sabato 30 novembre 2024

Discriminazione tra donne e uomini: nuova sentenza della Corte Costituzionale.

 

Illegittime le disposizioni  che producono un trattamento deteriore per le donne che partecipino al concorso a ispettore della Polizia penitenziaria.

di Martina Luciani


La discriminazione di genere serpeggia nell’ordinamento italiano con lo stesso furtivo procedere con cui interseca nodi principali e secondari della società.
L’ultima sorpresa la troviamo nella sentenza del 30 ottobre 2024 della CorteCostituzionale  che ha fatto emergere una disuguaglianza tra donna e uomo così clamorosa, seppur defilata nelle pieghe della folle architettura della legislazione nazionale, che ci si chiede perché non sia stata additata e affrontata prima.
In particolare avrebbe dovuto farlo l’amministrazione pubblica coinvolta, responsabile dell’applicazione delle norme discriminatorie,  che invece di resistere in giudizio doveva dire: accidenti, è vero, queste disposizioni sono una porcheria, fermi tutti adesso le mettiamo a posto.
Sto parlando delle norme che producono un trattamento deteriore per le donne che partecipino al concorso a ispettore della Polizia penitenziaria, discriminazione  in  contrasto  con la Costituzione italiana,   le  direttive  europee  e le pronunce della Corte di giustizia UE in materia. ben nascosta ma con effetti significativi.

 Andiamo per ordine, anzi no, cominciamo dalla fine: la Corte Costituzionale, investita della questione, ha sancito l’illegittimità costituzionale della norma su cui si fonda la discriminazione, contenuta nel d.lgs. n.95 del 2017 che ha effettuato una revisione dei ruoli delle forze di Polizia, cassando le parti dell’articolato che distingueva secondo  la  differenza  di sesso i posti da mettere a concorso nella qualifica iniziale degli ispettori del Corpo di Polizia penitenziaria.
Nella specificità della questione, per non farla troppo lunga ricordo soltanto che la vicenda parte da un concorso, indetto dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, a maggio del 2020,  per la qualifica  di  ispettore del Corpo di Polizia penitenziaria: un totale di 691 posti, e di questi  606 posti per il ruolo maschile e  85  posti per il ruolo femminile.
Più che una questione, è una questionaccia, visto che è dal 1990, con la legge  n.  395  (Ordinamento  del  Corpo  di  polizia  penitenziaria) che  è stabilito il principio di eguaglianza tra uomo e donna, riguardo all’espletamento dei servizi di istituto, e tra il personale maschile e quello femminile del Corpo di Polizia penitenziaria vi è piena parità di attribuzioni, di funzioni, di trattamento economico e di progressione di carriera. Con l’unica deroga costituita dalla previsione che il personale del Corpo di Polizia penitenziaria da adibire ai servizi di istituto «deve essere dello stesso sesso dei detenuti o internati ivi ristretti» (art. 6, comma 2). Questo a me sta bene, è comprensibile  che nella vita quotidiana in carcere le detenute abbiano a che fare con personale femminile.  
Eppure nella complessiva dotazione organica del ruolo degli ispettori,  i  sostituti  commissari  sono 590  uomini  e  50  le  donne;  per  gli  ispettori  superiori,  per  gli  ispettori capo, per gli ispettori e per i vice ispettori, la dotazione organica è di 2640 uomini e 375 donne.

 Ma questo squilibrio non ha ragione alcuna di esistere, perché il lavoro svolto nel ruolo di ispettore non presuppone come connotazione qualificante il  diretto  e  continuativo  contatto  con  i  detenuti .
Scrive la Corte, per questa specifica categoria di personale, che l’evoluzione normativa ha accresciuto l’importanza dei compiti di coordinamento e direttivi, destinati a proiettarsi anche nell’ambito della formazione e dell’istruzione, e ha delineato per gli ispettori un’essenziale funzione di raccordo tra il ruolo degli agenti e degli assistenti e dei sovrintendenti, da un lato, e il ruolo dei funzionari, dall’altro.
Esiste certamente un divario tra presenza maschile e femminile nel quadro generale degli organici, ma si spiega con il diverso ruolo degli agenti e degli assistenti, in costante contatto con i detenuti delle sezioni.
Quindi, alla luce  dei  compiti  di  direzione  e  di  coordinamento,  che  contraddistinguono  le  mansioni  assegnate agli ispettori, la più esigua rappresentanza femminile non rinviene alcuna ragionevole giustificazione in un requisito  essenziale  e  determinante  ai  fini  dello  svolgimento  dell’attività  lavorativa,  nei  termini  rigorosi enucleati dall’art. 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54/CE.
E cioè: l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, principio presente peraltro anche in altre norme del diritto eurocomunitario, e citate anche nell’ordinanza con cui il Consiglio di Stato ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale.

 Arriviamo alla norma viziata: ed è l’art. 44, i commi da 7 a 11, del d.lgs. n.95 del 2017, declinato in una serie di tabelle allegate che come già accennato distinguono secondo il  genere,  in  dotazione  organica,  i  posti  da  mettere  a  concorso  nella  qualifica  di ispettore  del  Corpo  di  Polizia  penitenziaria. Il  sistema  censurato in concreto ha escluso  da  una  collocazione  utile  in graduatoria  anche  donne  che  avessero conseguito  una  votazione  più  elevata,  solo  perché  gli  uomini  sono rappresentati in misura più consistente nella dotazione organica e nei posti messi a concorso.
La Corte afferma tra l'altro che la  sperequazione  censurata  non  persegue un  obiettivo  legittimo,  legato  all’esigenza  di preservare  la  funzionalità  e  l’efficienza  del  Corpo  di  Polizia  penitenziaria,  e  confligge  con  il  canone  di proporzionalità, proprio per l’ampiezza del divario che genera.
Inoltre, le discriminazioni nell’accesso a un ruolo, che prelude al conseguimento degli incarichi più prestigiosi,  vìolano  il  diritto  delle  donne  di  svolgere,  a  parità  di  requisiti  di  idoneità,  un’attività  conforme alle loro possibilità e alle loro scelte e impediscono loro di concorrere così al progresso della società.
E con riferimento al caso specifico oltretutto gli effetti distorsivi generati si ripercuotono sull’efficienza stessa dell’amministrazione.

Conclusione: per l'ennesima volta bisogna rivolgersi alla Magistratura per far valere i diritti alla parità di genere , un vizio intrinseco di un Paese che ha seminato discriminazioni in ogni dove, e le custodisce a testimonianza dell'evidente, pervicace riluttanza a scendere dallo scranno di genere dominante. Adesso scrivo una convinzione peronale. Il rischio della completa parità  per il genere dei patriarchi è enorme, :  perchè  quando davvero la discussione sarà tra donne e uomini alla pari, potrebbe andar a finire che si dimostri che in verità sarebbe meglio riconoscere che un genere dominante esiste, ed è quello femminile, e che il pacifico, armonioso, ecologico modello del matriarcato è il solo a garantire la sopravvivenza dell'umanità. 

Intanto prendiamo atto che le disposizioni denunciate e cassate sono state cancellate dal ordinamento e si praticherà la banale regola che se ci dovessero sussistere differenze  tra uomini e donne, nell’accesso alla qualifica di ispettore del Corpo di polizia penitenziaria, queste dipenderanno esclusivamente dal punteggio  che  ciascun  candidato  di  volta  in  volta  ha raggiunto. Amen.


domenica 20 ottobre 2024

Gorizia odia i suoi grandi alberi. Incuria ed efferatezza sono le regole della gestione del verde urbano.



Perché un cantiere cittadino a Gorizia è più importante di un eroico e bellissimo pioppo? Perché chi ha redatto la gara di appalto non ha sancito che debba essere realizzata un’area di rispetto della pianta, adeguata alle sue dimensioni? Perché chi dirige i lavori non coglie l’efferato trattamento che riceve l’albero all’inizio di via Manzoni?

di Martina Luciani



Perché non c’è un controllo e un’azione che garantiscano la tutela di un bene pubblico, del verde urbano di proprietà comune? Perché non cacciamo l’assessore competente, che già ne ha permesse e combinate a decine, una peggio dell’altra ad offendere, deturpare, distruggere il verde pubblico? Perché, questa è la risposta che vale per tutte le domande, i primi ai quali non gliene frega niente sono i cittadini della disgraziata ex città giardino: quella di cui, molto tempo fa, Biagio Marin decantava il verde, le estati trascorse all'ombra delle grandi chiome, dicendo che gli uomini a Gorizia si sono dati spazio e alberi, fiori e canti d'uccelli, come se tutti fossero poeti o signori. 

Il mio primo allarme è del 20 ottobre 2023, su FB ((2) Martina Luciani | Facebook)
Scrivevo: Ma il pioppo cipressino, bello bello, anche a lui lo vogliamo ferire e torturare come tanti alberi cittadini, così che deperisca e muoia un po' alla volta, magari sulla testa di qualcuno? INDECENTE cantiere a ridosso della pianta, radici strappate e messe a nudo. Ci si prenda la responsabilità e lo si seghi via subito,  invece di fingere di tenerlo in vita, povero cristo di un pioppo! Città che si merita piantagioni di broccoli e cipolle, altro che grandi alberi. Incapaci, inetti, deficienti, tronfi, malfidenti, stupidi all' ennesima potenza e ipocriti: una bella masnada, da decenni, a governare in Comune.

Ottobre 2023
 A ottobre 2023, insomma si poteva ammirare l'iniziale, ipocrita e inadeguato, allestimento di una protezione, così la forma del nascente cantiere è a posto, chi deve controllare assente e si compiace. E le prime tracce dell'infierire sulle radici. 

 A luglio 2024 la situazione era già evoluta secondo i meccanismi tipici di questa gretta e incivile città.
La fasulla recinzione era già sparita, macerie e robacce di cantiere cominciavano ad accumularsi ai piedi del pioppo, insieme alle prime radici estirpate.
Nel frattempo, il pioppo continuava a resistere a tempeste e ingiurie climatiche, con volontà ferrea di resistere e sopravvivere, continuando a donare servizi eco sistemici e bellezza ( quelli che nessuno vede e comprende).

A settembre 2024, il ciarpame era aumentato, nel mucchio si vedevano materiali di ogni genere e rami e ulteriori radici, evidentemente estirpate nel corso degli scavi.



Ie
ri, 19 ottobre 2024: mucchi di terra addossati al tronco, blocchi di cemento, ancora radici E attorno, terra compressa e ben battuta dai mezzi pesanti di cantiere. Esattamente e doviziosamente tutto ciò che non si deve fare nella gestione delle piante coinvolte in un cantiere in città. 


luglio 2024
In un anno di tormenti, quali possibilità di capacità vegetative, di stabilità, di banale voglia di vivere sono rimaste al pioppo cipressino d
i via Manzoni?
Ma soprattutto, perché l’amministrazione non l’ha fatto abbattere fin dall’inizio del cantiere? Unica risposta possibile: per non attirarsi critiche. 
Bene, adesso quell’albero ha smesso di essere compatibile con gli umani che lo circondano.
Con quel che ha passato, come non immaginare che il suo sistema immunitario sia collassato? 
Quindi? O lo si abbatte o prima o poi, sfinito e malato, si schianterà.
I responsabili una giustificazione la troveranno, non ho dubbi, e i cittadini se la berranno senza obiettare. 
Quanto scrivo serve a ben poco, lo so bene, ma forse qualcuno, il giorno in cui il pioppo verrà giù, per una tempesta cui non sarà più in grado di resistere o perchè abbattuto dalle seghe a motore, ricorderà l'inizio della storia. Che vale, con poche varianti, per decine e decine e decine dei nostri grandi alberi cittadini, già eliminati o prossimi a morire.





Settembre 2024



Ottobre 2024




lunedì 19 agosto 2024

Barbarico intervento sui cipressi del Cimitero centrale di Gorizia: uno scempio dannoso, controproducente e stupido.

Una brutale e insensata chirurgia, del tutto inconcepibile rispetto qualsiasi regola di corretta pratica di cura delle piante arboree.

di Giancarlo Stasi

Il cipresso comune, cioè Cupressus sempervirens var. sempervirens, è sempre associato, a cominciare dalla mitologia greca, al culto dei morti. Non c’è quindi ambito in cui si vogliono ricordare i morti in cui non siano presenti i cipressi: cimiteri in primis ma da noi anche una strada, la Strada Regionale 55 dell’Isonzo, già Statale, detta anche Via Sacra del Vallone, ai bordi della quale erano stati messi a dimora molti esemplari di questa specie in ricordo del sangue versato da tanti giovani soldati, italiani ed austriaci, su questi nostri territori.

Il cipresso è una pianta austera e frugale, che non necessita in genere di particolari cure (ovviamente ha bisogno di ricevere acqua nei primi anni d’impianto) né tantomeno di potature, che possono essere vie di accesso per i funghi agenti di carie del legno, soprattutto di funghi agenti di cancro, in particolare il cancro del cipresso (Seiridium cardinale).


Appare pertanto inconcepibile, sia da un punto di vista estetico sia da quello tecnico, quanto attuato  - e probabilmente da completare – su una trentina degli esemplari del filare di cipressi in fondo al Cimitero centrale di Gorizia. Le annose piante sono state spogliate, per circa 1,5/2 m., dei rami basali, in una maniera che potrei definire barbara, ma resterebbe  comunque un termine riduttivo dello scempio perpetrato.
A ben guardare, pare che prima si sia intervenuti con una piccola ruspa strappando letteralmente le branche, refilando successivamente in maniera approssimativa le lacerazioni dei rami con una motosega. Le piante in molti casi hanno emesso resina sia dai tagli sia dai fusti, segnale di grave sofferenza.
Quanto attuato è del tutto inconcepibile rispetto qualsiasi regola di corretta pratica di cura delle piante arboree. Aggiungerei: è un’operazione dannosa, controproducente e concettualmente stupida.

Mi spiego. Dannosa: si sono predisposti i cipressi  ad un declino vegetativo che li porterà ad un precoce disseccamento (danno anche erariale oltre che ambientale). Controproducente: sono state inferte una quantità incredibile di ferite, porta di ingresso per i funghi che attaccano il cipresso, cancro del cipresso soprattutto. Concettualmente stupido: esteticamente le piante sono più brutte, non hanno più il loro naturale portamento e manifesteranno fino alla loro morte le orrende cicatrizzazioni di questa brutale e insensata chirurgia.

 



Le domande che naturalmente non troveranno risposta sono: chi ha deciso tali azioni? chi le ha commissionate? chi le ha attuate? chi non ha effettuato i controlli sulle modalità di esecuzione?


Se si fosse voluto impiegare proficuamente le risorse pubbliche, per migliorare sia l’estetica del luogo sia la sanità del complesso arboreo, il lavoro da attuare consisteva nella bonifica fitosanitaria dal cancro del cipresso, molto diffuso e molto virulento. Va sottolineato che lasciare in loco alberi malati significa aumentare a dismisura la quantità di spore che si diffondono nell’aria e sulle piante ancora sane. Quindi quel che andava fatto era non già il barbarico intervento visibile a tutti, ma il taglio ed asporto delle parti disseccate delle piante, procedendo eventualmente all’abbattimento degli esemplari più colpiti e alla sostituzione con dei cloni di cipresso selezionati per la loro resistenza al cancro. Bastava prendere esempio da quanto attuato dal Comune di Šempeter-Vrtojba nel cimitero poco oltre il Parco Basaglia.
Invece il Comune di Gorizia persevera nella sua pessima e irresponsabile gestione/distruzione del verde urbano/patrimonio collettivo.

Uno dei cipressi del Cimitero centrale di Gorizia, colpito dal cancro, ormai ad uno stadio avanzatissimo e irrecuperabile. 



venerdì 6 ottobre 2023

Il Tribunale civile di Udine chiamato a decidere sull’illegittimità costituzionale della norma elettorale del FVG che non prevede il diritto e la libertà ad esprimere la doppia preferenza di genere.

 

Presentato oggi in conferenza stampa il ricorso di cittadini e associazioni nazionali e locali. Prima udienza il 27 novembre prossimo.

di Lodovica Gaia Stasi


E’ un paradosso che una Regione a Statuto speciale come il Friuli Venezia Giulia nella propria legge elettorale non preveda la doppia preferenza di genere: è una sorta di specialità in negativo, visto che solo altre due Regioni italiane – Sicilia e Valle d’Aosta, entrambe a statuto speciale - vantano lo stesso primato, mentre tutte le Regioni a Statuto ordinario hanno adattato il proprio ordinamento.

Il Friuli Venezia Giulia, oltretutto, ha uno speciale bisogno di riequilibrare, nell’ambito delle cariche elettive regionali, la presenza femminile che si colloca non solo sotto la media delle assemblee elettive della Repubblica ma persino sotto la media delle regioni italiane.

Si è discusso di questa situazione nel corso della conferenza stampa, svoltasi oggi a Udine, indetta per illustrare il ricorso presentato al Tribunale civile del capoluogo friulano per l’accertamento della illegittimità della legge elettorale regionale per la parte in cui non è contemplatala la facoltà di esprimere due preferenze a favore di candidati di genere diverso. La prima udienza è attesa il 27 novembre prossimo.

L’iniziativa, come ha spiegato Annunziata Puglia, ex magistrata e rappresentante di Rete per la Parità, è stata avviata da 9 cittadini e sette associazioni con lo scopo di fare ciò che la politica non ha voluto fare e che costituisce una violazione dei diritti dei cittadini del Friuli Venezia Giulia, e non solo delle donne; e determina anche una discriminazione grave rispetto a tutto il corpo elettorale italiano ( a parte quello siciliano e quello valdostano). Appare

Andreina Baruffini Gardini, avvocata, esponente di Se non ora quando?, ha spiegato che i ricorrenti hanno scelto di evitare il ricorso in via amministrativa che avrebbe comportato l’impugnazione dei risultati delle ultime elezioni regionali. Si è preferito rivolgersi al tribunale ordinario, che più agevolmente potrà pronunciarsi e valutare se l’art.25 della legge elettorale del Friuli Venezia Giulia costituisca una censura alla libertà dell’elettore nella scelta di due candidati di sesso diverso. Il tribunale potrà  rimettere la questione alla Corte Costituzionale o decidere direttamente sulla questione: e cioè, la legge elettorale del Friuli Venezia Giulia è in netta contraddizione con l’articolo 3 e 51 della Costituzione e con lo Statuto speciale del FVG (ricordiamo che è una legge costituzionale) in cui è sancito, all’art.12, che è compito del legislatore regionale conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi, promuovendo condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali.

Ester Soramel, avvocata, esponente del Comitato Pari Rappresentanza 50e50, ha sottolineato che il ricorso è stato presentato da associazioni e cittadini di diverse posizioni politiche, a dimostrazione che i diritti civili sono universali. La doppia preferenza di genere non è lo strumento definitivo per eliminare la disparità di genere all’interno degli organismi elettivi ma uno degli strumenti di cui si dispone. Solo dopo l’applicazione uniforme della doppia preferenza su tutto il territorio nazionale sarà possibile verificare se sia veramente efficace rispetto i suoi obiettivi e quali correttivi eventualmente vadano apportati.

Relativamente all’obiezione che per introdurre la doppia parità di genere sia necessario riscrivere interamente la legge elettorale, Soramel ha precisato che basta modificare l’art. 25, introducendo la possibilità della doppia preferenza di genere, in maniera del tutto indipendente da una futura riforma della legge elettorale, e garantendo all’elettorato della nostra Regione un diritto fondamentale che attiene alla sfera delle libertà, visto che il cittadino ha la possibilità di esercitarlo o meno con il proprio voto.

Roberta Nunin, Presidente della Commissione delle Pari opportunità di Udine, ha evidenziato quanta risonanza avrà la decisione del Tribunale di Udine, ed eventualmente quella della Corte Costituzionale, avrà a livello nazionale e anche europeo. 

Il ricorso è stato presentato grazie all’impegno profuso dal gruppo di lavoro cui hanno partecipato la prof.ssa Marilisa D’Amico, Prorettrice dell’Università degli Studi di Milano, l’ avv. Massimo Clara del Foro di Milano, unitamente alla prof.ssa Benedetta Liberali e al dott. Stefano Bissato, entrambi dell’Università degli Studi  di Milano e all’avvocata Andreina Baruffini Gardini del Foro di Udine.

Le Associazioni firmatarie sono DonneinQuota, Rete per la Parità, Comitato Pari Rappresentanza 50e50, SeNonOraQuando? Udine odv, Zerosutre APS,Vita Activa Nuova APS, Le Donne Resistenti.

mercoledì 4 ottobre 2023

Doppia preferenza di genere, assente in FVG. A Udine un ricorso al Tribunale civile: è illegittima la legge elettorale del FVG?

 


Il 4 agosto 2023  è stato presentato un ricorso al Tribunale civile di Udine per laccertamento dell'illegittimità della legge elettorale regionale per la parte in cui non è contemplata la facoltà di esprimere due preferenze a favore di candidati di genere diverso e cioè la doppia preferenza di genere.

Ne dà notizia un comunicato stampa firmato dalle Associazioni DonneinQuota, Rete per la Parità, Comitato Pari Rappresentanza 50e50, SeNonOraQuando?, Udine odv, Zerosutre APS, Vita Activa Nuova APS e Le Donne Resistenti.
Il ricorso è stato sottoscritto da nove elettori ed elettrici residenti nel territorio di Udine e dalle sette associazioni impegnate nella promozione delle pari opportunità tra donne e uomini e nellaccesso alle cariche elettive ed è supportato da una più ampia base di cittadini ed associazioni che per diversi motivi non hanno potuto sottoscriverlo. Il  ricorso rappresenta il seguito della mobilitazione che nello scorso autunno era stata attuata in Friuli - Venezia Giulia da 27 associazioni che, il 14 novembre 2022 avevano  chiesto al Presidente Massimiliano Fedriga  di attivarsi affinché la modifica della legge elettorale regionale venisse approvata in  tempo utile per le elezioni regionali del 2023, così da consentire anche  nel Friuli Venezia Giulia la possibilità di esprimere la preferenza per due candidati di genere diverso anziché soltanto per uno.
Il Friuli-Venezia Giulia è, infatti, fra le ultime tre  Regioni (insieme alla Sicilia, e alla Val dAosta), che ancora non contemplano la doppia preferenza di genere nelle rispettive leggi elettorali regionali.

Lappello delle associazioni è rimasto del tutto inascoltato, così come inascoltata è rimasta anche la raccomandazione che il Ministro per gli  Affari Regionali e le Autonomie Calderoli aveva formulato in una lettera, inviata allo stesso Fedriga nella sua veste di Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nella quale, con un riferimento esplicito alla doppia preferenza di genere, introdotta con l’articolo 4 della legge n.165 del 2004 - Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione, evidenziava che risultano in alcuni casi, ancora vigenti le leggi elettorali che prevedono una sola preferenze di genere (…) e che siffatta eterogeneità nelle consultazioni elettorali regionali  può ledere leffettività del principio costituzionale di accesso alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza, e lo sollecitava a promuovere opportune iniziative per una compiuta attuazione nella legislazione elettorale regionale della normativa statale di principio volta a garantire la parità di accesso alle cariche elettive.

Nonostante le sollecitazioni delle Associazioni e del Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie e il parere favorevole, per ben tre volte espresso dalla Commissione Pari Opportunità regionale, la maggioranza del Consiglio Regionale nel novembre 2022 bocciava nuovamente la proposta di legge di iniziativa dei consiglieri Russo e Honsell per lintroduzione del meccanismo della doppia preferenza di genere.
La proposta di legge prevedeva una semplice modifica dellarticolo 25, commi 4 e 5, della legge regionale numero 17 del 2007 con lintroduzione della facoltà per lelettore di esprimere uno o due voti di preferenza a favore di candidati alla carica di Consiglieri regionali, con lindicazione, nel caso di doppia preferenza, di candidati di genere diverso.

Dopo la bocciatura  da parte della maggioranza, la terza nel corso della medesima legislatura  dopo che analoga bocciatura  era intervenuta nel corso della precedente legislatura, connotata da una maggioranza di diverso colore politico, le ultime elezioni regionali si sono svolte senza la doppia preferenza di genere.
Di conseguenza le associazioni che avevano sottoscritto la lettera appello indirizzata al presidente  Fedriga hanno ritenuto fosse un passo obbligato impugnare davanti al giudice ordinario la legge elettorale regionale per accertarne la illegittimità. A loro avviso la mancata previsione della doppia preferenza di genere nella elezione dei componenti il Consiglio regionale costituisce un’ingiustificata ed illegittima violazione di norme sia costituzionali (articolo 51 comma 1 della Costituzione) che ordinarie (articolo 4 della legge n.165 del 2004 come modificato dalla legge n. 20 del 2016)
Le associazioni firmatarie hanno sottolineato nel ricorso che la doppia preferenza di genere rappresenta l’ampliamento del diritto di voto, raddoppiando il numero di preferenze che possono essere espresse, oltre che uno strumento utile e necessario per favorire un riequilibrare della presenza delle donne nellambito del Consiglio Regionale dove, a fronte di un totale di 48 componenti, le Consigliere donne sono solo 9, cioè il 18 %.

Nel comunicato stampa si dà rilievo anche al fatto che liniziativa giudiziale "si è realizzata grazie alla generosa disponibilità offerta dalla Professoressa Marilisa DAmico, Prorettrice dellUniversità degli Studi di Milano e dallAvvocato Massimo Clara del Foro di Milano che, unitamente al loro staff (Prof.ssa Benedetta Liberali e Dottor Stefano Bissato entrambi dellUniversità degli Studi  di Milano), “pro bono”, e cioè gratuitamente , hanno curato la redazione del ricorso, fornendo anche il patrocinio professionale, unitamente allavvocata Andreina Baruffini Gardini del Foro di Udine.

sabato 24 giugno 2023

La scatola del tè: invito ad assaggiare un ottimo libro giallo. Con il suo autore, Giuliano Pellizzari, domattina, a Gorizia, nei Musei provinciali di Borgo Castello.










Domani, alle 11, nella sala conferenze dei Musei Provinciali in Borgo Castello, appuntamento di Crocevie - La sottile linea d'ombra: il giallo di Giacomo Pellizzari e la grande musica classica con il trio Battini-Pitis- Rühr.


di Martina Luciani

Leandro Arcani è un andragogo e socio linguista. Il suo vicino di casa, a Strassoldo, l’ottantenne Attilio, lo chiama a bell’apposta Oleandro, e lui ricambia la provocazione appellandolo Attila.  
Marianna Griotti è una scienziata. Scienziata ecologista. Anticonsumistica.  Marianna è amica di Leandro da moltissimi anni: non c’è una relazione tra loro, ma un affetto grande e una reciproca fiducia totale. Lui adora di lei energia, vitalità, effervescenza. E come un cavaliere d'altri tempi l’affiancherà nelle dinamiche, spesso ansiogene, del romanzo di Giuliano Pellizzari.   Un libro che quando lo cominci, non lo molli più, tra un'inquietudine e l'altra, tra un trabocchetto e una mistificazione, nel fluire di un'ottima, mai banale, scrittura in italiano, punteggiata, come un prato colorato di fiori, da espressioni friulane, slovene, tedesche. Un giallo cui dedicare sicuramente una seconda lettura, e così cogliere le plurime prospettive narrative che si intersecano nella struttura principale.
Poi ci sono Corba, Lupineri, il questore Mocilnik e tanti altri che non sto a dirvi, che si muovono interagendo in un pentagramma tra Udine, Strassoldo, Palmanova, Valbruna e Villacco.  Fuori dal pentagramma c’è Costracco, il borgo dove vive l’ispettore Corba, e più lontano ancora c’è una baita sperduta tra le pinete del Tarvisiano; al centro del pentagramma c’è un docente universitario morto sulla pista da pattinaggio in centro a Udine. Antipatico, presupponente: ma è solo questo, Elpidio Lavari?    


Ne parleremo domani  mattina, 25 giugno, nella sala conferenze dei Musei Provinciali in Borgo Castello, esplorando il romanzo giallo La scatola del tè, edito da Corvino, con il suo autore, Giuliano Pellizzari.  
Incaricata di tessere un dialogo che lasci molte tracce e non sveli nulla di essenziale sono io, Martina Luciani, una che ama recensire i gialli, in particolare quando hanno la vocazione manifesta ad essere buona letteratura.  Poi, a stringere tutti quanti nel cerchio magico della grande musica, ci sarà il Trio composto dai giovani musicisti Sofia Battini, Eleonora Pitis e Matteo Rühr, con tre raffinatissime proposte per questa matinée: Telemann, Ibert e Doppler. 

L’appuntamento fa parte del programma Una sottile linea d’ombra - Crocevie, realizzato dall’associazione Examina con il supporto di Regione Friuli Venezia Giulia, Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia, Comune di Gorizia ed Erpac FVG.


lunedì 19 dicembre 2022

Dal dentro al fuori. A Gorizia, si ragiona di carcere, di misure alternative alla detenzione, di lavoro come percorso di re-inserimento.

Quanto ne sappiamo noi tutti delle misure alternative alla detenzione? Assai poco. È stato quindi un incontro utile e importante, intitolato “Dal dentro al fuori: l'esecuzione penale oltre le mura”, quello organizzato da Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia FVG e ospitato nella sede di Agorè in Corso Verdi a Gorizia.

di Lodovica Gaia Stasi

L’incontro ha avuto come protagonista la dott.ssa Fausta Favotti, Funzionario di Servizio Sociale dell'Ufficio Distrettuale Esecuzione Penale Esterna (UDEPE), di Trieste e Gorizia, che ha esposto con semplicità e grande competenza la tematica delle misure alternative alla detenzione e della messa alla prova, dirette a realizzare la funzione rieducativa della pena, in ottemperanza all’articolo 27 della Costituzione.

L’esecuzione penale esterna al carcere si articola in uffici distrettuali e interdistrettuali rientrati nel Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia: sono uffici paralleli ed esterno al carcere, che fungono da ponte tra le attività intramurarie realizzate dal detenuto e la realtà esterna.
Le misure alternative alla detenzione sono la semilibertà, la detenzione domiciliare, l’affidamento in prova ai servizi sociali.  Infine, vi è  la messa alla prova. La sospensione del processo con messa alla prova è una modalità alternativa di definizione del processo, attivabile sin dalla fase delle indagini preliminari, mediante la quale è possibile giungere ad una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, laddove il periodo di prova cui acceda l'indagato / imputato, ammesso dal giudice in presenza di determinati presupposti normativi, si concluda con esito positivo.
Gli uffici locali di esecuzione penale esterna svolgono, tra le altre attività, le indagini socio familiari e l’osservazione del comportamento del detenuto; propongono all’autorità giudiziaria il programma predisposto per i detenuti che chiedono di essere ammessi a misure alternative al carcere e svolgono i controlli nella fase dell’esecuzione della misura disposta dal Tribunale di sorveglianza in presenza dei requisiti previsti dalla legge.
Attraverso il dibattito con il pubblico è stato messo in risalto come le misure alternative abbiano “aperto un varco nel muro del carcere”, rendendo possibile un paradigma di giustizia in cui la persona condannata interagisce con la comunità e il territorio,  può ricostruire i rapporti spezzati con la commissione del crimine, elaborare pienamente le proprie responsabilità  e lungo un percorso rieducativo avviarsi al re-inserimento sociale.
Gli interlocutori dell’UEPE, con i quali vengono attivati gli specifici percorsi per i condannati cui sono state riconosciute le misure alternative,  sono i soggetti del Terzo Settore, associazioni e volontariato in primis, e le pubbliche amministrazioni locali. 

L’osservazione sul tema della detenzione in carcere e delle misure alternative proseguirà il 20 dicembre, alle 18.00, nuovamente su iniziativa di CRVG Friuli Venezia Giulia: sempre nella sede dell’associazione goriziana Agorè si parlerà del ruolo del lavoro nel percorso di re-inserimento sociale del detenuto. Interverranno il dott. Alberto Quagliotto e la dottoressa Margherita Venturoli, rispettivamente direttore e educatrice della Casa Circondariale di Gorizia.

Si segnala inoltre che nella galleria di Agorè, fino al 21 dicembre 2022, dalle 16.00 alle 19.00, è possibile visitare la mostra “pArte da dentro”, che espone i quadri realizzati nell’ambito dei laboratori permanenti di pittura e bricolage, dai detenuti in regime di Alta sicurezza presso la Casa Circondariale di Tolmezzo.

 

lunedì 29 agosto 2022

Quando l'infestazione di zanzara tigre fa rima con incapacità amministrativa dell'istituzione competente.





di Martina Luciani

Il Comune di Gorizia da anni dimostra l'assoluta incapacità a contenere le infestazioni di Aedes albopictus, insetto che assieme alle sue parenti strette Aedes koreicus e Aedes japonicus  è responsabile delle infezioni da virus Chikungunya, Dengue e Zika. Ovviamente i cittadini sforacchiati, pruriginosi e dolenti, protestano (qui un mio post del 2018)e lo fanno tanto più vigorosamente quanto più abbiano cura nella propria sfera privata di evitare le condizioni che causano la proliferazione degli insetti (cura del tutto inutile se attorno a casa propria nessuno agisce e niente accade). Alle proteste - ed ora anche al probabile caso di West Nile Fever, che con la zanzara tigre però nulla ha a che fare, come conferma l'Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie - segue di prassi una bella dose di insetticida, che serve a quasi niente e danneggia l'ambiente, visto che colpisce tutti gli insetti adulti senza distinzione tra cattivi e buoni, brutti e belli, e difficilmente interferisce con le larve, in breve pronte a sostituire le popolazioni soppresse. 


di Martina Luciani

Pensavo che l'ordinanza del sindaco di Bolzano, che impone, fino a tutto ottobre, ai soggetti pubblici e privati determinate azioni in materia di lotta alla zanzara tigre, fosse la più aderente alle effettive problematiche che consentono le infestazioni delle zanzare, anche perchè si inserisce nel programma comunale specifico ( Zanzara tigre, fondamentale la prevenzione - YouTube, dal minuto 3.09) e nel contesto delle attività svolte dalla Provincia autonoma, che ha un gruppo di lavoro espressamente dedicato ed effettua anche i monitoraggi sul territorio per seguire l'andamento delle infestazioni. 

Ma ho scovato un Comune che prevede qualcosa in più rispetto al divieto di mantenere acque stagnanti e all'ordine di effettuare i trattamenti larvicidi anche nelle proprietà private.

Il Comune di Marmirolo, in provincia di Mantova, con l'ordinanza 17 del 27 aprile 2022, ha preso atto, in linea con  tutti i Comuni dotati di capacità di gestione del territorio e di prevenzione dei rischi sanitari, che 
la principale azione per limitare le infestazioni è la rimozione dei focolai larvali con i trattamenti larvicidi; e che le misure straordinarie vanno rivolte non solo alla generalità della popolazione presente sul territorio comunale e agli enti pubblici ma anche “in particolare alle imprese ed ai responsabili di aree particolarmente critiche ai fini della proliferazione del fenomeno, quali cantieri, aree dismesse, piazzali di deposito, parcheggi, altre attività produttive che possono dar luogo anche a piccole raccolte di acqua e conseguenti focolai di sviluppo larvale”.

Quindi, il sindaco di Marmirolo, così come il sindaco di Bolzano, oltre a ordinare i soliti comportamenti diretti a evitare i ristagni d’acqua e i soliti trattamenti negli spazi di proprietà privata e i trattamenti antilarvali, ordina in alternativa di procedere alla chiusura degli stessi tombini, griglie di scarico, pozzetti di raccolta delle acque meteoriche con rete zanzariera, ovviamente integra.
Zanzariere sui tombini e sui pozzetti: una cosa che all’Ufficio ambiente del Comune di Gorizia non si può nemmeno immaginare. Invito pertanto i tecnici comunali a venire a casa mia e vedere come si fa, non è difficile e funziona.

venerdì 5 agosto 2022

Attivato a Gorizia un coordinamento locale del Comitato di Liberazione Nazionale.


Comunicato stampa.
CLN Gorizia,
5 agosto 2022.
Istituito a Gorizia, in collegamento con la rete del CLN estesa in tutta Italia,un coordinamento provinciale  del Comitato di Liberazione Nazionale.  

Ha raggiunto anche Gorizia la  rete, estesa in tutta Italia, dei coordinamenti locali del CLN, Comitato fondato su iniziativa del giurista Ugo Mattei con innumerevoli adesioni fin dall’atto costitutivo, e presentato a Torino, all’inizio di quest’anno, in occasione di una memorabile assemblea pubblica che è stata dedicata ai 12 professori universitari che nel 1931 rifiutarono il giuramento di fedeltà imposto dal regime fascista.

Dopo la nomina del coordinatore per Gorizia durante una pubblica assemblea – il Caucus del 16 luglio scorso, durante il quale il primo dei due incarichi previsti per la nostra Provincia è stato assegnato a Martina Luciani -  si è svolta nei giorni scorsi la riunione d’esordio degli aderenti al CLN.
Ribaditi alcuni concetti fondamentali, costituenti il DNA dello Statuto del Comitato – primo fra tutti il contrasto alle politiche governative antidemocratiche, neoliberiste, guerrafondaie, atlantiste, concentrate a sovvertire lo Stato di diritto, a smantellare lo Stato sociale, a svuotare il Parlamento delle sue prerogative, a indebolire lo spirito e la lettera della Costituzione nata dalla Resistenza – l’assemblea ha discusso la posizione assunta dal CLN in vista delle elezioni del 25 settembre prossimo.

La situazione introdotta dalle scelte del presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio dei ministri, anticipando le elezioni al 25 settembre, ha imposto una insormontabile discriminazione i tra partiti già rappresentati, cui non è richiesta alcuna raccolta firme, e i movimenti extraparlamentari, inclusi quelli formatisi come reazione alle imposizioni dell’emergenza sanitaria, per i quali sarà difficilissimo partecipare alle elezioni.
Purtroppo, nonostante gli appelli all’unità delle liste elettorali collocate nella vasta area del dissenso e della protesta contro l’abuso dei poteri pubblici e contro l’aggressione ai diritti fondamentali e beni comuni , si è prodotta una inutile e dannosa frammentazione della rappresentanze, in significativa dissonanza con la capacità di coesione trasversale dimostrata dalle folle nelle piazze italiane.  
Il Comitato, in coerenza con  il principio statutario “Scopo principale del CLN è garantire l’unitarietà politica della risposta resistenziale allo stravolgimento della Costituzione in atto”
ha adottato per ora la linea dell’astensionismo dal voto: e ciò sulla base della premessa che entrare in cabina elettorale anche solo per annullare la scheda o votare scheda bianca costituirebbe nei fatti la legittimazione di una tornata elettorale truffa, allestita con modalità illegittime e con obiettivi palesemente antidemocratici e scopi ancor più palesemente autoritari.
Anche a Gorizia, quindi il CLN, in posizione di neutralità, non assumerà un ruolo attivo nella raccolta delle firme, lasciando a tutti i propri componenti la libertà di agire a titolo esclusivamente personale, rinunciando tuttavia ai ruoli di garanzia e servizio che eventualmente ricoprissero.
Chi volesse aderire al CLN nazionale e al CLN Gorizia può seguire i contenuti e gli aggiornamenti del nuovo sito nazionale:
Cos’è il CLN – CLN – Comitato di Liberazione Nazionale (clnoggi.it)
Partecipa al CLN – CLN – Comitato di Liberazione Nazionale (clnoggi.it)
Comunicati Politici – CLN – Comitato di Liberazione Nazionale (clnoggi.it);
oltre alle informazioni e le indicazioni operative fornite attraverso i canali Telegram nazionale e locale:
https://t.me/clnoggi
https://t.me/+RYf__v-jJp84YzQ0
 

Il coordinatore provinciale
Martina Luciani


mercoledì 15 giugno 2022

Aphrodisias, Asia proconsolare: visioni eccentriche.


Appunti di un viaggio in Turchia, alla ricerca di un nesso tra le infinite varianti dei miti, con la chimera di percepire le tracce dell’originaria civiltà matriarcale. Per me è stato un viaggio con Leucò, perché i Dialoghi  di Pavese di nuovo si sono rivelati un libro totemico, che mi consente la confortante sensazione di appartenere individualmente a tutti i tempi della storia e di poter attingere a depositi di memorie infiniti anche senza una banca dati telematica.

Da “ In viaggio con Leucò”(2019) 
di Martina Luciani
 

 

Aphrodisias nel folclore dei turisti è la città della Caria dedicata alla dea dell’amore.
Definizione che è la semplificazione estrema del fatto che Afrodite,  elaborazione ellenica di arcaiche divinità femminili,  rappresenta la qualità energetica motore di armonia e bellezza nel mondo. 
Questa qualità permea di sé il sito archeologico e un tempo si esprimeva in diversi talenti dei suoi remoti abitanti, inclusa la vocazione, massimamente espressa in epoca romana,  alla diplomatica accettazione e utile gestione del  rassicurante abbraccio del potere imperiale. 
Finiscono in secondo piano, nell’approccio del moderno forestiero con lo stupendo sito archeologico, le ragioni dello stretto e privilegiato  rapporto tra la città asiatica e la capitale in Italia.
Roma   aveva scelto la dea Afrodite,  chiamandola Venere, per  descrivere le proprie origini divine.

La storia è nota: Afrodite, avvolta nel manto rosso delle principesse frigie (mentre attorno ronzavano le api: dettaglio rilevante, spesso le dee Madri medio orientali erano accompagnate dalle api), sedusse Anchise, mandriano e re dei Dardani, in una capanna sul monte Ida, nelle vicinanze di Troia. Tralascio i dettagli sulla sfuriata di Zeus quando ne fu informato.
Fatto sta che, in seguito a quella notte d’amore, Afrodite partorì Enea, colui che salvatosi dal massacro di Troia fuggì con i familiari e le immagini sacre, approdando infine sulle coste italiche.
In questo modo Roma aveva marchiato con una sorta copyright  olimpico tutta la propria storia politica e militare, e le sue pretese al  dominio sopra il mondo conosciuto.
Quando poi  Roma si mette in viaggio verso Oriente e arriva in una città interamente dedicata ad Afrodite, che fa? Se ne impossessa, seppur con belle maniere, poi mette all’opera artisti e architetti e la colma di prestigiosi riferimenti ad imperatori e condottieri: è come brevettare un eccezionale marchio religioso, anzi  è fondare una prodigiosa zona DOC, nella quale  l’albero genealogico imperiale affonda le radici, lo spazio fisico della celebrazione di fronte all’universo dei nobili legami familiari, l’ulteriore giustificazione della sottomissione della provincia d’Asia minore ai Romani.   


Saldamente affratellate nel mito, Roma e Aphrodisias  costruirono tra loro, certamente anche grazie alla diplomazia locale,  un legame duraturo e particolare,  nel quale alla seconda erano assicurati una serie di privilegi politici, fiscali, amministrativi.
Non mi pare insensato considerare questo fatto, oltre che come abile strategia romana nelle province, anche  come  prezzo simbolico  dell’aver messo a disposizione dei potenti stranieri la propria divinità tutelare ed il luogo in cui, fin da epoche remote, essa veniva evocata.  Lo spazio fisico, cioè, dove più e meglio che altrove veniva percepita la forza  della dea primordiale, nel tempo evolutasi con le forme più delicate dell’ellenica Afrodite.  

La città corrispose con generosità agli onori istituzionali elargiti da Roma, associando  senza remore imperatori e relative consorti al culto di Afrodite e producendo, grazie alle mani d’oro dei suoi artisti e artigiani (che spesso vantavano l’appellativo Afrodisieus, incidendolo in aggiunta a nome e patronimico sulle loro opere)  le meraviglie architettoniche e statuarie che hanno meritato il vincolo Unesco di “patrimonio dell’umanità”.
 
Sosto a lungo nei luoghi di questa città, circondata da un luminoso orizzonte di campagne e alture già imbiancate dalla prima nevicata d’ottobre.
La suggestione qui fluisce come un facile incantesimo.
Se ascolti, se guardi di sguincio, riesci a sentire, riesci a vedere:
il vocio di 30 mila spettatori  che attendono l’inizio dello spettacolo nel il teatro scavato in una collina, l’andare e venire di  gente che passeggia o mercanteggia nell’agorà con il sottofondo musicale delle acque gorgoglianti appositamente incanalate per coinvolgere nella percezione estetica degli occhi anche quella delle orecchie, lo scorcio di gruppo di notabili accalorate a discutere di questioni cittadine nell’Odeon, laggiù due amici escono parlottando dalle Terme e si avviano verso lo Stadium da cui risalgono le accalamazioni degli spettatori, i partecipanti ad una celebrazione del culto imperiale nel Sebasteion se ne vanno ammirati, stupefatti dal tripudio architettonico e statuario che testimonia l’intreccio tra il potere divino e quello umano e imperiale, altri personaggi che al Sebasteion invece si recano per ragion ben diverse dal culto, visto che negli spazi appositamente attrezzati si svolgevano  attività commerciali di particolare pregio e cospicue trattative bancarie ( del resto ci vogliono capitali ingentissimi per erigere e poi gestire queste enormi strutture cittadine, ed una volta ottenuti bisogna anche opportunamente farli fruttare).


Meno facile è mettersi in relazione con il Tetrapylon. 
Cammino lungo il tracciato che dall’Odeon porta al Museo,  un po’ l’ubriacatura archeomitologica si è placata, tanto che riesco persino ad osservare alcune piante che non conosco sul bordo della stradina.
D’un tratto mi ritrovo in un ampio prato, in mezzo c’è una aerea ed insieme potente costruzione, piena di cielo, luce e marmo plasmato come fosse zucchero filato, una sorta di grandioso passaggio che immetteva i pellegrini al santuario di Afrodite. 
Giro dentro e fuori tra i quattro gruppi di quattro colonne ognuno, ma non riesco mai a ritenere di averlo visto davvero, il Tetrapylon, e potrei continuare per ore, come se gli spazi scanditi dalle colonne e inondati di grazia fossero un misterioso labirinto che si riproduce all’infinito e in cui è stupendo perdersi. Non sai se questo luogo ti fa respirare profondamente come mai hai saputo fare o se sei invece sopravvivi sorridente in una lunga apnea, abbacinata dalla meraviglia, in una antica dimensione di arte, grazia e confortante percezione del divino.

Penso che non può bastare un intento fortemente celebrativo, per riuscire a progettare e creare simile bellezza,  che comunque deve assolvere anche a necessità di tipo logistico e amministrativo, c’è attorno una città piena di gente che ci vive e che ci lavora ( oggi la bruttezza è il pane della nostra quotidianità produttiva e sociale e io ne sono intrisa, che voglia o non voglia).
 Bisogna essere in grado di attivare grandiosi talenti e grandiose competenze. Ma il flusso che produce la creazione origina da imprinting culturali che non si imparano nei laboratori degli scultori.
Qui ad Aphrodisias è facile immaginare che essi promanino dal genius loci, la dimenticata Grande Madre che poi si fa riconoscere in svariati culti femminili fino ad assumere la fisionomia Afrodite, potentemente evocatrice nel cielo, nella terra e nelle acque  dell’armonia cosmica che regola tanto la semplicità perfetta del volo delle api o del balzo del delfino nel mare quanto la sapienza creatrice umana.


AFRODITE. LA SINTESI PERFETTA

Ed eccola, nel Museo di Aphrodisias, la statua che proviene dal tempio alla dea, eretto nel primo secolo a.C. sul sito già anticamente - ma proprio tanto anticamente - dedicato al culto.
Sia la postura, non dissimile dall’Artemide efesina, sia alcuni particolari che echeggiano i culti arcaici e permangono accanto alle movenze stilistiche elleniche, rappresentano la continuità con il remoto passato anatolico: nessuno può dire se si tratti di un caso o di una voluta trasparenza che lascia scorgere epoche matriarcali, certo è che essa è replicata nelle copie della statua ad opera della schiera di scultori afrodisiensi,  accomunati da un eccezionale talento ( dote venusina evidentemente, quella di cavar bellezza dalla pietra informe)  e molto ricercati nelle città dell’impero romano.
 


Quando me la vedo davanti resto esterrefatta.  La rappresentazione del volto richiama l’appellativo di Myrtoessa,spesso attribuitole:  la fronte incorniciata da una corona di foglie di mirto, pianta tanto benaugurante fertilità e felicità  quanto funebre e collegata al mondo ctonio. La dualità simbolica  non è contraddittoria, anzi corrisponde alla doppia valenza delle potenti dee arcaiche, signore della vita e della morte, della luce e dell’oscurità.

Le tracce botaniche di questo ennesimo viaggio a ritroso in una spiritualità retrostante quella ellenica,  da quest’ultima  “civilizzata” in senso razionale e maschile ma mai definitivamente cancellata,  restano nei nomi di donne amazzoni , guerriere e profetesse,  Myrtò, Myrine, Myrsine, Myrtila…

L’ineffabile Afrodite di Aphrodisias (non saprei come descriverne altrimenti l’espressione) porta un copricapo, decorato con una stella a sei punte: una tiara, in cui si vuol riconoscere la cosiddetta corona muralis latina,cioè la rappresentazione della mura della città che la dea proteggeva. 
Ma è davvero una corona muralis? Le arcaiche Cibele e le altre manifestazioni della Grande Madre, indietro fino agli Ittiti,  venivano raffigurate con una simile alta corona cilindrica, il polos, che vediamo resistere attraverso i secoli, anche in  epoca ellenistica ( deliberato indizio o inconsapevole usanza? ) a rappresentare sul capo di Afrodite, ma anche di Artemide, la continuità con le origini.
L’idea che si tratti di una acconciatura arcaica – quindi un richiamo di memorie e non il mero simbolo di funzioni tutelari tutela sulla città - è sostenuta dal fatto che il culto della dea precede di gran lunga la città che pure porta il suo nome: gli studi hanno infatti confermato la posteriorità dello sviluppo vero e proprio di Aphrodisias rispetto l’esistenza del luogo sacro. Insomma prima la Dea, e poi la sua città.
Sul petto della statua, una falce di luna rivolta all’ingiù, sormontata da un germoglio riccioluto di felce. Siccome non capisco, scatto una foto, la invio immediatamente a Marco, il mio compagno di liceo diventato formalmente un naturopata ma alchimista fin nel midollo.
Confidando nella tecnologia delle comunicazioni internazionali via etere, rifletto su alcune osservazioni della nostra guida.  Che aveva riferito ridacchiando, a mo’ di gossip storico, una certa fama di Aphrodisias come città licenziosa e dai costumi piuttosto facili.  Ma che ci aveva anche detto che in molti villaggi della Caria ancora si rintraccia il permanere, quale eco di scomparse civiltà matriarcali, di ruoli femminili preminenti, e non solo nella gestione dei legami  parentali, anche nell’organizzazione delle imprese familiari e delle attività di piccolo commercio locale.
Marco, che non ha idea dove io mi trovi, dall’Italia mi risponde subito, a proposito della luna sul decolletè di Afrodite.
E’ un simbolo che equivale ad un trattato. Il gradiente al contrario è chiamato nel linguaggio esoterico “luna indecente”, simbolo sessuale che associato alla felce, il cui archetipo è saturnino, ci porta dritti dritti al fenomeno della prostituzione sacra, e quindi all’esistenza di un’organizzazione del culto della dea intrecciata con il fenomeno religioso e sociale della ierodulia, residuo fossile del Regno della Grande Madre e dei rituali per attivare il potere fecondante  universale delle forze sessuali.  
A Babilonia, la frase con cui la prostituta sacra veniva scelta per il compimento dell’atto sessuale era: invoco per te la dea Mylitta. Il suono di questo nome ricorda Melitta e Melissa, parola che significa ape: Melisse erano le ninfe che scoprirono il miele e da cui le api presero il nome,  Melissa era la principessa cretese sacerdotessa della Magna Mater, Melissai erano le sacerdotesse di Persefone/Core e Demetra, iniziate ai riti misterici ad Eleusi. Infine Cybele – l’antesignana frigia di Afrodite - era associata nel culto all’ape regina.
Ho visto scolpiti in bassorilievo su certe stele anche dei pesci, mi parevano coppie di delfini.  Creature dell’acqua mediterranea, dalla cui spuma è sorta Afrodite. La siriaca Atargatis, spesso raffigurata con la coda di sirena, è una dea pesce, che viaggiando al seguito dei mercanti fu ellenizzata e assimilata ad Afrodite. Quest’ultima, come il suo doppio latino, nella mitologia è associata anche alle creature marine. Le Metamorfosi, ad esempio, riferiscono che per sfuggire al mostro Tifone, Afrodite trasformò se stessa e il piccolo Eros che stringeva tra le braccia in due pesci, tuffandosi poi nell’Eufrate.


Insomma, la trama è fittissima, si stende su territori  in gran parte inesplorati  e compone un disegno che rende risibile e anche un po’ meschina la nomea di Aphrodisias città licenziosa.
Possiamo invece, e piuttosto, visitarla considerandola l’approdo, accuratamente mimetizzato, di un percorso che parte dalle oscure profondità di precedenti culti anatolici, sumerici, fenici, egizi, ittiti della Grande Madre,  cardine dell’assetto sociale e religioso matriarcale. Una via che  conduce per passaggi sempre più ostruiti  al sacro recinto di Afrodite ( sacer significa separato, e ciò che viene tenuto lontano è il profano), al tempio dove le ierodule celebravano rituali sessuali di origine antichissima, frettolosamente etichettati dai censori dell’ordine patriarcale come orgiastici.
 Di fatto questa condanna, comminata già in epoca ellenica con tutte le possibili reazioni scandalizzate, era semplicemente uno dei modi per svilire la Dea Madre e per troncare con un passato remoto in cui  il rituale sessuale era strumento di percezione della Natura, di evocazione e appropriazione delle sue energie primordiali, di  mezzo per rafforzare l’unità e la solidarietà dei viventi e per attirare fertilità  e protezione sulle comunità degli umani. 

Pavese in uno dei Dialoghi fa dire a Iasone, che parla con la ierodula Melita scesa dal tempio di Afrodite a Corinto nella dimora del vecchio re, condottiero della spedizione degli Argonauti per la conquista del vello d’oro: “Piccola Melita tu sei del tempio. E non sapete che nel tempio – il vostro – l’uomo sale per essere dio almeno un giorno, almeno un’ora, per giacere con voi come foste la dea?” 
La piccola sacra prostituta non è dunque una reietta professionista del sesso a pagamento. E’al servizio diretto di Afrodite, che durante la visita di Aphrodisias raccomando di percepire come una delle molteplici forme della Dea-madre anatolica, egea e mediterranea primordiale.  
Il nome della ierodula, infine, riecheggia il nome Mylitta, che è quello con cui gli  antichi Assiri chiamavano Afrodite: “…anche tu sei la dea”, le dice Iasone, e a Occidente c’è un’isola che porta il suo stesso nome, Melita dove si trova un gran santuario della dea. Quell’isola oggi si chiama Malta ed è scrigno prezioso di reperti archeologici che ci riconducono alla preistoria femminile del divino.