martedì 12 giugno 2018

Lessico dell'infima e corrotta italianità

Prendere a prestito un titolo e riutilizzarlo citando la fonte ma scrivendo d'altro, si può?


di Martina Luciani

A fine Ottocento, due signori - Costantino Arlia e Pietro Fanfani - pubblicarono un libro dal fantastico titolo: Lessico dell'infima e corrotta italianità. Era un testo di filologia, teso ad elencare le parole penetrate nella lingua italiana ed opporsi all'uso di "forestierismi" ( prezioso oggi proprio per capire l'evoluzione linguistica)

Lo stesso titolo oggi potrebbe essere usato non già per un libro, ma per una serie di monografie sui comportamenti, sugli avvenimenti: la politica nazionale e la politica estera, i social media, la cultura, gli apparati burocratico-amministrativi, l'etica, l'estetica, l'arte dell'inciucio e dell'imbroglio. 
Lancio la provocazione a chi volesse cimentarsi nell'opera di ricerca e archiviazione. Io non mi sento di aver titolo: alla proclamazione dell'Unità d'Italia, i miei avi erano sudditi dell'Impero austro ungarico; nel 1946, al referendum popolare per la scelta tra monarchia e repubblica, i miei nonni e genitori, come tutti i goriziani di allora, non poterono partecipare, nè contestualmente poterono partecipare alla elezione dei componenti dell'Assemblea Costituente. Quindi sono, e ormai resto, anomala.

Però, mentre continuo sempre ad emozionarmi rileggendo la Costituzione italiana (e queste sono questioni identitarie mica facili da spiegare a chi non è di qua), ho deciso che nel mio vocabolario personale il sostantivo "italiano" sarà riferito esclusivamente alla lingua che un po' per scelta e un po' no (la famiglia di mio padre italianizzò il cognome durante il ventennio fascista) è la mia lingua madre.
Al livello di sostanza e significato, visto quanto sta accadendo, riconosco solo quello: non percepisco oggi una comunità di persone che abbia memoria adeguatamente lunga, percezione di una comune cultura e senso responsabile di identità collettiva. Gli italiani non ci sono, forse non ci sono mai stati in un numero adeguato a definirsi "popolo", anche se il partigiano Luigi Longo scriveva "Un popolo alla macchia" e vien quasi da credergli, quando parla  di un' Italia antifascista così grande e coraggiosa, e ben salda sulle gambe di una moltitudine di donne e uomini, giovani e vecchi, per Resistere.

Dopo le ultime vicende di questa cosa che solo la permanenza della Costituzione permette ancora di riconoscere come nazione, "italiano" avrà per me solo la funzione di aggettivo qualificativo: la letteratura in italiano e il cinema italiano, l'arte italiana, il cibo italiano, l'ignoranza italiana, la corruzione italiana, la viltà italiana, il razzismo italiano, il fascismo italiano, la malversazione italiana, i topi delle fogne italiane.....

Vado verso la conclusione della mia vita come quando da giovani si scende a rotta di collo lungo un sentiero di montagna: ma non già osando con agilità  il balzo da un sasso all'altro, piuttosto precipitando malamente, rimbalzando tra giorni in bilico su notizie sempre più deludenti, vergognose e squallide: e mi pare di fuggire, ormai senza più coraggio, dalla tempesta che ha già imprigionato la cima dove prima, me lo ricordo bene, splendeva il sole.
Mah, forse per il futuro conviene astenersi dallo scrivere, persino dal parlare, concesso solo un W l'Itaglia, che sulla " glia" vien bene un ghigno amaro. Amarissimo.





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