martedì 8 agosto 2017

8 Agosto, presa di Gorizia. Riflessioni di una "nameless" a denominazione di origine controllata


Variamente, e talvolta in maniera stridente, oggi viene ricordato il fatto storico della conquista di Gorizia da parte delle truppe italiane: io conservo i racconti dei miei nonni, sullo sfondo rosso di tutto il sangue versato, e la particolare emozione dell'avere un cognome che è saltato fuori dal nulla quando una legge fascista ne impose l'italianizzazione.


di Martina Luciani


Mi pare che si possa fare, oggi, questa condivisione, in particolare con i miei concittadini che il cognome se lo sono portato da casa loro, chi prima chi dopo, dagli innumerevoli "altrove" da cui sono arrivati fin qua, sulle rive dell'Isonzo ( dove ora, accasati, spesso si piccano di insegnarci patriottici sentimenti e ardite emozioni identitarie, rimproverandoci l'esagerato senso di accoglienza e civile solidarietà verso i profughi che rappresentano ciò che noi stessi rischiamo di dover diventare).
Se mio nonno non avesse italianizzato il cognome, io oggi sarei Martina Lutman. Forse qualcosa nei recessi della mia psiche sarebbe diverso, come ha teorizzato lo psicologo - psicoterapeuta Marco Pizzi ( italianizzazione di Spitz) nel suo libro Nameless” – I danni psicologici causati dall’italianizzazione dei cognomi“ (184 pagg., 14,90 euro, Europa Edizioni.
Non mi sento però una  nameless, anche se percepisco spesso una nota di stupito distacco nel mio partecipare al quotidiano di questa "povera patria" cui oggi appartengo e della cui Costituzione ho un religioso rispetto; tant'è che mi commuovevano i vecchi reduci che sfilavano per il Corso con gli occhi increduli, reggendo a fatica i labari delle loro atroci guerre, mi pareva che tanto sacrificio e dolore fossero stati vergognosamente e progressivamente privati di valore e significato da questa Nazione e che fosse indegno da parte nostra, cittadini del futuro, star lì a guardarli senza cambiare radicalmente il nostro modo di essere cittadini e persone.   
Sento però, nonostante il cognome artefatto, profonde radici che scongiurano ogni paura del diverso e dello straniero e sento cantare diverse lingue madri tra le chiome del mio albero genealogico.
Insomma, forse la mia generazione, già nata priva dell'antico cognome, non ha dovuto fare i conti con le conseguenze recondite dell'ingegneria genetica fascista sui cognomi.
Credo anche che chi l'ha vissuta, chi ha sperimentato il proprio se stesso reso afono delle risonanze con il tedesco e lo sloveno ( risonanze che tuttavia ci vuol poco a percepire tutt'attorno in queste terre) ne abbia portato tracce che hanno influenzato la sua storia personale e la vita pubblica, sociale, culturale e politica di questa città: non escludo che di conseguenza siano stati sminuiti il senso di appartenenza e il legame collettivo che rendono stabile, coraggiosa, generosa e dinamica una città. 
Spero che chi possa riflettere su questo aspetto della vita familiare lo faccia, e ne tragga una bella sensazione: la complessità etnico linguistica, le difficoltà e le osmosi culturali, i geni che si intrecciano e improvvisano belle variazioni, le diversità che si plasmavano reciprocamente e che oggi portiamo scritte nelle linee delle nostre mani.

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