Le demagogie hanno la gambe corte. L'esito era scontato ma l'argomento ha tenuto piazza per settimane. Della serie: tanto per parlare d'altro.
di Marilisa Bombi
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, nella seduta di ieri, 31 maggio 2016, ha deciso di impugnare davanti alla Corte costituzionale (e ciò era del tutto scontato come più volte abbiamo avuto modo di sostenere) alcune delle disposizioni contenute nella legge regionale n. 4/2016. In particolare (diverse sono state le norme impugnate) sono stati oggetto di critica gli articoli 1 e 3. Nella specifico, così come risulta dalla motivazione pubblicata on-line , "l'art. 1 modifica l'art. 29 della L.R. n. 29/2005 e regola
l'attività di commercio al dettaglio in sede fissa imponendo l’ obbligo di
chiusura nelle seguenti giornate: 1 gennaio, Pasqua, Lunedi dell'Angelo, 25
aprile, 1 maggio, 2 giugno, 15 agosto, 1 novembre, 25 e 26 dicembre.
L'articolo introdotto, si osserva, è in evidente contrasto con l'art. 3, comma 1, della legge 4 agosto 2006 n. 248, che ha disposto la contrarietà all’ordinamento di limiti e prescrizioni all'esercizio di attività commerciali, tra cui rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale (lett. d-bis).
L'articolo introdotto, si osserva, è in evidente contrasto con l'art. 3, comma 1, della legge 4 agosto 2006 n. 248, che ha disposto la contrarietà all’ordinamento di limiti e prescrizioni all'esercizio di attività commerciali, tra cui rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale (lett. d-bis).
L'art. 3, comma 1, cit., attua un principio di
liberalizzazione, rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio delle
attività economiche. L'eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di
apertura al pubblico degli esercizi commerciali favorisce, a beneficio dei
consumatori, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all'ingresso
di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore. Si
tratta, dunque, di misure coerenti con l'obiettivo di promuovere la
concorrenza, risultando proporzionate allo scopo di “ garantire l'assetto
concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione
commerciale” (Corte Costituzionale, n. 299/2012; in termini Corte
Costituzionale sentenze n. 27/2013 e n. 65 72013).
La norma regionale in esame contrasta con i principi e gli
obiettivi del Legislatore nazionale ed impone un regime lesivo della
concorrenza, invadendo in tal modo un ambito di competenza attribuito in via
esclusiva allo Stato (art. 117, comma 2, lett. e), Cost.; cfr. Corte
Costituzionale sentenze n. 430/ 2007 e n. 150/2011). L'obbligo di rispettare i
principi statali di liberalizzazione si impone, del resto, anche per la
necessità di evitare che gli effetti positivi alla concorrenza siano vanificati
da una parcellizzazione dell'ordinamento in discipline regionali e locali
differenziate (Corte Costituzionale, sent n. 8/2013 ). Logico corollario è che
solamente il Legislatore nazionale può determinare i limiti all'esigenza di
tendenziale massima liberalizzazione delle attivita economiche. In tale ambito
le Regioni non hanno pertanto alcun potere normativo, nemmeno in modo meramente
riproduttivo della discipline statale (Corte Costituzionale, sentenze nn.
245/2013 e 104/2014). I titoli competenziali delle Regioni, anche a Statuto
speciale,
in materia di commercio e di governo del territorio “ non
sono idonei ad impedire l'esercizio della detta competenza statale che assume
quindi carattere prevalente” (Corte Costituzionale, sentenze n. 38/2013 e n.
299/2012)." In conclusione, "l’articolo 1 della legge regionale si pone dunque in
contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. e), Cost."
"Analoghe considerazioni valgono per la disposizione
contenuta nell’articolo 3. Detta norma regionale prevede che con delibera della
Giunta regionale possano essere individuate le località a prevalente economia
turistica, nelle quali gli esercenti determinano liberamente le giornate di
chiusura (vale a dire, che in tali casi, gli esercenti non sono tenuti a
rispettare neanche le giornate previste all’articolo 1). Fermo restando quanto
sopra esposto, si rileva che tale previsione, che nella norma nazionale aveva
accompagnato la fase di transizione sino alla completa liberalizzazione degli
orari, evidentemente non trova alcun riscontro nella norma nazionale, non
avendo più alcun motivo di essere in tale contesto.
La citate norme statali “attuano un principio di
liberalizzazione", rimuovendo vincoli e limiti alle modalità di esercizio
delle attività economiche, mentre la norma regionale introduce una disciplina
parcellizzata e territorialmente differenziata dei giorni di chiusura degli esercizi
commerciali, in palese contrasto con la totale e completa liberalizzazione
delle aperture sancita dall'art. 31, comma 1, L. n. 214/2011.
L'art. 3, comma 1, della L. n. 248/2006 sottolinea infatti
la necessità di “garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari
opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché [di]
assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di
accessibilità ai beni e servizi sul territorio nazionale”.
Con le citate norme statali , iI Legislatore nazionale ha
uniformato la disciplina in tutto il territorio dello Stato, al fine di
costituire condizioni di pari opportunità tra le aziende e, anche
nell'interesse del consumatore, condizioni omogenee nelle prestazioni del servizi.
La Corte Costituzionale ha affermato, in più occasioni e con
assoluta costanza, la necessià di una disciplina uniforme sul territorio della
disciplina degli orari e delle chiusure degli esercizi commerciali, per evitare
che l'Ordinamento sia frammentato in una molteplicita di ordinamenti regionali
ed anche locali differenti fra loro, il che costituisce un ostacolo alla
realizzazione di un mercato unico che è ad un tempo valore costituzionale e
principio comunitario (Corte Costituzionale, sentenza n. 8/2013).
La previsione di un regime differenziato si pone, quindi, in
contrasto con l'art. 117, comma 2, lett. e), Cost. e con i principi di
liberalizzazione, uniformità del mercato, par condicio degli operatori nei
singoli ordinamenti regionali e uniformità della disciplina, ribaditi dalla
Corte Costituzionale fin dalla sentenza n. 430/2007. La norma contenuta nell’art. 3 legge regionale è pertanto
illegittima nella misura in cui prevede solo per i comuni a prevalente economia
turistica -e non anche per tutto il restante territorio regionale- la
liberalizzazione dei giorni di chiusura festiva degli esercizi commerciali."
E' ovvio che, visti i precedenti della Corte costituzionale, l'esito dell'impugnativa è del tutto scontata.
la declinazione dell'autonomia fatta tanto per fare...ma i consulenti degli uffici che non forniscono competenti pareri??? Ornella :)
RispondiEliminaTutti i veri esperti invece che lavorare in regione sono impegnati a scrivere nei Blog, peccato
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