venerdì 28 marzo 2025

Prato rasato a zero o prato fiorito? Situazione degli sfalci in quel che resta del Parco Basaglia.

 

Un lembo di prato fiorito a ridosso
delle trincee scavate al parco Basaglia
 

  Le soluzioni basate sulla natura ( Nature - based      solutions)  non attecchiscono al Parco Basaglia,        nemmeno nei prati sopravvissuti agli scavi. 

  di Giancarlo Stasi


Diversi sono gli enti proprietari del complesso del Parco Basaglia e le superfici di proprietà di ogni singolo ente sono poligoni irregolari che talvolta si compenetrano.
Tale situazione patrimoniale, mi riferisco alle aree a verde, non ha mai semplificato le diverse attività di manutenzione ordinaria e straordinaria. Con buona probabilità anche la nascita e lo sviluppo del “Progetto di rigenerazione urbana in chiave storico/culturale del Parco Basaglia a Gorizia” ha avuto - nell’espressione delle esigenze e, passatemi il termine, delle pulsioni di Asugi, Erpac e Comune di Gorizia - notevoli condizionamenti e fraintendimenti istituzionali.
Inoltre, il passaggio delle competenze di realizzazione del progetto stesso alla Direzione centrale patrimonio, demanio, servizi generali e sistemi informativi ha spostato lontano dal sito interessato ai lavori le necessarie attività di verifica precedenti e contemporanee alle attività previste e svolte. Voglio ricordare che non stiamo parlando di manufatti, che più o meno rispondono a canoni standardizzati, ma di organismi viventi che nel loro progressivo sviluppo si sono adattati alle puntuali condizioni climatiche e pedologiche.

E siamo giunti all’attuale sconquasso.
E’ di questi giorni l’inizio dell’attività manutentiva delle superfici prative, dove queste ancora esistono. E naturalmente anche qui si evidenzia quanto sia incongruente una situazione che se fosse familiare definiremmo da “separati in casa”: sono state falciate le aree prative d’ingresso e quelle poste tra la palazzina Asap e C-Asugi, a sinistra della strada asfaltata di accesso al complesso. Potrebbe sembrare una normale attività se non fosse che è stata interrotta circa cinque metri prima del margine ultimo del prato, posto di fronte alla palazzina Asugi: è una scelta o forse i diversi proprietari del prato non si sono messi d’accordo? Considerando, però, che si fa un gran parlare del parco come scrigno di biodiversità, del declino degli insetti e soprattutto delle api come essenziali impollinatori, delle sue funzionalità terapeutiche e della necessità di limitare i costi di gestione non si capisce perché si prosegua ad adottare delle pratiche manutentive non adeguate alle nuove consapevolezze ecologiche e sicuramente più costose.       


Perché, come fatto già da altre amministrazioni pubbliche, non si adotta lo sfalcio differenziato?
Tecnica in base alla quale i confini degli appezzamenti vengono regolarmente rasati, mantenendo così il decoro che piace tanto, mentre la vegetazione erbacea delle parti più interne e più ampie è lasciata libera di crescere e di fiorire, effettuando su queste superfici solo due o tre tagli annuali.
Valutando correttamente i tempi di sfalcio, le fioriture delle piante annuali e perenni sarebbero a disposizione della fauna impollinatrice e la profusione di fiori e colori andrebbe sicuramente a beneficio di tutte le persone che a vario titolo frequentano questo luogo. Non si dimentichi che un prato naturale svolge una anche una funzione di regolazione termo-climatica, che è cosa di cui abbiamo estremo bisogno, ed è sequestratore di carbonio, altra grande urgenza collettiva.
Nella foto accanto, si nota a sinistra il prato rasato, con un taglio così basso da mettere a rischio il manto erboso.
A destra il prato intonso, nel quale si vedono le tracce dei pneumatici di mezzi pesanti, che miracolosamente sono d'un tratto scomparsi dall’area, insieme ai materiali di cantiere che delimitavano spazi del prato in cui evidentemente si prevedeva di proseguire con la serie di
 INSPIEGABILI trincee.

Non è una novità, per questo blog, la crociata per i prati naturali, se ne era già parlato qui.
Voglio ricordare che in molti paesi europei, a partire dal Regno Unito, si sta sempre più diffondendo sia in ambito privato sia pubblico il movimento No Mow May (https://www.plantlife.org.uk/), che propone di lasciar riposare il tosaerba e di conseguenza anche l’operatore per tutto il mese di maggio  e lasciar spazio a questa meravigliosa schiera di piccoli esseri che nel loro operare compiono azioni indispensabili per la natura e di conseguenza per l’essere umano, che è una piccola e distruttiva parte di questo insieme. In Italia sono censite 944 specie di apoidei e tra gli impollinatori si annoverano anche sirfidi, farfalle, falene, alcuni coleotteri e vespe: una infinita moltitudine di insetti impollinatori che nell’ambiente contribuiscono al mantenimento dell’ecosistema e sono indispensabili, molto più delle api allevate, per assicurare i livelli produttivi della nostra agricoltura.
E dirò di più: insieme alla contrazione delle aree destinate al pascolo, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento ambientale anche di origine agricola, la forte presenza di api allevate determina il fatto che gli impollinatori selvatici rischiano grandemente di morire di fame. Conservare prati naturali anche in città, nei parchi pubblici ma anche nei giardini privati (le aiuole destinate alle api in mezzo al traffico sono di fatto pericolose per gli insetti) è un’azione ecologicamente responsabile. Ma qui i responsabili dove sono?

Prato fiorito alla Certosa di Pavia. Cartolina spedita nel 1979

Consiglio, a chi volesse approfondire l’argomento riguardante gli insetti, due gradevolissimi libri scritti dal prof. Dave Goulson, professore di biologia all’Università del Sussex: “Il ritorno della Regina” e “Terra silenziosa”. Interessanti notizie e informazioni sui bombi e su cosa fare per favorirne presenza e sviluppo le trovate sul sito delle fondazione da Goulson creata: https://www.bumblebeeconservation.org/ .


lunedì 17 marzo 2025

De profundis per il Parco Basaglia.



I lavori  di sminamento e gli altri interventi del “Progetto di rigenerazione” assolutamente non corrispondono alle “buone pratiche” agronomico-colturali necessarie per un parco. Quanto ho osservato nell’area degli scavi è negativo per la salute, la prosperità e la vita stessa delle piante.


di Giancarlo Stasi

Di Parco Basaglia in questi anni molto si è detto e scritto senza lesinare lodi e magnificenze ma  le belle parole moltissime volte hanno avuto scarsissimo riscontro nella realtà.  Molto impegno è stato profuso a descrivere l’avvolgente abbraccio verde del Parco, per contro l’impegno riservato al mantenimento di questo complesso arboreo, eredità primo novecentesca, non è stato sicuramente al passo delle reali esigenze di manutenzione e conservazione, sia dal punto di vista delle tempistiche sia delle corrette pratiche agronomiche e colturali.

La manutenzione ordinaria, sfalci ed eliminazione di soggetti ritenuti pericolosi per l’incolumità pubblica, è stata eseguita, magari in momenti non adeguati e con troppo estesa applicazione del principio di precauzione, mentre sono mancati gli interventi di manutenzione straordinaria ed in alcuni casi, quando attuati, hanno provocato maggiori danni del non intervento. Potature di rimonda, alleggerimento e riforma delle chiome degli alberi, selezione dei soggetti arborei e arbustivi nati spontaneamente, trattamenti fitosanitari sono i grandi dimenticati, smemoratezza che in verità riguarda l’intero patrimonio verde cittadino, pubblico e pure privato.

Alcuna anni fa, sulla scorta di un rinato interesse per la figura di Basaglia, si è pensato anche alla ristrutturazione del parco.
La Treccani on-line ci fornisce questa definizione: “Il PARCO è un ampio territorio che, per speciali caratteri naturalistici, è sottoposto a tutela dalle leggi nazionali o regionali per essere salvaguardato dalle azioni dell’uomo capaci di alterarne i caratteri, …”.

Nello specifico parliamo di un parco tutelato in base alla legge sui beni culturali, legge che in primis tutela l’artefatto e poco considera il carattere naturalistico: da qui discende a mio avviso il “peccato originale” e le sue conseguenze nefaste.
Ecco quindi apparire il “Progetto di rigenerazione urbana in chiave storico/culturale del Parco Basaglia a Gorizia”.  Vi pare sia menzionato nel titolo del progetto il fatto che la vegetazione è un elemento vivo, che nelle sue componenti arboree è soggetto ad un continuo e lento modificarsi di forme e strutture? Che la terra, il terreno, sui cui si va ad intervenire è un elemento fondamentale e ricchissimo di biodiversità importante per consentire ai vegetali presenti di svilupparsi nel modo più adeguato? Che la presenza di parti vegetali anche secche o seccaginose sostengono e permettono la vita ad un ampio numero di organismi (insetti, rettili, mammiferi, uccelli)? NO.

 Personalmente sono convinto che sia fondamentale quanto indicato all’Art. 14 della Carta di Firenze – Carta per la salvaguardia dei giardini storici (1982): Il giardino storico dovrà essere conservato in un intorno ambientale appropriato. Ogni modificazione dell'ambiente fisico che possa essere dannosa per l'equilibrio ecologico deve essere proscritta....













Quanto è stato possibile rilevare nei giorni scorsi sui lavori di sminamento e predisposizione dei successivi interventi del primo lotto del “Progetto di rigenerazione” assolutamente non corrisponde alle “buone pratiche” sia storiche sia agronomico-colturali. Tralasciando il tema prettamente “storico”, vorrei illustrare perché ritengo quanto ho osservato nell’area degli scavi al Parco, dal punto di vista agronomico, negativo per la salute, la prosperità e la vita stessa delle piante.
Danni diretti agli apparati radicali: ad un superficiale esame non pare che questi danni provocheranno nell'immediato problemi alla tenuta statica dei diversi esemplari arborei interessati da questa prima fase di lavori. Andrebbero comunque approfondite nello specifico, per ogni esemplare interessato, le condizioni di danneggiamento dell’apparato radicale così da escludere l’eventualità di schianti nel breve periodo.

 Attualmente, essendo l'area interdetta al transito del pubblico il rischio derivante da eventuali situazioni critiche risulta evidentemente basso: e quando il luogo sarà restituito alla pubblica fruizione, chi si ricorderà dei precedenti interventi invasivi, delle ferite e criticità procurate al Parco nel suo complesso ed ai singoli individui vegetali che lo compongono? Chi ne valuterà le possibili conseguenze durante il trascorrere del tempo? Ovviamente nessuno. Tuttavia è certo che i danni inferti alle loro strutture radicali predisporranno i soggetti vegetali ad un più o meno rapido declino vegetativo.

Spiego meglio: le radici assorbenti acqua e sostanze nutritive hanno necessità di un'adeguata dotazione di ossigeno. Ecco perché sono presenti negli stati superficiali del terreno, soprattutto dove per molti anni questo non è stato disturbato. I lavori effettuati hanno determinato, in alcuni casi, una forte riduzione delle possibilità di assorbimento idrico e, se il periodo estivo sarà particolarmente caldo e siccitoso, si verificheranno prima difficoltà nutrizionali e poi sicuramente estesi disseccamenti delle chiome.

Inoltre la rottura degli apparati radicali e in particolare di radici di medie e grandi dimensioni, come verificato, favorisce la colonizzazione di queste strutture legnose da parte di agenti di marciumi radicali. E' nota la presenza nel complesso di Armillaria sp., noto come chiodino, fungo che ha un duplice comportamento: è un parassita ed anche, con parola tecnica, un saprofita, cioè si nutre di materia organica morta e partecipa quindi agli importantissimi processi di decomposizione. Comunque sia, il suo attacco è letale: una delle comode vie d’ingresso dell’Armillaria nell’organismo dell’albero è l’insieme degli estesi danni provocati agli apparati radicali, e sono predisponenti all’ingresso del fungo nelle radici anche le situazioni di stress e difficoltà vegetative. A conferma della presenza di questo fungo, ci sono attualmente sono in attesa di abbattimento almeno tre grandi alberi, portati a morte dall'Armillaria. Naturalmente i lunghi tempi di colonizzazione e di degradazione degli apparati radicali da parte di questi organismi fanno sì che per i tempi dell'uomo non è mai evidente un rapporto di causa ed effetto e le morie saranno ascritte ai cambiamenti climatici. Così che la responsabilità originaria non ha mai un nome e un cognome, e con questa certezza progettisti e pubbliche amministrazioni procedono imperterriti a rigenerazioni che meglio sarebbe chiamare “devastazioni”, gli uni in preda del proprio estro creativo che esclude di solito, e completamente, la previsione delle modalità di gestione agronomica di quanto hanno disegnato; e le altre con totale garanzia di immunità per il futuro.

Danni indiretti agli apparati radicali: il transito con pesanti mezzi meccanici e il deposito delle ingenti quantità di terreno scavato sulle superfici prative luogo di sviluppo degli apparati radicali provoca un notevole compattamento del terreno, asfissia e cambiamento dei parametri fisici e microbiologici dello stesso. L’alterazione del profilo del terreno con quanto attuato provoca un ulteriore danno chimico e microbiologico. Lo spostamento di queste masse solide diffonde i patogeni tellurici presenti.

Danni alla componente erbacea: il rimescolamento dei diversi strati del suolo determinerà, una volta ripristinate le superfici, crescite disomogenee del nuovo manto erboso, evitabili solo suppletivi interventi agronomici.

 Chiedere ragione e giustificazione a ASUGI, ERPAC e Regione Friuli Venezia Giulia dei lavori attuati finora al Parco Basaglia non solo si può ma si deve.
La mia opinione: la scelta di voler ripristinare l’assetto originario dei tracciati, anche con lo scopo di assicurarne la massima fruibilità, ha ed avrà un costo altissimo: perché gli scavi in corso (cui si aggiungerà ciò che è ulteriormente previsto dal progetto) intervengono su una situazione di fatto profondamente diversa da quella di partenza.  E lo fanno pesantemente, causando danni irreversibili e, ancor peggio, in evoluzione negativa, al Parco così come è sopravvissuto e giunto a noi, nonostante tutto quel che gli è toccato subire. Alla faccia delle raccomandazioni e della saggezza della Carta di Firenze.