Illegittime le disposizioni che producono un trattamento deteriore per le donne che partecipino al
concorso a ispettore della Polizia penitenziaria.
di Martina Luciani
La discriminazione di genere serpeggia nell’ordinamento
italiano con lo stesso furtivo procedere con cui interseca nodi principali e
secondari della società.
L’ultima sorpresa la troviamo nella sentenza del 30 ottobre 2024 della CorteCostituzionale che ha fatto emergere una disuguaglianza tra donna e uomo così clamorosa,
seppur defilata nelle pieghe della folle architettura della legislazione
nazionale, che ci si chiede perché non sia stata additata e affrontata prima.
In particolare avrebbe dovuto farlo l’amministrazione pubblica coinvolta, responsabile
dell’applicazione delle norme discriminatorie, che invece di resistere in giudizio doveva dire: accidenti, è
vero, queste disposizioni sono una porcheria, fermi tutti adesso le mettiamo a
posto.
Sto parlando delle norme che producono un trattamento deteriore per le donne
che partecipino al concorso a ispettore della Polizia penitenziaria, discriminazione in
contrasto con la Costituzione
italiana, le direttive
europee e le pronunce della Corte
di giustizia UE in materia. ben nascosta ma con effetti significativi.
Andiamo per ordine, anzi no, cominciamo dalla fine: la Corte Costituzionale,
investita della questione, ha sancito l’illegittimità costituzionale della
norma su cui si fonda la discriminazione, contenuta nel d.lgs. n.95 del 2017 che
ha effettuato una revisione dei ruoli delle forze di Polizia, cassando le parti
dell’articolato che distingueva secondo
la differenza di sesso i posti da mettere a concorso nella
qualifica iniziale degli ispettori del Corpo di Polizia penitenziaria.
Nella specificità della questione, per non farla troppo lunga ricordo soltanto che la vicenda parte da un
concorso, indetto dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero
della giustizia, a maggio del 2020, per la qualifica di ispettore del Corpo di Polizia penitenziaria: un totale di 691 posti, e di questi 606
posti per il ruolo maschile e 85 posti per il ruolo femminile.
Più che una questione, è una questionaccia, visto che è dal 1990, con la legge n.
395 (Ordinamento del
Corpo di polizia
penitenziaria) che è
stabilito il principio di eguaglianza tra uomo e donna, riguardo
all’espletamento dei servizi di istituto, e tra il personale maschile e quello
femminile del Corpo di Polizia penitenziaria vi è piena parità di attribuzioni,
di funzioni, di trattamento economico e di progressione di carriera. Con
l’unica deroga costituita dalla previsione che il personale del Corpo di
Polizia penitenziaria da adibire ai servizi di istituto «deve essere dello
stesso sesso dei detenuti o internati ivi ristretti» (art. 6, comma 2). Questo a me sta
bene, è comprensibile che nella vita quotidiana in carcere le
detenute abbiano a che fare con personale femminile.
Eppure nella complessiva dotazione organica del ruolo degli ispettori, i
sostituti commissari sono 590
uomini e 50
le donne; per
gli ispettori superiori,
per gli ispettori capo, per gli ispettori e per i
vice ispettori, la dotazione organica è di 2640 uomini e 375 donne.
Ma questo squilibrio non ha ragione
alcuna di esistere, perché il lavoro svolto nel ruolo di ispettore non
presuppone come connotazione qualificante il
diretto e continuativo
contatto con i
detenuti .
Scrive la Corte, per questa specifica categoria di personale, che l’evoluzione
normativa ha accresciuto l’importanza dei compiti di coordinamento e direttivi,
destinati a proiettarsi anche nell’ambito della formazione e dell’istruzione, e
ha delineato per gli ispettori un’essenziale funzione di raccordo tra il ruolo
degli agenti e degli assistenti e dei sovrintendenti, da un lato, e il ruolo
dei funzionari, dall’altro.
Esiste certamente un divario tra presenza maschile e femminile nel quadro
generale degli organici, ma si spiega con il diverso ruolo degli agenti e degli
assistenti, in costante contatto con i detenuti delle sezioni.
Quindi, alla luce dei
compiti di direzione
e di coordinamento, che
contraddistinguono le mansioni
assegnate agli ispettori, la più esigua rappresentanza femminile non
rinviene alcuna ragionevole giustificazione in un requisito essenziale
e determinante ai
fini dello svolgimento
dell’attività lavorativa, nei
termini rigorosi enucleati
dall’art. 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54/CE.
E cioè: l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento
fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, principio presente
peraltro anche in altre norme del diritto eurocomunitario, e citate anche
nell’ordinanza con cui il Consiglio di Stato ha rimesso la questione alla Corte
Costituzionale.
Arriviamo alla norma viziata: ed è l’art. 44, i commi da 7 a 11, del d.lgs. n.95 del 2017, declinato in una serie di
tabelle allegate che come già accennato distinguono secondo il genere,
in dotazione organica,
i posti da
mettere a concorso
nella qualifica di ispettore
del Corpo di
Polizia penitenziaria. Il sistema
censurato in concreto ha escluso
da una collocazione
utile in graduatoria anche
donne che avessero conseguito una
votazione più elevata,
solo perché gli
uomini sono rappresentati in
misura più consistente nella dotazione organica e nei posti messi a concorso.
La Corte afferma tra l'altro che la
sperequazione censurata non
persegue un obiettivo legittimo,
legato all’esigenza di preservare
la funzionalità e
l’efficienza del Corpo
di Polizia penitenziaria, e
confligge con il
canone di proporzionalità,
proprio per l’ampiezza del divario che genera.
Inoltre, le discriminazioni nell’accesso a un ruolo, che prelude al
conseguimento degli incarichi più prestigiosi,
vìolano il diritto
delle donne di
svolgere, a parità
di requisiti di
idoneità, un’attività conforme alle loro possibilità e alle loro
scelte e impediscono loro di concorrere così al progresso della società.
E con
riferimento al caso specifico oltretutto gli effetti distorsivi generati si
ripercuotono sull’efficienza stessa dell’amministrazione.
Conclusione: per l'ennesima volta bisogna rivolgersi alla Magistratura per far valere i diritti alla parità di genere , un vizio intrinseco di un Paese che ha seminato
discriminazioni in ogni dove, e le custodisce a testimonianza dell'evidente, pervicace riluttanza a scendere dallo scranno di genere dominante. Adesso scrivo una convinzione peronale. Il rischio della completa parità per il genere dei patriarchi è enorme, : perchè quando davvero la discussione sarà tra donne e uomini alla pari, potrebbe andar a finire che si dimostri che in verità sarebbe meglio riconoscere che un genere dominante esiste, ed è quello femminile, e che il pacifico, armonioso, ecologico modello del matriarcato è il solo a garantire la sopravvivenza dell'umanità.
Intanto prendiamo atto che le disposizioni denunciate e cassate sono state cancellate dal ordinamento e si praticherà la banale regola che se ci dovessero sussistere differenze tra uomini e donne, nell’accesso alla qualifica di ispettore del Corpo di polizia penitenziaria, queste dipenderanno esclusivamente dal punteggio che ciascun candidato di volta in volta ha raggiunto. Amen.