lunedì 15 settembre 2014

Storie di esuli. Raccontate da Enrico Gherghetta e Giuseppe Cingolani.

Politica e cittadini ( che spesso non sono la stessa cosa) si sono incontrati stasera per parlare della vicenda dei profughi afgani. La provocazione ( intelligente e stasera non razzista) di Franco Zotti.

 

di Martina Luciani con le foto di Pierluigi Bumbaca




Sono stanca di nominare i politici che intervengono e parlano. Lascio alle foto il compito di descrivere la piccola folla riunitasi stasera in Corso Italia.
La gente ascolta, per lo più condivide il concetto umanitario e il presupposto giuridico, il fondamento geopolitico e le ragioni storico-economiche che tutti assieme ci mettono di fronte alle necessità dell'accoglienza dei profughi. Franco Zotti, dopo aver smobilitato da un paio di giorni il gazebo della Lega Nord, alle porte della città, con l'orrendo striscione, si arroga  il merito di aver sollevato, con quella sgradevole performance, la questione; e di averlo fatto anche molti mesi fa, in consiglio provinciale; e di esser pronto ad accogliere un giovane del campo Francesco, nella sua casa di single, sfidando i presenti a fare altrettanto ( forse politicamente il momento più  stimolante). Ma stasera non riuscivo più a seguire,  tranne le storie degli esseri umani, che mi intrigano sempre e non mi mollano per giorni. Tutte hanno un contrassegno comune , l'ha descritto il presidente della Provincia Enrico Gherghetta: per capire la  tragedia personale dei richiedenti asilo politico , forse qui, nelle nostre terre e rispetto le nostre esperienze, è meglio parlare di esuli. Parola drammaticamente familiare, da noi. Risuona subito un'altra vibrazione nella memoria collettiva, è vero.

Ed ha raccontato una vicenda che sto cercando di scrollarmi di dosso: uno dei ragazzi, adesso al sicuro al campo Francesco, ha lasciato moglie e due bambini in Afganistan. E' dovuto fuggire per salvarsi la vita: aveva una colpa gravissima, agli occhi dei talebani. Aveva un'amante, la musica, voleva vivere di musica, riempire il suo mondo di musica Non si può, è un reato così grave da prevedere la morte.
Ed anche Giuseppe Cingolani ha raccontato: di un giovane che, mentre insieme ad altri volontari faceva in macchina avanti e indietro tra il quartiere fieristico e via Brass per spostare persone e bagagli, si è infilato nel "nostro" gruppo. Cingolani ha parlato con lui, gli ha chiesto le classiche cose scoprendo che il ragazzo vive da alcuni mesi vagabondando per Trieste e dormendo in stazione. "E la prima volta - ha detto il giovane a Cingolani - che qualcuno che non sia la Polizia mi rivolge la parola." La solitudine infinita di quel giovane, che potrebbe essere mio figlio, è come una spada che trafigge. Il mio cuore di mamma o le coscienze di tutti?
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