Evaristo Cian, che con una selezione di opere è presente da ieri all'Enoteca di Gradisca, partecipa alla rassegna Ritratti e bestialità di corte visibile fino a Natale a Borgo Colmello.
di Marilisa Bombi
Io non so quante persone abbiano avuto la possibilità di vedere il film, pluripremiato, Connected, ogni vita è connessa, scritto e diretto da Tiffany Shlain. Attraverso animazioni, filmati d’archivio e video di famiglia, la regista svela i legami sorprendenti che ci legano non solo alle persone che amiamo, ma anche al resto del mondo che ci circonda, portando alla luce cosa significhi essere connessi nel XXI secolo. Considerata una pioniera di internet, Tiffany Shlain è la fondatrice del Webby Awards, prestigioso riconoscimento nato 20 anni fa, agli albori dell’era digitale, e cofondatrice dell’International Academy of Digital Arts and Sciences.
Ma ogni volta che sento parlare di connessione, penso alle opere di Cian, ai suoi gelsi, ai cani, ai corvi, aspettando in un futuro sicuramente prossimo, schiere di pulcini di germani reali. In questo film, di cui consiglio vivamente la visione, l’autrice parte dall’elemento connessione ampiamente trattato in un altro fondamentale docu-film: Olos, l’anima della Terra. In questa opera si afferma (e sostiene la teoria) che la Terra è un sistema complesso in cui sensazioni ed emozioni vengono condivise se c’è consapevolezza dell’unità della vita. Ma mentre piante ed animali continuano a far parte dell’unità del tutto, l’uomo non è più interconnesso. Con alcune eccezioni.
Così è per Cian, al quale non serve internet per restare
connesso con gli umani, dei quali – a dire il vero – pare non importare molto.
Molto meglio restare in connessione con pochi e selezionati amici e con la natura, le radici, la storia.
Questo è, ovviamente, il Cian uomo, persona; perchè il Cian artista -
fermo restando la connessione - va inquadrato in una analisi ben più
articolata e nessuno meglio di Diego Collovini è capace di farlo.
"C'è un percorso nell'arte friulana del Novecento più
attenta alla società che all'estetica e che si sofferma sulla raffigurazione
della realtà circostante, quella degli uomini e della natura. E questo non solo
perché tale creatività ha trovato, grazie alle manifestazioni artistiche di
alcuni protagonisti contemporanei dell'arte figurativa, una solida affermazione
tale da essere considerata, a pieno titolo, come un'espressione particolare di
quel movimento artistico del dopoguerra definito più generalmente Neorealismo.
Certamente ciò è senz'altro frutto anche dell'influenza che ha avuto l'opera
letteraria (ma anche quella pittorica) di Pier Paolo Paolini. Come non possiamo
non citare i vari poeti e scrittori come Giacomini, Maldini, Bartolini, Turoldo
e altri; come del resto non avrebbe senso parlare di realismo se non
guardassimo ai protagonisti friulani delle arti figurative come Zigaina,
Pizzinato, Anzil, De Rocco e molti altri ancora.
Per comprendere le posizioni espresse nell'ambito dell'arte
friulana, conviene rifarsi alle due tipologie di realismo pittorico proposte da
Licio Damiani, il quale ha riconosciuto, sotto l'aspetto estetico e del
contento, Armando Pizzinato e Giuseppe Zigaina come i promotori di una corrente
pittorica e un'altra il cui riferimento è Anzil Toffolo.
Entrambe esprimono un'idea di realismo originato dalle
esperienze della seconda guerra mondiale e dalla Resistenza. Un realismo
"evoluto" e attento a una parte della società friulana, nella quale
dominava la povertà, la sofferenza, il sacrifico e il peso del lavoro
bracciantile. Una narrazione artistica che non ha per finalità una critica
sociale ma guarda all'interno dell'uomo e alla sua anima, mentre i protagonisti
si trasformano in rappresentazioni della tribolazione e dell'offesa sociale,
maturata nei difficili rapporti tra le classi sociali del dopoguerra. Un'idea
di realismo che il pittore Gabriele Mucci ha ben sottolineato: «… tutto ciò che
cade sotto i nostri sensi è realtà, d'accordo, ma i realisti scelgono
"delle realtà" che hanno un significato nel senso dello sviluppo (…)
e trascinano le cose che hanno un significato nel senso del deferimento (…).»
Temi dunque che si esplicano nel duplice aspetto del mondo,
quello umano e quello del paesaggio; un paesaggio vissuto dai braccianti, dai
mezzadri, dai contadini. Uno scenario che, proprio nel suo aspetto
fenomenologico, si fa manifesto di un modo di vivere.
Il paesaggio della bassa friulana propone così un orizzonte
fisico che intende superare la crudezza di un'esistenza di lavoro e sudore, un
paesaggio avvolto dalla nebbia e dal silenzio.
Queste sono le terre di 'Varisto Cian.
E Cian conosce bene l'arte del dopoguerra. "Apprendista
di bottega" prima da Vedova e poi da Zigaina, giovane comparsa nella Medea
di Pasolini, calciatore in un periodo in cui ogni squadra di serie A aveva
almeno due giocatori friulani. La sua formazione artistica dunque non ha
seguito solamente i linguaggi dell'arte pittorica ma si è, almeno in passato,
fatta convinta che compito dell'arte sia raccontare, narrare descrivere una
realtà condivisibile, un po' anche rifiutare in parte un altro aforisma di
Borges: «Il reale è quello che vede la maggioranza.»
Con il disegno e la pittura, da sempre compagni del suo
fare, scruta il paesaggio. Con esso condivide uno spirito di partecipazione,
con l'intenzione però di essere solo un attimo di un tempo che inesorabilmente
scorre e che contribuisce al mutamento del mondo e dei rapporti umani fra le
persone; ma è un attimo che comunque, tramite una serie di raffigurazioni
realistiche, si manifesta come rappresentazione, come immagine evocativa di ciò
che gli sta attorno.
Il percorso dell'artista di Ruda non origina dunque da un
principio estetico, poiché la sua libertà interpretativa non pare essere
condizionata da alcun presupposto squisitamente formale, né, tantomeno, si
propone come una sintesi dei vari linguaggi espressivi della pittura cui è
venuto a contatto. Per questo le sue opere non possono né essere inglobate tra
quelle teorizzate da Pizzinato né tra quelle di Anzil; anzi l'artista si nutre
di entrambe e le fa proprie, attraverso la descrizioni delle sensazioni provate
di fronte al paesaggio in generale o, in senso più intimistico, filtrate da
esperienze terrene.
Cian non guarda a quel mondo in modo esclusivamente
oggettivo, c'è sempre una lettura personalistica di ciò che vede, sia quello
concreto e sociale che quello personale e soggettivo. Egli, infatti, cerca sé
stesso in un mondo che è la sua esistenza, per questo, nella ripetizione quasi
ossessiva di alcuni dei suoi soggetti, trasforma, di volta in volta, le sue
immagini come espressione di una nuova percezione. Questo gli permette di
superare i limiti del tempo reale. Passato e presente si confondono, ricordi e
memoria si affievoliscono nell'ossessivo riproporsi, in modo tale che ogni
riflessione individuale viva e si manifesti nei soggetti ricorrenti: i gelsi,
il corvo, i suoi cani, il suicida di Papariano, il figli, Alba, gli amici:
attori, registi, pittori, scrittori ecc.
Personaggi, oggetti, animali, luoghi come testimoni di un
muto dialogo che rievoca le diversità delle scelte espressive e artistiche.
Ne portano la prova i gelsi prima descritti dentro un
silenzioso e grigio paesaggio di una cupa campagna. Altre volte in un
pomeriggio assolato dall'inspiegabile assenza di ombre, poi ancora raffigurati
su fogli attaccati al cavalletto con lo scotch, come infinite e atemporali
repliche, come ricordi che affiorano da un intimo vivere il passato; copie di
consumate visioni o mute comparse in nuove pitture. Flebili e vecchie figure
che volteggiano ancora nel presente. Non più lo spazio infinito della campagna,
non più le tracce del lavoro e del sacrifico, ma una riproduzione della riproduzione:
un disegno nel disegno. Nuove visioni di un passato esperito nel tempo.
A questo percorso non si rendono estranei neanche i volti di
amici, figli, compagni e personaggi famosi. Tutti nati come ritratti, come
registrazione di un attimo o come espressione immediata di un momento
percettivo in un contatto diretto tra autore e il ritratto. Poi, anche questi
volti si fanno memoria ricordo e citazione.
Si assiste dunque a un cambiamento, non certo nella forma,
ma nella lettura della realtà che circonda l'artista. E anche in queste ultime
pitture si avverte una mutazione che potremmo definire di tipo visionario,
proprio perché vi affiora una diversa interpretazione della luce. Gli ultimi
quadri di 'Varisto Cian, infatti, acquisiscono un cromatismo più audace e
innovativo, che si allontana dai cupi colori delle ovattate atmosfere di
un'esistenza finita e ormai relegata nella narrazione e nella letteratura.
Storie definitivamente isolate nel ciclo della memoria, ma non prive della luce
illuminante che guarda al presente con uno spirito più leggero. Non più il
ritratto per raccontare e saldare un'amicizia, ma una descrizione più ermetica
dell'essere, sorretta però dall'effetto fenomenico dell'arte. Così segno,
disegno e colore, attraverso le autocitazioni (spesso raffiguranti amici che
rivendicano una loro presenza nel percorso creativo dell'artista), si
addentrano in una pittura che si nutre di ricordi e di irrealtà visibili. Un
realismo onirico dove tutto si confonde nella creatività che è propria delle arti
figurative. Immagini che si alimentano del trascorrere del tempo e della
mutevolezza delle cose, poiché è il tempo che determina l'origine e la fine di
un mondo che appartiene all'artista, che, in quanto tale, attraverso le parole
e l'arte, lo mantiene vivo."
Presentazione dell'artista in occasione della mostra che si
è svolta nel palazzo della Regione nell'estate del 2015.
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