Appunti dagli scritti di Guglielmo Coronini, Cesare Devetag, Loris Fortuna, Carlo Michelutti. Lo spettro di una nuova centrale idroelettrica a Caporetto.
di Martina Luciani
Nel marzo del 1979 si svolse a Gorizia un
ciclo di conferenze, concluso da una tavola rotonda, intitolato
“L’Isonzo:geografia fisica, storica ed economica di un fiume internazionale”.
Argomento bollente: la diga di Salcano era
un progetto sempre più incombente sul fiume nel suo tratto italiano. Argomento
che bolle tutt’ora: le portate del fiume
sono discontinue a causa dei rilasci della diga oltre confine, il fiume mal
sopporta il peso delle attività e dello
sfruttamento umano, lui e noi dobbiamo fronteggiare concretamente i cambiamenti
climatici ( che abbiamo tenacemente inseguito in decenni di osceno abuso degli
equilibri naturali, gli utilizzi a fini irrigui, alla faccia di tecnica e
scienza, sono sempre più esigenti, l’acqua di tutti serve a produrre energia
elettrica che poi, noi tutti, usiamo pagandola profumatamente.
Nel 1979, il Trattato di Osimo era
operativo da soli quattro anni, quindi i suoi contenuti erano ancora freschi
freschi nella coscienza locale. Probabilmente ancora freudianamente perturbata
dalle vicende belliche e post belliche, afflitta da complessi che si
manifestavano tanto in ostilità quanto in esagerata benevolenza verso le
iniziative o inazioni dei nostri vicini.
Un’ utilissima, e vecchissima
pubblicazione, realizzata dalla provincia di Gorizia nel 1980, riporta numerosi
interventi presentati durante le conferenze, e tra questi quello di Guglielmo
Coronini, presidente della sezione di Gorizia di Italia Nostra.
Raccontava Coronini, a proposito della
diga, che la “sbandierata posa della prima pietra della nuova centrale
idroelettrica di Salcano” avvenne nel gennaio del 1978, secondo un progetto già
approvato nell’agosto del 1975, quattro mesi prima della firma degli Accordi di
Osimo.
Questa incongruenza temporale scatena una
pioggia di altre sottolineature, che ad incastro delineano quel “peccato
originale” da cui discendono gran parte degli attuali problemi dell’Isonzo
italiano.
Partiamo dalla sua precisazione che “ tutte
le iniziative collaborative nel campo dell’idroeconomia” sono configurate in forma di joint ventures:
“di fronte alla bilancia, per noi passiva, degli scambi energetici
italo-jugoslavi, appare comunque inopportuno di non avvalersi della partecipazione
all’utilizzazione dell’impianto offerta dall’accordo. Tanto più che essa
implicherebbe la cogestione diretta del regime delle acque nel rispetto dei
diritti irrigui italiani, sotto il controllo della Commissione mista permanente
per l’idroeconomia e condizionerebbe fino alla fase di progettazione la doppia
attitudine dell’impianto alla produzione energetica come al rifasa mento delle
acque, compresa l’automatica regolazione degli scarichi.”
Concludeva il ragionamento: “La cointeressenza finanziaria comporterebbe
anche il concorso proporzionale nel calo di produzione energetica, provocato
dalle periodiche limitazione imposte dai bisogni irrigui italiani…e questo
fattore negativo, insito nella partecipazione, andrebbe a parziale sollievo
degli adempimenti jugoslavi.”
Semplice. Basta fare quel che dicono gli
Accordi la diga di Salcano/Solkan deve essere co-gestita, gioco forza
l’attività della centrale è subordinata equamente alle esigenze della vita del
fiume in territorio italiano. Invece nel
1977, il Consiglio comunale di Gorizia votò quasi all’unanimità una mozione,
stravolgendo – in base ad una competenza
che non aveva – la ratio e il dettato di Osimo: la diga in Jugoslavia e
un bacino di rifasamento in territorio italiano. Coronini, allora, avvisava: la
Jugoslavia avrà via libera ad utilizzare a proprio esclusivo profitto il fiume
e a sregolarne ulteriormente le portate, e all’Italia toccherà il compito di
compensare i danni, a proprie spese e sul proprio territorio.
Putroppo, il cosiddetto “sistema globale di
Salcano”, messo a punto sul lago di Bled dalla Commissione mista per
l’idroeconomia, nel marzo del 1978, riprese i contenuti della famigerata
delibera consiliare.
L’avvocato Cesare Devetag, commentando le
osservazioni di Coronini, disse “ A me pare che in questa vicenda, disgraziata
per la Storia di Gorizia, i tecnici che hanno portato avanti quel discorso
sciagurato….avrebbero dovuto partire dal discorso che abbiamo sentito sul piano
giuridico del diritto internazionale fatto dal dott.Coronini, presidente di
Italia Nostra.”
Nella stessa direzione si mosse, nel 1980,
l’on. Loris Fortuna in una interpellanza al Ministro degli Esteri. Gli Accordi
di Osimo, scriveva, prevedono sia
l’impianto di produzione idroelettrica sia il bacino di rifasamento in
territorio jugoslavo, e parlano di joint ventures: come è possibile che ci sia
stato un accordo a livello comunale, tra Gorizia e Nova Gorica, che ha
impostato le cose a modo suo, stabilendo che la diga la costruisse la
Jugoslavia e che in Italia, a Gorizia,
si costruisse la traversa per la regolazione dei flussi d’acqua. Nessun accordo
modificativo degli Accordi di Osimo può essere attuato se non attraverso un
atto di pari grado, quindi un nuovo accordo ratificato e reso esecutivo previa
autorizzazione delle Camere.
Ma su queste problematiche i movimenti
politici furono per anni e anni infinitamente lenti, prudenti, inconcludenti:
dalle riunioni delle Commissioni miste trapelava ( e la trasparenza non è ad
oggi migliorata) poco o nulla, e mentre evolvevano nuove prospettive di
relazioni confinarie nessuno voleva evidentemente mettersi a litigare. Tant’è,
ad esempio, che dal 1988 che stiamo educatamente aspettando, tra ripetuti e roboanti annunci cui seguiva il nulla, la realizzazione dell’impianto di depurazione
fognaria del Comune di Nova Gorica, ulteriore dimostrazione che quel che
succede – in questo caso si tratta di inquinamento – nelle acque italiane
dell’Isonzo non coinvolge le preoccupazioni dei vicini d’oltreconfine.
Un’ottima occasione per metter mano alla
questione si è presentata nel 1992, quando la Slovenia è subentrata alla
Jugoslavia in una cospicua serie di atti bilaterali. Scrive Carlo Michelutti
nel suo “Gorizia: a 30 anni dagli accordi di Osimo. Fra buone intenzioni e
occasioni perdute”: “quella era l’occasione per rinegoziare gli Accordi di
Osimo, certamente non nei suoi aspetti territoriali e confinari, ma per
riutilizzare e attualizzare, alla luce delle nuove situazioni geo-economiche e
politiche sortite dall’indipendenza della Slovenia, il patrimonio progettuale e
finanziario di quelle intese diplomatiche.”
E alla luce delle accresciute e allarmate
consapevolezze ambientali ridefinire la gestione della risorsa acqua, visto che
il valore di un corso fluviale non è più rilevabile semplicemente rispetto i
suoi utilizzi a fini economici, ma rispetto il suo ruolo nell’ecosistema di un
territorio. Dalla sorgente alla foce; e a questo proposito, non dimentichiamoci
che il nuovo piano energetico nazionale sloveno prevede la costruzione di un
altro impianto idroelettrico nella zona di Caporetto, che potrebbe
compromettere ulteriormente la portata del fiume in Italia.
A
conclusione di questa disamina un
ulteriore suggerimento e un’ulteriore sottolineatura della dimensione
tecnico-giuridica e comunitaria della
questione: dal 2010, è uno sloveno - Jan
Potocnik - il commissario europeo per l’ambiente. Forse si poteva approfittare
di una presumibile familiarità con la situazione locale e spedire una
autorevole delegazione nazionale a sollecitarlo sulla questione dell’unico
nostro grande fiume internazionale, condiviso proprio con il suo Paese, per il
quale è prevista, dall’Unione europea, la creazione di quel bacino idrografico
internazionale (certamente istituzione più tecnica e meno politica di quel che
è stata la Commissione mista per l’idro economia) che ancora nessuno ha
ritenuto di costituire.
Nessun commento:
Posta un commento