sabato 30 novembre 2024

Discriminazione tra donne e uomini: nuova sentenza della Corte Costituzionale.

 

Illegittime le disposizioni  che producono un trattamento deteriore per le donne che partecipino al concorso a ispettore della Polizia penitenziaria.

di Martina Luciani


La discriminazione di genere serpeggia nell’ordinamento italiano con lo stesso furtivo procedere con cui interseca nodi principali e secondari della società.
L’ultima sorpresa la troviamo nella sentenza del 30 ottobre 2024 della CorteCostituzionale  che ha fatto emergere una disuguaglianza tra donna e uomo così clamorosa, seppur defilata nelle pieghe della folle architettura della legislazione nazionale, che ci si chiede perché non sia stata additata e affrontata prima.
In particolare avrebbe dovuto farlo l’amministrazione pubblica coinvolta, responsabile dell’applicazione delle norme discriminatorie,  che invece di resistere in giudizio doveva dire: accidenti, è vero, queste disposizioni sono una porcheria, fermi tutti adesso le mettiamo a posto.
Sto parlando delle norme che producono un trattamento deteriore per le donne che partecipino al concorso a ispettore della Polizia penitenziaria, discriminazione  in  contrasto  con la Costituzione italiana,   le  direttive  europee  e le pronunce della Corte di giustizia UE in materia. ben nascosta ma con effetti significativi.

 Andiamo per ordine, anzi no, cominciamo dalla fine: la Corte Costituzionale, investita della questione, ha sancito l’illegittimità costituzionale della norma su cui si fonda la discriminazione, contenuta nel d.lgs. n.95 del 2017 che ha effettuato una revisione dei ruoli delle forze di Polizia, cassando le parti dell’articolato che distingueva secondo  la  differenza  di sesso i posti da mettere a concorso nella qualifica iniziale degli ispettori del Corpo di Polizia penitenziaria.
Nella specificità della questione, per non farla troppo lunga ricordo soltanto che la vicenda parte da un concorso, indetto dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, a maggio del 2020,  per la qualifica  di  ispettore del Corpo di Polizia penitenziaria: un totale di 691 posti, e di questi  606 posti per il ruolo maschile e  85  posti per il ruolo femminile.
Più che una questione, è una questionaccia, visto che è dal 1990, con la legge  n.  395  (Ordinamento  del  Corpo  di  polizia  penitenziaria) che  è stabilito il principio di eguaglianza tra uomo e donna, riguardo all’espletamento dei servizi di istituto, e tra il personale maschile e quello femminile del Corpo di Polizia penitenziaria vi è piena parità di attribuzioni, di funzioni, di trattamento economico e di progressione di carriera. Con l’unica deroga costituita dalla previsione che il personale del Corpo di Polizia penitenziaria da adibire ai servizi di istituto «deve essere dello stesso sesso dei detenuti o internati ivi ristretti» (art. 6, comma 2). Questo a me sta bene, è comprensibile  che nella vita quotidiana in carcere le detenute abbiano a che fare con personale femminile.  
Eppure nella complessiva dotazione organica del ruolo degli ispettori,  i  sostituti  commissari  sono 590  uomini  e  50  le  donne;  per  gli  ispettori  superiori,  per  gli  ispettori capo, per gli ispettori e per i vice ispettori, la dotazione organica è di 2640 uomini e 375 donne.

 Ma questo squilibrio non ha ragione alcuna di esistere, perché il lavoro svolto nel ruolo di ispettore non presuppone come connotazione qualificante il  diretto  e  continuativo  contatto  con  i  detenuti .
Scrive la Corte, per questa specifica categoria di personale, che l’evoluzione normativa ha accresciuto l’importanza dei compiti di coordinamento e direttivi, destinati a proiettarsi anche nell’ambito della formazione e dell’istruzione, e ha delineato per gli ispettori un’essenziale funzione di raccordo tra il ruolo degli agenti e degli assistenti e dei sovrintendenti, da un lato, e il ruolo dei funzionari, dall’altro.
Esiste certamente un divario tra presenza maschile e femminile nel quadro generale degli organici, ma si spiega con il diverso ruolo degli agenti e degli assistenti, in costante contatto con i detenuti delle sezioni.
Quindi, alla luce  dei  compiti  di  direzione  e  di  coordinamento,  che  contraddistinguono  le  mansioni  assegnate agli ispettori, la più esigua rappresentanza femminile non rinviene alcuna ragionevole giustificazione in un requisito  essenziale  e  determinante  ai  fini  dello  svolgimento  dell’attività  lavorativa,  nei  termini  rigorosi enucleati dall’art. 14, paragrafo 2, della direttiva 2006/54/CE.
E cioè: l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, principio presente peraltro anche in altre norme del diritto eurocomunitario, e citate anche nell’ordinanza con cui il Consiglio di Stato ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale.

 Arriviamo alla norma viziata: ed è l’art. 44, i commi da 7 a 11, del d.lgs. n.95 del 2017, declinato in una serie di tabelle allegate che come già accennato distinguono secondo il  genere,  in  dotazione  organica,  i  posti  da  mettere  a  concorso  nella  qualifica  di ispettore  del  Corpo  di  Polizia  penitenziaria. Il  sistema  censurato in concreto ha escluso  da  una  collocazione  utile  in graduatoria  anche  donne  che  avessero conseguito  una  votazione  più  elevata,  solo  perché  gli  uomini  sono rappresentati in misura più consistente nella dotazione organica e nei posti messi a concorso.
La Corte afferma tra l'altro che la  sperequazione  censurata  non  persegue un  obiettivo  legittimo,  legato  all’esigenza  di preservare  la  funzionalità  e  l’efficienza  del  Corpo  di  Polizia  penitenziaria,  e  confligge  con  il  canone  di proporzionalità, proprio per l’ampiezza del divario che genera.
Inoltre, le discriminazioni nell’accesso a un ruolo, che prelude al conseguimento degli incarichi più prestigiosi,  vìolano  il  diritto  delle  donne  di  svolgere,  a  parità  di  requisiti  di  idoneità,  un’attività  conforme alle loro possibilità e alle loro scelte e impediscono loro di concorrere così al progresso della società.
E con riferimento al caso specifico oltretutto gli effetti distorsivi generati si ripercuotono sull’efficienza stessa dell’amministrazione.

Conclusione: per l'ennesima volta bisogna rivolgersi alla Magistratura per far valere i diritti alla parità di genere , un vizio intrinseco di un Paese che ha seminato discriminazioni in ogni dove, e le custodisce a testimonianza dell'evidente, pervicace riluttanza a scendere dallo scranno di genere dominante. Adesso scrivo una convinzione peronale. Il rischio della completa parità  per il genere dei patriarchi è enorme, :  perchè  quando davvero la discussione sarà tra donne e uomini alla pari, potrebbe andar a finire che si dimostri che in verità sarebbe meglio riconoscere che un genere dominante esiste, ed è quello femminile, e che il pacifico, armonioso, ecologico modello del matriarcato è il solo a garantire la sopravvivenza dell'umanità. 

Intanto prendiamo atto che le disposizioni denunciate e cassate sono state cancellate dal ordinamento e si praticherà la banale regola che se ci dovessero sussistere differenze  tra uomini e donne, nell’accesso alla qualifica di ispettore del Corpo di polizia penitenziaria, queste dipenderanno esclusivamente dal punteggio  che  ciascun  candidato  di  volta  in  volta  ha raggiunto. Amen.


domenica 20 ottobre 2024

Gorizia odia i suoi grandi alberi. Incuria ed efferatezza sono le regole della gestione del verde urbano.



Perché un cantiere cittadino a Gorizia è più importante di un eroico e bellissimo pioppo? Perché chi ha redatto la gara di appalto non ha sancito che debba essere realizzata un’area di rispetto della pianta, adeguata alle sue dimensioni? Perché chi dirige i lavori non coglie l’efferato trattamento che riceve l’albero all’inizio di via Manzoni?

di Martina Luciani



Perché non c’è un controllo e un’azione che garantiscano la tutela di un bene pubblico, del verde urbano di proprietà comune? Perché non cacciamo l’assessore competente, che già ne ha permesse e combinate a decine, una peggio dell’altra ad offendere, deturpare, distruggere il verde pubblico? Perché, questa è la risposta che vale per tutte le domande, i primi ai quali non gliene frega niente sono i cittadini della disgraziata ex città giardino: quella di cui, molto tempo fa, Biagio Marin decantava il verde, le estati trascorse all'ombra delle grandi chiome, dicendo che gli uomini a Gorizia si sono dati spazio e alberi, fiori e canti d'uccelli, come se tutti fossero poeti o signori. 

Il mio primo allarme è del 20 ottobre 2023, su FB ((2) Martina Luciani | Facebook)
Scrivevo: Ma il pioppo cipressino, bello bello, anche a lui lo vogliamo ferire e torturare come tanti alberi cittadini, così che deperisca e muoia un po' alla volta, magari sulla testa di qualcuno? INDECENTE cantiere a ridosso della pianta, radici strappate e messe a nudo. Ci si prenda la responsabilità e lo si seghi via subito,  invece di fingere di tenerlo in vita, povero cristo di un pioppo! Città che si merita piantagioni di broccoli e cipolle, altro che grandi alberi. Incapaci, inetti, deficienti, tronfi, malfidenti, stupidi all' ennesima potenza e ipocriti: una bella masnada, da decenni, a governare in Comune.

Ottobre 2023
 A ottobre 2023, insomma si poteva ammirare l'iniziale, ipocrita e inadeguato, allestimento di una protezione, così la forma del nascente cantiere è a posto, chi deve controllare assente e si compiace. E le prime tracce dell'infierire sulle radici. 

 A luglio 2024 la situazione era già evoluta secondo i meccanismi tipici di questa gretta e incivile città.
La fasulla recinzione era già sparita, macerie e robacce di cantiere cominciavano ad accumularsi ai piedi del pioppo, insieme alle prime radici estirpate.
Nel frattempo, il pioppo continuava a resistere a tempeste e ingiurie climatiche, con volontà ferrea di resistere e sopravvivere, continuando a donare servizi eco sistemici e bellezza ( quelli che nessuno vede e comprende).

A settembre 2024, il ciarpame era aumentato, nel mucchio si vedevano materiali di ogni genere e rami e ulteriori radici, evidentemente estirpate nel corso degli scavi.



Ie
ri, 19 ottobre 2024: mucchi di terra addossati al tronco, blocchi di cemento, ancora radici E attorno, terra compressa e ben battuta dai mezzi pesanti di cantiere. Esattamente e doviziosamente tutto ciò che non si deve fare nella gestione delle piante coinvolte in un cantiere in città. 


luglio 2024
In un anno di tormenti, quali possibilità di capacità vegetative, di stabilità, di banale voglia di vivere sono rimaste al pioppo cipressino d
i via Manzoni?
Ma soprattutto, perché l’amministrazione non l’ha fatto abbattere fin dall’inizio del cantiere? Unica risposta possibile: per non attirarsi critiche. 
Bene, adesso quell’albero ha smesso di essere compatibile con gli umani che lo circondano.
Con quel che ha passato, come non immaginare che il suo sistema immunitario sia collassato? 
Quindi? O lo si abbatte o prima o poi, sfinito e malato, si schianterà.
I responsabili una giustificazione la troveranno, non ho dubbi, e i cittadini se la berranno senza obiettare. 
Quanto scrivo serve a ben poco, lo so bene, ma forse qualcuno, il giorno in cui il pioppo verrà giù, per una tempesta cui non sarà più in grado di resistere o perchè abbattuto dalle seghe a motore, ricorderà l'inizio della storia. Che vale, con poche varianti, per decine e decine e decine dei nostri grandi alberi cittadini, già eliminati o prossimi a morire.





Settembre 2024



Ottobre 2024




lunedì 19 agosto 2024

Barbarico intervento sui cipressi del Cimitero centrale di Gorizia: uno scempio dannoso, controproducente e stupido.

Una brutale e insensata chirurgia, del tutto inconcepibile rispetto qualsiasi regola di corretta pratica di cura delle piante arboree.

di Giancarlo Stasi

Il cipresso comune, cioè Cupressus sempervirens var. sempervirens, è sempre associato, a cominciare dalla mitologia greca, al culto dei morti. Non c’è quindi ambito in cui si vogliono ricordare i morti in cui non siano presenti i cipressi: cimiteri in primis ma da noi anche una strada, la Strada Regionale 55 dell’Isonzo, già Statale, detta anche Via Sacra del Vallone, ai bordi della quale erano stati messi a dimora molti esemplari di questa specie in ricordo del sangue versato da tanti giovani soldati, italiani ed austriaci, su questi nostri territori.

Il cipresso è una pianta austera e frugale, che non necessita in genere di particolari cure (ovviamente ha bisogno di ricevere acqua nei primi anni d’impianto) né tantomeno di potature, che possono essere vie di accesso per i funghi agenti di carie del legno, soprattutto di funghi agenti di cancro, in particolare il cancro del cipresso (Seiridium cardinale).


Appare pertanto inconcepibile, sia da un punto di vista estetico sia da quello tecnico, quanto attuato  - e probabilmente da completare – su una trentina degli esemplari del filare di cipressi in fondo al Cimitero centrale di Gorizia. Le annose piante sono state spogliate, per circa 1,5/2 m., dei rami basali, in una maniera che potrei definire barbara, ma resterebbe  comunque un termine riduttivo dello scempio perpetrato.
A ben guardare, pare che prima si sia intervenuti con una piccola ruspa strappando letteralmente le branche, refilando successivamente in maniera approssimativa le lacerazioni dei rami con una motosega. Le piante in molti casi hanno emesso resina sia dai tagli sia dai fusti, segnale di grave sofferenza.
Quanto attuato è del tutto inconcepibile rispetto qualsiasi regola di corretta pratica di cura delle piante arboree. Aggiungerei: è un’operazione dannosa, controproducente e concettualmente stupida.

Mi spiego. Dannosa: si sono predisposti i cipressi  ad un declino vegetativo che li porterà ad un precoce disseccamento (danno anche erariale oltre che ambientale). Controproducente: sono state inferte una quantità incredibile di ferite, porta di ingresso per i funghi che attaccano il cipresso, cancro del cipresso soprattutto. Concettualmente stupido: esteticamente le piante sono più brutte, non hanno più il loro naturale portamento e manifesteranno fino alla loro morte le orrende cicatrizzazioni di questa brutale e insensata chirurgia.

 



Le domande che naturalmente non troveranno risposta sono: chi ha deciso tali azioni? chi le ha commissionate? chi le ha attuate? chi non ha effettuato i controlli sulle modalità di esecuzione?


Se si fosse voluto impiegare proficuamente le risorse pubbliche, per migliorare sia l’estetica del luogo sia la sanità del complesso arboreo, il lavoro da attuare consisteva nella bonifica fitosanitaria dal cancro del cipresso, molto diffuso e molto virulento. Va sottolineato che lasciare in loco alberi malati significa aumentare a dismisura la quantità di spore che si diffondono nell’aria e sulle piante ancora sane. Quindi quel che andava fatto era non già il barbarico intervento visibile a tutti, ma il taglio ed asporto delle parti disseccate delle piante, procedendo eventualmente all’abbattimento degli esemplari più colpiti e alla sostituzione con dei cloni di cipresso selezionati per la loro resistenza al cancro. Bastava prendere esempio da quanto attuato dal Comune di Šempeter-Vrtojba nel cimitero poco oltre il Parco Basaglia.
Invece il Comune di Gorizia persevera nella sua pessima e irresponsabile gestione/distruzione del verde urbano/patrimonio collettivo.

Uno dei cipressi del Cimitero centrale di Gorizia, colpito dal cancro, ormai ad uno stadio avanzatissimo e irrecuperabile.