Non so chi sia peggio in Regione: se la classe politica o la classe dirigente. Non si può certamente pretendere che tutti i consiglieri regionali abbiano competenze specifiche in materia giuridica ( in molti sono concordi sulla necessità di una scuola di formazione per amministratori). Ma la struttura burocratica della Regione avrebbe dovuto indicare all'esecutivo la strada da percorrere per raggiungere l'obiettivo delle sacrosante chiusure domenicali e festive. E cioè che per evitare la scure della Consulta era necessario modificare lo statuto (approvato con legge costituzionale) così come sta facendo il Trentino Alto Adige.
di Marilisa Bombi
Lavoriamo così tanto che dobbiamo impiegare il nostro tempo
libero per consumare (finalmente!) il denaro che abbiamo guadagnato. Poveri
noi: non contenti di lavorare da mattina a sera, ci siamo giocati pure la
domenica e le feste. Con queste parole, Andrea Selva, trentino, dal suo Blog, commentava l'apertura di tanti negozi il lunedì di Pasqua. Ma è molto probabile, nonostante i tempi biblici della politica, che le cose il prossimo anno in quella regione vadano diversamente. Ciò in quanto come del resto si è precisato recentemente, il Trentino Alto Adige, proprio al fine di poter decidere autonomamente senza il rischio di dover passare sotto la scure della Corte costituzionale, ha inserito la
competenza in materia di orari e di urbanistica commerciale all’interno del
disegno di legge costituzionale a modifica del proprio statuto (S.2220
presentato il 28 gennaio scorso). E così, lo Stato potrà pur avere competenza esclusiva in materia di tutela della concorrenza, ma se lo Statuto (che viene approvato e modificato con legge costituzionale) assegna alla regione la competenza in materia di orari dei negozi, ci può essere autonomia normativa nel settore, senza con ciò violare il diritto comunitario che, sulla questione degli orari nulla dice.
E non è un caso eccezionale, quindi, se nella vicina Austria i negozi sono aperti in generale dal lunedì al venerdì dalle
9 alle 18.30 e il sabato fino alle 17.00 (alcuni fino alle 1800), anche se i centri commerciali sono invece aperti fino alle otto di sera durante la settimana e fino alle
18 il sabato. Insomma, la domenica è ancora considerata giorno di riposo, e tutti i
negozi sono chiusi. Uniche eccezioni: le attività presso le stazioni dei
treni e negli aeroporti. Ma questo, ovviamente, è un altro discorso. La questione, che ha tenuto acceso il dibattito in Consiglio regionale per lunghissimo tempo, a scapito forse di altre importanti novità che sono passate pertanto in secondo piano, ovvero inosservate, non è stata, invece, inserita - come sarebbe stato opportuno - nel ddl costituzionale per la modifica dello Statuto del Friuli Venezia Giulia,
approvato dal Senato il 17 maggio e passato adesso, per l'ulteriore lettura, alla Camera. Insomma, se si voleva realmente ritornare indietro, questa era la strada da percorrere. Nonostante diventi decisamente difficile, anche solo pensare, che alla base delle modifiche introdotte alla disciplina del commercio e che il Governo ha impugnato, ci siano state quelle motivazioni etiche, che anche il consigliere del Movimento 5 stelle Cristian Sergo ha richiamato.. Un limitato numero di chiusure obbligatorie all'anno, infatti, non rimuove alla radice il problema che in maniera illuminante il sociologo Sabino Aquaviva ha brutalmente delineato, nel senso che il mercato si è sostituito ai vecchi,
tradizionali valori. Il commento, pubblicato su un quotidiano economico dall’emblematico titolo “Nuove cattedrali
dell’utente adulto” rilevava come il centro commerciale sia la cattedrale
simbolica di questa nuova società in cui gli individui vengono educati a diventare
consumatori adatti ad un sistema economico in cui è indispensabile produrre,
retribuire chi produce, affinché consumi e quindi produca. Un ciclo continuo
che non può e deve fermarsi mai. Già in una conferenza di un paio di anni fa, Acquaviva
aveva preannunciato il cambiamento che anche la famiglia subisce. in
quest’epoca di passaggio da un modello di società ad un’altra. Egli sostiene che
ogni 500-1000 anni nasce una nuova civiltà, ed è quello che sta accadendo. “Oggi
la gente è condizionata e felice perché la società è la macchina in cui viviamo
e ci condiziona dal di dentro. Siamo lentamente e progressivamente trasformati in
consumatori perché si produca e si consumi al fine di mantenere vivo il mercato.
Ciò ha conseguenze catastrofiche: la società dei consumi passa come uno schiacciasassi su tutto, demolendo ideologie e soprattutto capacità critica”. Impossibile quindi ritornare indietro. Anche se l'attuale contingenza critica del mercato ci ha dimostrato di quante cose possiamo riuscire fare a meno.
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