sabato 21 novembre 2015

La tolleranza presuppone cultura: senza identità culturale non c’è accettazione del diverso.



Spunti dalla conferenza di Romano Luperini ai liceali di Gorizia : “Gli intellettuali italiani e la Grande Guerra: l’esempio di Slataper”.

 

di Angelica Stasi


Slataper, intellettuale triestino, non era un irredentista politico. Non da giovane, per lo meno.
 A lui, Trieste, in fondo, andava bene così com’era, un incredibile guazzabuglio, una mescolanza vorticosa di lingue, culture e popoli.
Romano Luperini,  tra i massimi studiosi della letteratura italiana di 800 e 900, a noi studenti riuniti per la sua conferenza ( la prima del ciclo intitolato “Voglio morire alla sommità della mia vita…: cento anni dalla morte di Slataper”) l’ha spiegato chiaramente: era un irredentista culturale.
Sosteneva l’anima multinazionale, multiculturale della sua città. Sosteneva che il popolo con maggior cultura avrebbe esercitato un’egemonia naturale, assumendo un ruolo di guida paternalistico rispetto le minoranze:  in un’ideale confederazione di stati, in cui le popolazioni potessero vivere democraticamente, le autonomie avrebbero dovuto essere culturali.
Così, questo giovanotto di cent’anni fa, ebbe un’intuizione fondamentale, anticipando di molto i tempi:la tolleranza non è debolezza. La tolleranza non è una rinuncia alla propria cultura. Anzi. E’ un modo per vivere a fondo la propria identità. Ma la tolleranza, il riconoscimento, l’accettazione del diverso si possono avere solamente quando la cultura, alle spalle, è forte, è solida, è radicata. 
Dal 1914, però, gli ideali degli intellettuali italiani cominciarono a cadere, travolti da una furia fratricida, colpiti dalle pallottole della Prima Guerra Mondiale.

Slataper per primo si convertì al codice dei giovani sovversivi, sostenendo, ora, un interventismo ben più che politico.
La riflessione che ci ha proposto Romano Luperini: com’è possibile che, a differenza di quanto accadeva in Francia e Germania,nella penisola italica non ci fu una letteratura che condannasse la guerra?
Perché ci furono solamente tredici docenti universitari che si rifiutarono di pronunciare il giuramento fascista?
Perché Emilio Lussu fu l’unico a criticare, a disprezzare la gerarchia militare? Senza però schierarsi contro la guerra? Contro gli irredentisti?
Poco da fare. La cultura italiana era fragilissima. Il vento guerresco del nazionalismo mandò tristemente all’aria il ceto intellettuale, travolgendolo, risucchiandolo, distruggendo le ancora deboli basi su cui si poggiava.

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