lunedì 2 gennaio 2017

“Stanca morta” e “ Papir”, due polizieschi goriziani scritti dalla triestina Elena De Vecchi: triangolazione perfettamente riuscita.



Uno stimolante trasferimento di cultura e storia nella letteratura di genere, in bilico sul confine di Stato goriziano, che forse è l’unico punto su cui appollaiarsi per riscoprire la complessità della nostra città e del suo territorio.
Due romanzi di una autrice triestina, entrambi editi da Robin Edizioni nella collana I luoghi del delitto e disponibili anche in ebook.


di Martina Luciani



Emma ha una vita insignificante, scandita dalla quotidianità e dallo stridio degli ingranaggi delle relazioni familiari ( un marito nullità, due figli decisamente strani e assai poco gratificanti, il lavoro in una casa di riposo, i vecchi suoceri: ne ha a sufficienza per essere "Stanca morta"). Una vita di quelle che potrebbe svolgersi ovunque se non fosse per la scenografia goriziana e i cognomi dal suono familiare. 
Poi Emma, senza spiegare alcunché, invita le sue amiche storiche ( ognuna depositaria di un pezzetto della sua storia personale e di parzialissime verità) ad un’eccezionale festeggiamento, organizzato oltre confine, in Slovenia. Offre loro cena, concerto, prenotazione per la notte in hotel, trattamenti nella spa inclusi. Le compagne non capiscono, molto gorizianamente non chiedono di sapere, partecipano contente e attendono la rivelazione delle ragioni di tanta generosa ospitalità: ma al mattino Emma nella sua stanza non c’è, non ci ha nemmeno dormito, e nessuno, incluse le squadre investigative di Gorizia e di Nova Gorizia, ci capisce qualcosa.  L'unica certezza:  Emma è donna misteriosa e sfuggente, e di lei ben poco hanno compreso figli, marito, amici e conoscenti.
Anche il lettore è inizialmente disorientato perché intrigato da una traccia narrativa, delicata e rarefatta, parallela a quella strettamente poliziesca, lungo la quale all’enigma della scomparsa di Emma si aggiungono ampiezze retrospettive inizialmente insospettabili, che solo via via si rivelano elementi essenziali della vicenda. Altro non si può rivelare, perchè si sciuperebbe l'ottima strategia del racconto, la quintessenza della storia ( e del suo titolo). Ma si può anticipare che Elena De Vecchi è convinta che per capire una vita,  e le storie che ne compongono l’architettura, bisogna capire le vite che l’hanno preceduta, le trame del destino che si sono dipanate e aggrovigliate, e non è facile tirare il bandolo della matassa in una terra come la nostra.
Una terra assolutamente speciale, ed io sono infinitamente grata all’autrice che ci consente, attraverso un colto approccio alla letteratura di genere, di sentirci lusingati dall’esser parte della caleidoscopica complessità contenuta (e celata)  nella sfera opaca della mia città e del suo fisiologico circondario ( quello che gioco forza si spezzò in due “bordeland” con la tracciatura dei confini nel 1947).
La qualità della scrittura di “Stanca morta” mi ha indotto, dopo poche pagine, ad approfondire chi fosse l’autrice, trovando conferma alla sensazione che Elena De Vecchi ha un retroterra culturale mica da poco. E mi ha spinto a tuffarmi immediatamente  oltre la copertina di “Papir”.  Stessa ambientazione ma il meccanismo dell’investigazione mi è parso ancor più intrigante del precedente, i corridoi e gli uffici della Questura goriziana sono rimasti sempre vecchi e arrangiati alla meglio, le vicende personali degli investigatori già conosciuti nel primo romanzo si sono ancor più strettamente intersecate con le indagini, gli intrecci antichi e recenti introdotti nel primo libro continuano (a sorpresa, niente è mai scontato) a riverberare significato e peso nella seconda storia, il costante fluire tra passato e presente relega l'esistenza del confine alle sole questioni giuridiche e burocratiche ed è la chiave per comprendere tanto le ragioni del bene quanto quelle del male e della violenza.
Non immaginavo che utilizzare una detective story, in bilico sul confine di Stato,  affondando le radici narrative nel locale sottosuolo culturale e storico, tra il Carso e il Collio, tra Vienna e Trieste e fino ad Alessandria d’Egitto ( ricordate l’epopea delle aleksandrinke?)  potesse  offrire una visione accattivante e praticabile della complessità delle nostre memorie:  lo sfarfallare delle eliche del DNA,  gli echi culturali che si incrociano e ( per nostra fortuna) permangono nel progressivo conformarsi alla massificazione globale, i molteplici processi di rimozione incistati nella prassi quotidiana ( la cui visibilità ci farebbe sentire tutti meglio e magari ci consentirebbe una catartica ri - acquisizione), l’interpretazione autentica delle mescolanze dei sapori dei cibi e della qualità dei profumi dell’aria.
Considerato quanto il susseguirsi delle pagine è avvincente, i personaggi plausibili e, nonostante il parsimonioso uso di aggettivi,  ben caratterizzati, i dialoghi mai fasulli e verbosi, i contesti piacevolmente familiari, l’ironia inserita con generosità ma mai fine a se stessa, complesso e autentico l'affresco complessivo di vite ed eventi, mi sento di augurare a Elena De Vecchi, che di professione non fa ( per ora) la scrittrice, di trovare il tempo per offrirci altre avventure dell’ispettore Kaucich, del capo dell’anticrimine di Nova Gorica Devetak,  e dell’assistente Zingerle, dell’agente Bregant, del sovraintendente Casertano, di don Miro e della sua perpetua Dragica, di Marilù, della misteriosa Chantal , di Vijola, del fante austroungarico Isidoro che scriveva a casa dal maledetto fronte orientale...


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