Diritto e diritti ai tempi della pandemia. Il punto di vista del filosofo del diritto
Mauro Barberis
Pochi se ne sono accorti ma, come se non bastassero
l’emergenza sanitaria ed economica, siamo nell’emergenza costituzionale più
grave dal 1948, l’anno della Costituzione repubblicana. Né gli anni di piombo,
né l’Isis, né le varie calamità naturali che hanno punteggiato la nostra storia
in questi settant’anni, avevano mai portato a sospendere i nostri diritti
costituzionali com’è avvenuto, invece, per il Coronavirus.
Pensateci. È sospeso il diritto di circolazione, con
l’estero e all’interno, fra nord e sud e con le isole: per non parlare degli
spostamenti in città, secondo l’ultima versione del modulo di
autocertificazione. È sospeso il diritto di riunione: tranne online,
naturalmente. Sono sospesi i diritti politici, con le elezioni regionali
spostate a data da stabilirsi. È sospesa, in gran parte, anche l’attività del
Parlamento. È sospeso persino l’esercizio del culto, funerali compresi: una cosa
che non si vedeva dai tempi di Antigone.
Albert Camus, l’autore de La peste (1941), lo chiamerebbe Stato
d’assedio (1948), alla francese. Eppure, a scanso d’equivoci, questi
provvedimenti sono costituzionalmente giustificati: beninteso, a meno di farci
contagiare dalle paranoie complottiste di quanti, sul web, ritengono l’epidemia
inventata dai soliti poteri forti per non si sa quali bieche finalità. Più
seri, semmai, sono gli allarmi dei costituzionalisti. Per dire solo una, il
famoso DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), richiamato dai
cartelli affissi sulle vetrine di ogni negozio chiuso, andava preso per decreto
legge, anche per assicurarne il controllo da parte del Presidente della
Repubblica e del Parlamento.
Ma l’emergenza costituzionale, in realtà, sta altrove. Dopo
le resistenze dei primi giorni, infatti, comincia a serpeggiare l’idea che i
problemi gobali, come la pandemia, siano troppo complessi per essere affrontati
dalle nostre litigiose democrazie parlamentari. Meglio semi-dittature come
Singapore o la Cina, che possono mettere in quarantena intere regioni anche
perché, lì, la libertà di circolazione non c’è e la sorveglianza è
capillare.Niente di paragonabile, comunque, con il controllo sui cellulari degli
abitanti in Lombardia, da cui il 40% degli utenti non risulta chiuso in casa
come invece dovrebbe. Per non parlare dei tamponi di massa progettati da alcune
regioni del centro, che faranno impennare ulteriormente le cifre del contagio
Ora, tutti noi speriamo ardentemente che tutto tornerà come
prima: ma niente lo sarà, invece. Le emergenze, specie da noi, tendono a
diventare permanenti, e neppure questa farà eccezione. Molte delle soluzioni
sperimentate in questi giorni cambieranno, in bene o in male, le nostre vite.
Il lavoro a casa, le ordinazioni online, la sorveglianza, resteranno più che
una tentazione: se lo s’è fatto per il virus, perché non farlo sempre? Così,
quando l’emergenza sanitaria ed economica sarà passata, ci sarà rischio di una
terza emergenza: che ci tocchi pure di difendere la nostra Costituzione.
L'analisi del prof. Mauro Barberis, docente di filosofia del diritto all'Università di Trieste è stata pubblicata, ieri, sul quotidiano Il Secolo XIX.
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