Tra ieri e oggi, in tutta Italia, sugli schermi cinematografici passa il film documentario «Istanbul e il Museo dell’Innocenza di Pamuk», ultimo atto stagionale della rassegna «La grande arte al cinema».
Oggi pomeriggio ( 17.45) e stasera ( 20.15) anche al Kinemax di Gorizia e Monfalcone.
di Martina Luciani
Orhan Pamuk, anche se non avesse preso il Nobel nel 2006 e una caterva di premi internazionali, a casa mia è uno dei prediletti tra gli scrittori contemporanei, fin da quando restai folgorata da Il mio nome è rosso; fin da quando si espose contro il negazionismo del genocidio degli Armeni in Turchia ed ha preso posizione sul massacro dei Curdi; fin da quando è stato riconosciuto tra le "Figure Metz Yeghern" nella Foresta dei Giusti; fin da quando ha scritto il meraviglioso che Istambul, uno di quei libri in cui sono entrata e stavo per non volerne uscire più; fin da quando è stato inequivocabile che Pamuk fa parte del gruppo di scrittori e giornalisti ai quali vengono dedicate dalle istituzioni governative specialissime attenzioni, nel tentativo di soffocare le loro idee e la loro voce, spezzare le penne e bruciare i libri, metterli in galera o peggio.
Stasera ( anche ieri, in verità) al Kinemax di Gorizia e Monfalcone verrà proiettato un docufilm che conduce all'apice lo stupefacente crescendo tra l'elaborazione creativa e la realtà fisica, tra immagine e materia, tra pensiero e azione. Pamuk ha scritto un libro, pubblicato da Einaudi, intitolato Il Museo dell'Innocenza. E la scrittura procedette di volta in volta accompagnata, se non addirittura anticipata, dalla ricerca e creazione degli oggetti che poi entravano nella trama del racconto. Che di suo consiste nella trasformazione dei sentimenti e della memoria in un evento concreto: la creazione di un museo, con quegli oggetti che si materializzarono per consentire il racconto. Poi lo scrittore turco ha compiuto il rocambolesco e fantastico passaggio successivo (leggete qui come) ed ha creato, in una vecchia palazzina scarlatta a Istambul, quello stesso Museo. Poi, al Museo dell'Innocenza, il regista Grant Gee è dedicato un film, di cui ci parla Marco Ansaldo su Repubblica. A me queste cose fanno tornare la fiducia nell'intelligenza umana: un intreccio, potenzialmente infinito quanto il genio umano, che nella trama e nell'ordito riunisce l'esperienza puramente intellettuale e quella della creazione materiale, tra l'altro condivisibile tramite esperienze molto diverse ( la lettura, la cinematografia, la visita al Museo).
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