Oggi ho attraversato Corte Sant’Ilario per andare alla Polizia municipale. Ho colto, davanti al mio naso, un attimo di autentico rally urbano. Poi capirete,dopo la sfilza di miei irrisolvibili interrogativi.
di Martina Luciani
C'ero già stata, in questo spazio dai colori lunari e accogliente esattamente come il nostro satellite: e poi, nel dubbio doveroso che la serie di pessime impressioni fossero il frutto di immotivata ostilità e di legittima incompetenza, ero andata a leggermi il progetto. Così, poi, ostile sono diventata davvero.
Trovo che la risistemazione di Corte Sant’Ilario è adatta ad
un grosso paese di qualche hinterland
metropolitano, quei luoghi dormitori che
da tempo hanno cancellato memorie e tradizioni e quindi hanno scarsità di
suggestioni da inserire in filigrana nel loro assetto urbano. Insomma, luoghi
che possono permettersi di essere anonimi.
Ma noi possiamo permetterci di essere anonimi? Peggio:
possiamo permetterci di non cercare l’eccellenza nel ripristino degli spazi
della vita della comunità? Proprio quando vogliamo accentuare la vocazione
turistica e quindi rafforzare l’identità
storico culturale, far in modo che sia una delle possibili fascinazioni per chi
venga a conoscerci.
Possiamo permetterci
di non segnalare, di non vantarci
di un tessuto urbano e architettonico che, là dove ancora permane, è
semplicemente e inequivocabilmente bello ( bellezza che dal paesaggio si
trasferisce nella sensibilità e nelle attitudini dei cittadini residenti e dei
visitatori)?
Ma avete presente la moria di betulle che ci circonda, afflitte da un clima impossibile da sopportare? E queste sei giovani piante, pure mingherline, che ci ostiniamo a piantare ben sapendo che ci faranno dannare per farle sopravvivere, circondate da un’areale tecno - gialliccio che contrasta orrendamente con il colore bianco/grigio del resto della pavimentazione, dovrebbero crescere rigogliose e svolgere la precipua funzione di mitigazione dell’isola di calore della piazzetta? Addolcire le caldane e invogliarci ad attività sociali nel cuore cittadino?
E vogliamo parlare dei lecci, potati a spazzolino da denti, sul fianco del Duomo?
Le note progettuali ci fanno immaginare un filare di alberi sempreverdi e dalle chiome importanti ( il leccio è un personaggio vigoroso e imponente, basta vedere la ridondanza di quelli davanti all’ex Provincia, in corso Italia, che mamma Regione si è dimenticata di potare con l’abilità topiaria che contraddistingueva i giardinieri dell’amministrazione provinciale; quando si dovrà per forza potare, sarà un disastro).
Leggo: “ All'interno dell'area di intervento vengono inseriti dei filari,a lato del Duomo, di Lecci, caratterizzati da una chioma topiata. Questi permettono subito di canalizzare lo sguardo di colui che entra nella Corte da piazza Cavour. Allo stesso tempo tali piante offrono anche uno spazio di sosta e dialogo grazie al posizionamento di particolari sedute cilindriche attorno ad esse ( per ora assenti ndr).”
Invece sono quattro spazzolini da denti, ovvero tronchi snelli con in cima un chioma ridotta ad un cilindretto: cresceranno? No, non potranno crescere se non di qualche spanna, perché chiome più grandi sarebbero in contrasto con gli esigui spazi esistenti tra una pianta e l’altra, e perché oscurerebbero il cono di luce degli orribili lampioni bianchi sistemati a ridosso delle piante. Chi mai siederà a godersi lo sputo di ombra dei lecci di corte Sant’Ilario?
E la fontana? La superpozzanghera, che non ha rivali con le pozzanghere cittadine con cui ci misuriamo ad ogni pioggia è la trasposizione nel mondo fisico della bell’idea di una superficie che riflette. Ma che richiederà di essere frequentemente oggetto di interventi di pulizia e manutenzione. Forse quelli che si è voluto evitare stendendo il brutto materiale drenante tutt'attorno alle betulle, invece di metterci un bel prato naturale, tendenza evidentemente riservata a città con talenti ecourbanistici più glamour.Concreto il rischio di finirci dentro, nella fontana rasoterra, anche perché non esiste uno spruzzo, un gioco d’acqua che ne segnali la presenza da lontano: se l’area fosse solo pedonale, chi sarebbe il primo che ne inaugura il guado? un passante distratto, un ciclista, i bambini che giocano ( e certamente si divertiranno, loro, le mamme meno), un cane assetato…
L’area però non è solo pedonale. Ed oggi io ho visto una
vettura attraversare agilmente e con alti spruzzi la nuova fontana di Corte
Sant’Ilario. Fossi stata di poco più vicina mi avrebbe risciacquato per bene.
Se avessi avuto il tempo di fare una foto, sarebbe stata occasione di risate infinite
sui social.
Nota: l'automobilista è rimasto imperterrito, come se la traiettoria attraverso l'acqua fosse cosa normale.
Allora, è vero che io non sono un architetto. Ma sono, in quanto cittadina, uno dei committenti e come tale ho diritto a dire quello che penso. Tralasciando, in questa sede, tutte le osservazioni che riguardano le rifiniture, i microdislivelli che ornano ogni caditoia, la copertura dello scavo che aveva rivelato la base in pietra di una costruzione a base ottagonale
Nessun’altro dei
committenti, un assessore ai lavori pubblici, un sindaco, un qualunque
funzionario dell’area tecnica comunale
ha obiettato alcunchè, agli architetti progettisti? Non era bella, la Corte, certo che no. Ma
perché non provarci, a realizzare qualcosa che sia espressione del bagaglio
architettonico e culturale cittadino, e veramente accogliente per le persone e
per i visitatori, oltre che funzionale a contenere le isole di calore che
rendono invivibili le estati cittadine?
Tutto vero, continua lo sfacelo delle piazze di Gorizia, senza nessun rispetto per la storia.
RispondiEliminaConcordo pienamente. Le citazioni dal progetto sono eloquenti e non lasciano dubbi sulla banalità del male che sta spesso dietro le opere "creative" omologate di certa architettura che traccia progetti senza conoscere il destinatario del progetto, cioè prove SENZA cuore e delicatezza.
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