venerdì 23 ottobre 2020

Volete le ciliege e le susine del Collio, gli ufiei di San Rocco, il radicchio di Massimo e le verdurine già pulite e tagliate di Antonella? O vi sfamate a base di gastroculturalchic?

Isonzo Soča 2016 - n.111

Bello il progetto di ritrutturazione del mercato coperto di Gorizia,
ma completamente sconnesso dalla realtà, dalla funzione del mercato in città, dalle esigenze e dalle speranze di rivitalizzazione urbana “a misura d’uomo”, e invece capace di annichilire  economie locali ( eroiche, preciserei)  in favore di ipotetici futuri afflussi turistico mangerecci con una spolverata di aromi enogastroculturalchic.

di Martina Luciani

Il progetto di ristrutturazione del mercato coperto di via Boccaccio e di tutti i locali commerciali che affacciano su via Boccaccio e corso Verdi, presentato dalla CCIAA di Trieste e Gorizia,  è un colpo al cuore della città.
Bello il progetto, ma completamente sconnesso dalla realtà, dalla funzione del mercato in città, dalle esigenze e dalle speranze di rivitalizzazione urbana “ a misura d’uomo”, capace di annichilire economie locali ( eroiche, preciserei)  in favore di ipotetici futuri afflussi turistico mangerecci con una spolverata di aromi gastroculturalchic.
Resterà la struttura, insomma, ma non il contenuto: il concetto tradizionale del mercato cittadino sarà usurpato da una sorta di centro commerciale enogastronomico di lusso.  Che nulla avrà a che fare con la vita quotidiana della città e dei cittadini, con le tradizioni della comunità, con il valore sociale e culturale di un luogo che oltre ad essere un ambito economico è custode di uno dei valori sociali e culturali maggiormente in via d’estinzione: le relazioni di comunità. E tiene collegate le nostre vite e le nostre famiglie alle svariate realtà del territorio, di qua e di là del confine amministrativo tra Stati, dai boschi alla pianura, dalle colline al mare, e alle sue vocazioni orticole e frutticole, alle stagioni, agli eventi naturali che determinano di volta in volta la dolcezza di una susina, la piccola ammaccatura di una zucchina, la pastosità di una albicocca, la croccantezza di un radicchio; alle sapienze antiche di chi coltiva ortaggi introvabili nella grande distribuzione e di chi sperimenta nell’orto tecniche “pulite” per l’ambiente e per la salute; all’esperienza di chi all’alba si reca ai mercati all’ingrosso e cerca il meglio per accontentare i clienti senza vuotar loro il portafoglio; ad un sistema dove ci sono pochi imballaggi di plastica e prevalgono tra gli acquirenti le buone pratiche di riuso di borse e contenitori.
 I commercianti e i contadini ( significa lavoro e redditi) che mantengono vitale il nostro mercato, spesso sulle orme dei loro genitori, saranno di fatto esclusi, il sistema di negozi ed esercizi attorno verràscarnificato, tutto il sistema commerciale del centro perderà uno dei suoi punti di equilibrio.  Saremo privati di un patrimonio comune, che oggi coinvolge commercianti e clienti nell’alimentare quel complesso sistema di significati che nessun centro commerciale esclusivo, tanto meno se di alta enogastronomia, potrà riprodurre e conservare.
Però, accidenti, bisognava aspettarselo. Era il 2014 quando il consigliere comunale Michele Bressan già paventava che l’intenzione dell’amministrazione comunale fosse di chiudere il mercato coperto e trasformarlo in “un centro commerciale urbano, ovvero una grande struttura di vendita, come se ne vedono tante nella periferia della città e che hanno causato la distruzione del commercio tradizionale di quartiere.”




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