Diario di viaggio nell’arcipelago norvegese, sulle orme del veneziano Petro Querini, che 600 anni anni fa, dopo un avventuroso naufragio nell'isola di Rost, riportò in patria lo stoccafisso: oggi l’80 per cento dello stoccafisso delle Lofoten è destinato all’Italia. Dopo i mesi trascorsi a Rost, al rientro i naufraghi testimoniarono: “Davvero possiamo dire di essere stati, in quei giorni dal 3 febbraio 1432 al maggio 1432 nel primo cerchio del paradiso a confronto delle imbarazzanti e obbrobriose abitudini italiche.”"Querini", l'opera lirica che speriamo di vedere alla Fenice di Venezia.
di Giorgio Mattiello
http://www.queriniopera.com/it/
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Rost è piatta e spazzata dai venti, al contrario delle sue isole sorelle, vicine al continente, separate solo da stretti bracci di mare che si superano con arditi ponti o tunnel sotterranei, con nere montagne che scendono dritte al mare, chiazzate di neve anche in piena estate. Poco più di ottocento abitanti. Per raggiungerla, dalla terraferma oppure dalle ultime montagne delle sue sorelle, ci vogliono tre ore di nave. Perché allora questa passione per l’Italia? Perché se non ci fosse l’Italia forse le Lofoten sarebbero ormai disabitate da un bel po’.
Per le nostre regioni del sud si dice che l’uso dello stoccafisso fu introdotto con l’arrivo dei Normanni ed il prodotto arrivava dal sud dell’attuale Norvegia. Fu solo in seguito che il migliore, proprio quello delle Lofoten, arrivò in Italia, ed in particolare nel Nord-Est, e questo è dovuto ad una eccezionale storia che risale a quasi seicento anni fa. Storia testimoniata e scritta da Petro Querini ed ora conservata negli Archivi Vaticani, ed ancora testimoniata dai suoi due ufficiali Nicolò De Michiele e Cristofalo Fioravante, dettata ad uno scrivano fiorentino, ed ora conservata nella Biblioteca Marciana di Venezia. Questi testi sono ritenuti estremamente importanti dagli storici norvegesi poiché offrono le prime testimonianze sugli usi e costumi delle popolazioni del nord del Paese. Recentemente è stato pubblicato un libro, a cura di Paolo Nelli, che contiene i due testi riproposti in lingua italiana attuale.
Era il 25 aprile del 1431 (proprio il giorno di San Marco) quando Pietro Querini, commerciante veneziano, dopo aver ritirato la sua nave, la Querina, che aveva ordinato a dei cantieri di Creta, salpò dopo aver caricato vino ed altra mercanzia da portare nelle Fiandre ed iniziò il suo tragico viaggio. L’equipaggio era di 68 uomini. Al quinto giorno di navigazione morì il figlio di Querini (nei rapporti non se ne indicano le cause). Per imbarcare altre mercanzie e rinnovare le scorte alimentari per l’equipaggio fecero sosta a Cadice. Entrando nel porto si avvicinarono troppo agli scogli ed il timone si ruppe. Le riparazioni si protrassero per quasi due mesi ed il 14 luglio la nave ripartì. Dopo Gibilterra i venti sfavorevoli spinsero la Querina fino alle Canarie e solamente alla fine di agosto riuscirono a veleggiare verso nord. Dopo una sosta a Lisbona, ripartirono il 24 settembre. Erano ormai in vista del Canale della Manica quando, il 5 novembre, il maltempo cominciò a colpire la nave in maniera sempre più disastrosa spingendola verso nord-ovest, verso l’Irlanda, e poi verso nord. Saltò il timone, le vele furono strappate e gli alberi abbattuti. Resistettero per ben quarantadue giorni, ma, alla fine, furono obbligati a mettere in acqua due scialuppe sulle quali si suddivise l’equipaggio. Era il 18 dicembre. Già la mattina successiva la scialuppa dove avevano preso posto Querini ed i due ufficiali non riuscì più ad avere contatti visivi con quella che aveva a bordo gli altri ventuno compagni.
Il vento e le correnti condussero ancora verso nord la scialuppa, appena governata con i remi. Querini riuscì a vedere terra il 4 gennaio 1432 e, con i superstiti rimasti con lui, mise piede sull’isolotto di Sandøy. Su questo isolotto (che ora si può raggiungere in 40 minuti di barca) gli abitanti di Rost lasciavano le capre pascolare brade, e due pescatori, arrivati a Sandøy per controllare come stavano gli animali, trovarono i naufraghi. Nella mattinata del 3 febbraio ritornarono a prendere i naufraghi con sei barche per portarli a Rost. Alla fine di questa tragica avventura, dei 16 che riuscirono a sbarcare a Sandøy, a Rost ne arrivarono vivi solo undici.
A Rost, con la mediazione linguistica in latino di un frate domenicano tedesco che viveva sull’isola, furono presentati ai 120 abitanti ed ospitati dalle famiglie locali nelle loro dodici case. In questa isola che, Querini dice, i suoi abitanti definivano “il culo del mondo”, i veneziani osservarono che: “Durante l’anno prendono una grande quantità di pesce, ma solo di due specie. La prima, in quantità maggiore, si chiama, qui, stoccafisso (da stockfish, pesce bastone, è il merluzzo, Gadus morhua, che, essicato, assume la consistenza di un bastone) .La seconda specie è il pesce passera, ma di dimesioni enormi, fino a duecento libbre ciascuno (è l’halibut). Gli stoccafissi sono pesci dalle carni grasse ma piuttosto asciute. Li fanno seccare al vento e al sole, senza sale, e diventano duri come il legno. Quando li vogliono mangiare li battono col rovescio della mannaia sfillacciandoli come nervi e aggiungono burro e altre spezie per insaporirli.”
“ Qui le persone sono di grande semplicità di cuore, …, che neppure sanno cosa sia la fornicazione o l’adulterio … Noi dormivamo nella stessa camera dove dormivano gli sposi con i loro figli, e quando volevano andare a letto si spogliavano completamente nudi di fronte a noi … Il padrone di casa si alzava verso le quattro e se ne andava a pescare lasciando nel letto la moglie e le figliole, e si fidava di noi …”§
“Qui si è spenta ogni avarizia alla radice perciò non tengono chiuse le porte e neppure hanno altri accorgimenti per chiudere contenitori …”
“Qui, d’estate, le donne usano andare a certi bagni e ci vanno nude come nacquero, uscendo dalle loro case senza nulla addosso. Al massimo hanno un fascio di rami nella mano, ma non per pudore, ma perché lo usano, tanto è il loro modo semplice e naturale in cui vivono. E la cosa, visto che era naturale per loro, lo divenne presto anche per noi.”Così sono caduti i tabù!
Arriva maggio ed i pescatori di Rost organizzano l’annuale viaggio verso Bergen, quasi millecento miglia a sud, per barattare i loro stoccafissi. Querini dice che in quel porto “… giungono navi da ogni parte, anche molto grosse, cariche di molti prodotti provenienti dalla Germania, dall’Ighilterra, dalla Scozia, dalla Prussia ... Gli abitanti dell’isolotto barattano i loro abbondanti pesci con cose necessarie, come cibi e vestiti, perché non hanno nulla dove loro abitano …”. Prima della partenza, tramite il frate predicatore tedesco, la moglie “dell’uomo più importante di tutti gli isolotti” regala a Querini sessanta stoccafissi, tre pani tondi di segala ed una focaccia.. Organizzata la partenza, improvvisamente riappare il cappellano tedesco che ha l’idea di far pagare ai naufraghi “due corone a testa per ogni mese, che faceva sette corone per ciascuno”. Querini dice che “ … non avevamo soldi a sufficienza ed io dovetti lasciare sette delle mie tazze d’argento, sei cucchiai e sei forchette, la maggior parte delle quali finì nelle mani del perfido frate. Forse non se ne fece scrupolo perché riteneva di essersele meritate nel suo ruolo di interprete o forse perché non ci rimanesse nulla di quello sventurato viaggio.” Quando finalmente, il 14 maggio, si sta per salpare “… tutti portarono del pesce. Le donne ed i bambini ci salutavano e piangevano, e noi, al vederli piangevamo con loro. Il frate venne con noi per andare a far visita all’arcivescovo e portargli la sua parte delle cose che da noi aveva recuperate …”
Da Bergen gli undici naufraghi, alcuni passando per la Germania, ed altri per mare fino all’Inghilterra e poi attraverso la Francia, rientrarono a Venezia. I due ufficiali di Querini nel loro rapporto testimoniano che “Davvero possiamo dire di essere stati, in quei giorni dal 3 febbraio 1432 al maggio 1432 nel primo cerchio del paradiso a confronto delle imbarazzanti e obbrobriose abitudini italiche.”
Con loro arrivò dalle nostri parti il miglior stoccafisso norvegese. A Rost rimase il ricordo di questi marinai veneziani che ora si materializza nella Querini Hallen, l’edificio dove si tengono le manifestazioni locali, nel Querini Pub e nei corsi d’italiano che si fanno nella scuola primaria. Il Comune di Rost è gemellato con quello di Sandrigo, in provincia di Vicenza, sede dell’Arciconfraternità del Baccalà alla vicentina. A Sandøy nel 1932 si inaugurò il monumento, offerto dal Governo italiano, che celebrava il quinto centenario dell’arrivo di Querini e dei suoi compagni.
Infine Hildeggun Pettersen, cantante lirica originaria di Rost ha convinto Henning Sommerro, che ne ha composto le musiche, e Ragnar Olsen, che ne ha scritto i testi, a realizzare l’opera lirica “Querini” basata sulla storia di questo strano arrivo di marinai veneziani, nel buio dell’inverno polare, in quelle lande desolate. L’opera è stata rappresentata a Rost nel 2012 e nel 2014 durante il Festival che si tiene tra fine luglio e l’inizio di agosto. Il loro grande sogno è di vederla proposta sul palcoscenico de La Fenice. Ci riusciranno?
1 commento:
Interessantissimo! Grazie di cuore. Se io fossi nell'autore dell'articolo segnalerei la possibilità dell'evento alla Giunta regionale del Veneto. Non si sa mai ..... Per quanto riguarda il baccalà ne vado veramente ghiotta, quindi, prima o poi il viaggetto me lo farò sicuramente.
Marilisa
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