amministrativi chiariscono il contesto dei pronunciamenti e non escludono che in fase attuativa delle UTI emergano “ sue eventuali contraddizioni interne” né che si manifestino “eventuali discostamenti dagli stessi principi della legge”.
Si prendono anche la briga di indicare nella stessa sentenza alcune possibili problematiche.
Una riguarda i criteri individuati dalla legge regionale per stabilire la dimensione ottimale delle UTI ( continguità territoriale, integrazione istituzionale già esistente, omogeneità e complementarietà delle caratteristiche geografiche, demografiche, ambientali, di mobilità etc etc.). I criteri elencati dalla legge dalla legge 26/2014 possono porsi in conflitto tra di loro e anche al loro interno: “basti pensare al criterio dell’omogeneità delle caratteristiche geografiche, demografiche, di mobilità, ambientali, economiche, sociali, culturali e infrastrutturali, che può essere sussistente per un aspetto e non per l’altro e può essere riferito a diversi comuni confinanti.” Lo stesso vale per l’integrazione istituzionale, rappresentata anche da precedenti forme associative o convenzioni, le quali possano essere le più varie e talvolta non sovrapponibili.”
La sentenza, inoltre, inquadra l’ulteriore questione, accennata all’inizio.
Lo scopo del contenimento della spesa pubblica è principio costituzionale che giustifica la collocazione, con legge regionale o statale, delle funzioni comunali in forma associata e in via obbligatoria. Però attenzione: questo principio ha natura strumentale, e su di esso prevalgono i principi di rappresentatività e democraticità.
Secondo il TAR la legge regionale n.26 in effetti prevede uno spettro di funzioni demandate alle Unioni territoriali anche in via obbligatoria di tale ampiezza da poter essere sindacata per il suo essere così “pervasiva” da incidere sui contenuti qualitativi. Leggiamo: “….tra i principi costituzionali prioritari vanno annoverati quelli di rappresentatività e democraticità, i quali, sulla base della nota gerarchia dei principi costituzionali, risultano sovraordinati anche rispetto al principio, pure costituzionalmente rilevante, del contenimento della spesa pubblica.”
In conclusione, una parte dei ricorsi presentati sono inammissibili per molteplici ragioni , ma questo non esclude che nel futuro si presentino problemi di cui ridiscutere innanzi al TAR, magari riproponendo in maniera questa volta esaustiva la rimessione alla Corte costituzionale a proposito della violazione di quei principi costituzionali che questa volta il giudice ha ritenuto non adeguatamente posti.
La prospettiva nella quale tenere desta l’attenzione è chiarissima, cioè i “provvedimenti o atti che siano applicazione diretta delle norme della legge regionale n 26 del 2014 riguardanti il funzionamento delle UTI” relativamente alla contrazione e sofferenza della capacità rappresentativa delle autonomie locali e della garanzia di democraticità dei meccanismi decisionali.
Nella stesura delle sentenze ha inoltre formalizzato alcuni concetti che val la pena di estrapolare e rammentare quali strumenti di vigilanza e interpretazione nelle fasi attuative del meccanismo UTI, considerato dai giudici amministrativi a rischio “pervasività” su un paio di principi tutelati dalla Costituzione: la rappresentatività e la democraticità, prevalenti sul principio del contenimento della spesa pubblica.
Andiamo per ordine, cominciando da questo concetto: “Va ribadito come la ricostruzione dell’istituto delle UTI testé illustrata avviene sul piano formale e astratto, al solo fine di esaminare il ricorso così come prospettato.”
I giudici amministrativi chiariscono il contesto dei pronunciamenti e non escludono che in fase attuativa delle UTI emergano “ sue eventuali contraddizioni interne” né che si manifestino “eventuali discostamenti dagli stessi principi della legge”.
Si prendono anche la briga di indicare nella stessa sentenza alcune possibili problematiche.
Una riguarda i criteri individuati dalla legge regionale per stabilire la dimensione ottimale delle UTI ( continguità territoriale, integrazione istituzionale già esistente, omogeneità e complementarietà delle caratteristiche geografiche, demografiche, ambientali, di mobilità etc etc.). I criteri elencati dalla legge dalla legge 26/2014 possono porsi in conflitto tra di loro e anche al loro interno: “basti pensare al criterio dell’omogeneità delle caratteristiche geografiche, demografiche, di mobilità, ambientali, economiche, sociali, culturali e infrastrutturali, che può essere sussistente per un aspetto e non per l’altro e può essere riferito a diversi comuni confinanti.” Lo stesso vale per l’integrazione istituzionale, rappresentata anche da precedenti forme associative o convenzioni, le quali possano essere le più varie e talvolta non sovrapponibili.”
La sentenza, inoltre, inquadra l’ulteriore questione, accennata all’inizio.
Lo scopo del contenimento della spesa pubblica è principio costituzionale che giustifica la collocazione, con legge regionale o statale, delle funzioni comunali in forma associata e in via obbligatoria. Però attenzione: questo principio ha natura strumentale, e su di esso prevalgono i principi di rappresentatività e democraticità.
Secondo il TAR la legge regionale n.26 in effetti prevede uno spettro di funzioni demandate alle Unioni territoriali anche in via obbligatoria di tale ampiezza da poter essere sindacata per il suo essere così “pervasiva” da incidere sui contenuti qualitativi. Leggiamo: “….tra i principi costituzionali prioritari vanno annoverati quelli di rappresentatività e democraticità, i quali, sulla base della nota gerarchia dei principi costituzionali, risultano sovraordinati anche rispetto al principio, pure costituzionalmente rilevante, del contenimento della spesa pubblica.”
In conclusione, una parte dei ricorsi presentati sono inammissibili per molteplici ragioni , ma questo non esclude che nel futuro si presentino problemi di cui ridiscutere innanzi al TAR, magari riproponendo in maniera questa volta esaustiva la rimessione alla Corte costituzionale a proposito della violazione di quei principi costituzionali che questa volta il giudice ha ritenuto non adeguatamente posti.
La prospettiva nella quale tenere desta l’attenzione è chiarissima, cioè i “provvedimenti o atti che siano applicazione diretta delle norme della legge regionale n 26 del 2014 riguardanti il funzionamento delle UTI” relativamente alla contrazione e sofferenza della capacità rappresentativa delle autonomie locali e della garanzia di democraticità dei meccanismi decisionali.
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