La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome,l’8 aprile
scorso,nel fornire il parere sul decreto legge n.19, è intervenuta principalmente
con argomenti tesi ad evitare la compressione del
potere di ordinanza delle Regioni. Importante emendamento dalla Commissione XII della Camera dei Deputati per alleggerire il divieto delle uscite da casa dei soggetti disabili e con particolari fragilità e problematiche.
di Martina Luciani
di Martina Luciani
Il 16 aprile 2020, la Commissione XII Affari sociali della
Camera, ha proseguito e concluso l’esame del provvedimento di conversione del
dl n.19/2020, approvando alcuni emendamenti. Tra questi, è stata introdotta una
esclusione alla limitazione della circolazione delle persone: sono
consentite,qualora necessarie al benessere psico-fisico della persona, uscite
controllate dall'ambiente domestico con un accompagnatore, per quei soggetti
con disabilità motorie o con disturbi dello spettro autistico, disabilità
intellettiva e sensoriale o problematiche psichiatriche e comportamentali a
necessità di supporto, certificate ai sensi della legge 5 febbraio 1992,
n. 104.
A parte che la Commissione, viste le sue competenze, poteva cogliere l’occasione per esprimersi
anche sulla questione dell’infanzia durante l’emergenza sanitaria,vedremo cosa succederà di questa
previsione in sede di discussione parlamentare per la conversione del decreto
legge 19 del 25 marzo 2020.
Decreto che, tra l’altro, è il primo atto normativo in cui sono descritte puntualmente le misure possibili di contenimento del contagio e che esclude le Regioni possano utilizzare “poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente”: e cioè art 32 della l. n. 833/1978, dell’art. 117 del d.lgs. n. 112/1998 ( entrambi peraltro ad esempio richiamati in capo alle motivazioni dell’ordinanza n.10 della Regione Friuli Venezia Giulia del 13 aprile scorso) e del d.lgs. n. 1/2018, che non possono essere invocati per oltrepassare i confini al potere di ordinanza regionale per il contenimento dei contagi da Covid-19 contenuti nel decreto legge stesso.
Da notare che la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’8 aprile scorso, nel fornire il parere sul decreto legge n.19, è intervenuta principalmente su argomenti tesi a non comprimere il potere di ordinanza delle Regioni.
Cioè quelle ordinanze di contenuto più restrittivo alla decretazione nazionale, che sempre in base all’art.3 del decreto legge in fase di conversione, possono essere emanate solo nelle more dell'adozione dei DPCM e con efficacia limitata fino a tale momento in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale.
E’ evidente che la norma invisa alle Regioni mira a regolare il rapporto ( non lineare) tra le misure statali adottate con DPCM per fronteggiare l'emergenza epidemiologica e i provvedimenti degli enti territoriali posti in essere per la medesima finalità. Ed è evidente che è stata scritta per dirimere i non pochi contrasti e gravi dubbi di legittimità che sovrastano l’intreccio di DPCM e ordinanze ministeriali e regionali. Probabilmente evitando in questo modo il troppo drastico ricorso all’art.120 della Costituzione, del quale si ricorda solo il potere sostitutivo del Governo nei confronti delle Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni nel caso di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica”, e non quanto segue: “ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.”
Ancor più precisamente,l’art.3 del dl 19 determina un presupposto fondamentale, e cioè che non è sufficiente la sussistenza dell'emergenza sanitaria, in corso dal 31 gennaio, bensì occorre che si registri un aggravamento del rischio sanitario, a cui la regione dovrà fare riferimento nella motivazione dell'ordinanza.
Del resto, il concetto l’ha ripreso e ribadito anche il Consiglio di Stato (Sezione Prima Adunanza di Sezione del 7 aprile 2020 00260/20208.5): “ In presenza di emergenze di carattere nazionale, dunque, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali.
Per le ragioni prima esposte, l’articolo 3 d.l. cit. riconosce un’autonoma competenza ai presidenti delle regioni e ai sindaci ma solo al ricorrere di questi presupposti e delle seguenti condizioni:
a. nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento;
b. in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso; tali circostanze, in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate ma anche dimostrate;
c. esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza;”
Decreto che, tra l’altro, è il primo atto normativo in cui sono descritte puntualmente le misure possibili di contenimento del contagio e che esclude le Regioni possano utilizzare “poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente”: e cioè art 32 della l. n. 833/1978, dell’art. 117 del d.lgs. n. 112/1998 ( entrambi peraltro ad esempio richiamati in capo alle motivazioni dell’ordinanza n.10 della Regione Friuli Venezia Giulia del 13 aprile scorso) e del d.lgs. n. 1/2018, che non possono essere invocati per oltrepassare i confini al potere di ordinanza regionale per il contenimento dei contagi da Covid-19 contenuti nel decreto legge stesso.
Da notare che la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’8 aprile scorso, nel fornire il parere sul decreto legge n.19, è intervenuta principalmente su argomenti tesi a non comprimere il potere di ordinanza delle Regioni.
Cioè quelle ordinanze di contenuto più restrittivo alla decretazione nazionale, che sempre in base all’art.3 del decreto legge in fase di conversione, possono essere emanate solo nelle more dell'adozione dei DPCM e con efficacia limitata fino a tale momento in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso, esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale.
E’ evidente che la norma invisa alle Regioni mira a regolare il rapporto ( non lineare) tra le misure statali adottate con DPCM per fronteggiare l'emergenza epidemiologica e i provvedimenti degli enti territoriali posti in essere per la medesima finalità. Ed è evidente che è stata scritta per dirimere i non pochi contrasti e gravi dubbi di legittimità che sovrastano l’intreccio di DPCM e ordinanze ministeriali e regionali. Probabilmente evitando in questo modo il troppo drastico ricorso all’art.120 della Costituzione, del quale si ricorda solo il potere sostitutivo del Governo nei confronti delle Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni nel caso di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica”, e non quanto segue: “ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.”
Ancor più precisamente,l’art.3 del dl 19 determina un presupposto fondamentale, e cioè che non è sufficiente la sussistenza dell'emergenza sanitaria, in corso dal 31 gennaio, bensì occorre che si registri un aggravamento del rischio sanitario, a cui la regione dovrà fare riferimento nella motivazione dell'ordinanza.
Del resto, il concetto l’ha ripreso e ribadito anche il Consiglio di Stato (Sezione Prima Adunanza di Sezione del 7 aprile 2020 00260/20208.5): “ In presenza di emergenze di carattere nazionale, dunque, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali.
Per le ragioni prima esposte, l’articolo 3 d.l. cit. riconosce un’autonoma competenza ai presidenti delle regioni e ai sindaci ma solo al ricorrere di questi presupposti e delle seguenti condizioni:
a. nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento;
b. in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso; tali circostanze, in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate ma anche dimostrate;
c. esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza;”
Alle Regioni, in particolare questa cosa della cessazione dell’efficacia al al momento di emanazione di un DPCM successivo non sta bene, vogliono che l’art.3 preveda “In caso di successiva adozione di uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2, comma 1, le misure regionali di cui al precedente periodo restano efficaci, purché non siano in contrasto rispetto ai contenuti del o dei decreti sopravvenuti. In ogni caso le misure regionali restano efficaci per la medesima durata dei decreti di cui al primo periodo.”
Paventando ulteriori periodi di crisi sanitaria in avvicinamento, il documento inviato dalle Regioni al Governo scrive: “Soprattutto sui poteri delle regioni occorre che si determini quanto prima unassetto dei poteri da conservare in capo alle loro autorità sanitarie che sia certo, chiaro, definito e che possa garantire in maniera ragionevole i loro poteri costituzionali in materia di tutela della salute, pur nel contesto della dichiarata emergenza sanitaria regionale.
La ricerca di un adeguato equilibrio tra i poteri di ordinanza posti in capo ai Presidenti delle giunte regionali quali autorità preposti alla tutela della salute pubblica, e i necessari poteri di coordinamento statale costituisce senz’altro la via maestra per affrontare con la necessaria chiarezza gli ulteriori periodi di crisi sanitaria nazionale che si profilano.”
Augurandoci da cittadini che non si dimentichino le pregresse ma non troppo antiche responsabilità politiche in materia di sanità pubblica e che non trascurino gli effetti delle riforme sanitarie regionali attuate, le Regioni propongono “Resta salva la facoltà dei Presidenti di Regione di adottare ordinanze contingibili e urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza COVID-19 mediante l’adozione di misure organizzative straordinarie del Sistema socio-sanitario regionale o disposizioni eccezionali che regolino, al di fuori dei contenuti di cui all’articolo 1, comma, 2 del decreto, attività di competenza regionale.”
Ovviamente, sopra tutti questi distinguo si estende la questione delle sanzioni: il potere di punire è una efficace seppur primitiva forma di autolegittimazione del potere in carica e nello stesso tempo , purtroppo, linfa vitale delle dinamiche politiche, molto appariscente e direi soddisfacente nei confronti dei cittadini.
Riporto un passaggio di un testo del professorCarlo Ruga Riva, ordinario di diritto penale all’Università di Milano-Bicocca, che mi piace molto perché fa riecheggiare nelle attuali istanze (restrittive, ordinative, di minuzioso e spesso paranoico controllo e sanzionatorie) gli scopi ( o le pulsioni?) dei decreti sicurezza : “Nulla di nuovo del resto: l’esperienza della legislazione in materia di sicurezza urbana – emergenza che oggi ci sembra giustamente sopravvalutata di fronte alla tragedia immane e maledettamente reale del coronavirus – ci insegna che, in un sistema multilivello, tutti i poteri rivendicano, a tutela di interessi collettivi, strumenti sempre più incisivi, rincorrendo misure via via più restrittive, spesso dando vita a fenomeni imitativi (si pensi alle ordinanze sindacali anti-bivacco fatte con il sistema del “copia e incolla”) e a pressioni biunivoche (i poteri più periferici reclamano strumenti più duri, il potere centrale glieli attribuisce e ne promuove l’esercizio, che a sua volta fomenta nuovedomande di maggior tutela, in una spirale repressiva continua).
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