venerdì 3 luglio 2015

Monfalcone. Con la serrata, Fincantieri si fa scudo delle maestranze, dei sindacati e dei cittadini contro la Magistratura.



Al sequestro di alcune aree Fincantieri segue la serrata dell'intero stabilimento di Monfalcone: azione inconsulta,tanto più perché esercitata da una azienda dello Stato. Il caso  è la conseguenza diretta della nuova stagione di prevaricazioni santificata con il Job Act. Insidiati i diritti dei lavoratori e negato ogni controllo sui subappalti, l'azienda, anziché mettersi in regola, aizza i sindacati e i politici di pochi scrupoli contro la Magistratura e la legalità.

 
di Aldevis Tibaldi
Comitato per la vita del Friuli Rurale





Negli ultimi 20 anni, di ricatti occupazionali ne abbiamo visti a iosa. Nulla di meglio che barattare la dignità e la salute dei lavoratori in cambio di un posto di lavoro, per giunta precario e per giunta sulla pelle della popolazione che vive in prossimità dell'area industriale. L'Ilva di Taranto ne ha ha rappresentato l'esempio più eclatante e disgustoso, senza dimenticare la ferriera di Servola o la città di Monfalcone dove le vittime dell'asbestos sono a chiedere giustizia dopo aver ingurgitato la polvere maledetta per decenni, senza che nessuno li avesse mai informati che stavano andando a morte certa. Una ecatombe. Eppure il cinismo del padronato e degli oligarchi non sembra avere fine, specialmente con i tempi che corrono, dominati da un capo del governo che millantando una investitura popolare dispone del voto acritico di un nugolo di fraccabottoni che sembrano aver messo il cervello e la coscienza all'ammasso.
Un clima fertile per fare il bello e il cattivo tempo e oltremodo gradito all'oligarca di turno che profittando della paura di una crisi economica che sembra costruita ad arte per durare e per mettere tutti sull'attenti, approfitta per assestare un colpo tremendo alla classe operaia, anzi la utilizza per mettere all'angolo la Magistratura e per certi versi la stessa democrazia.
E' presto detto: dopo che il tribunale superiore ha disposto il sequestro di alcune aree adibite allo stoccaggio e al trattamento dei residui delle lavorazioni delle ditte in subappalto, la Fincantieri ha ordinato la serrata dell'intero stabilimento di Monfalcone. Una azione a dir poco inconsulta ed immorale, tanto più perché esercitata da una azienda dello Stato al cui vertice siede chi è nominato dal Presidente del Consiglio.
Una reazione a dir poco esagerata che attraverso il fermo di tutte le attività lavorative estranee alle poche aree poste sotto sequestro palesa una volontà che travalica la osservanza dell'ordine giurisdizionale. Un modo plateale per farsi scudo delle maestranze, dei sindacati e della cittadinanza tutta per contestare radicalmente e con tutta la massa mediatica possibile la Magistratura: l'unico organismo a non essere funzionale al potere esecutivo. Un colpo basso dagli effetti disastrosi, tanto più se non censurato prontamente dal Presidente del Consiglio che della nomina apicale è il solo responsabile. Allora sì che può essere inteso come un premeditato  attentato alla Costituzione, tanto più in considerazione del fatto che l'ordinanza è stata emessa nell'ambito di una lunga indagine della magistratura isontina avviata nel 2013 e quindi tale da potersi risolvere per le vie brevi, in maniera composta e indolore, come si conviene ad una azienda che non naviga in cattive acque e che, operando nel settore delle navi da crociera, avrebbe avuto tutto l'interesse ad evidenziare il suo attaccamento ai requisiti ambientali di eccellenza. Ci sarebbe voluto poco per mettersi in regola e anche oggi, anziché abbaiare alla luna, tenere fuori dai cancelli migliaia di operai preoccupati per il futuro, organizzare tavoli ministeriali insieme all'amministratore delegato che ha disposto la provocatoria chiusura dell'intero cantiere navale, sarebbe stato sufficiente richiedere che il sequestro si tramutasse in un cosiddetto sequestro con facoltà d'uso. E che dire di quel fraccabottoni che in un impeto di patriottica ricerca della visibilità, ha predisposto una interrogazione per chiedere l'immediato invio di ispettori ministeriali presso una Procura di Gorizia debilitata da una insufficienza cronica di magistrati.    Ebbene, dopo il famigerato Job Act e la pistola fumante del licenziamento per chi non si fa servo e non va sulle barricate per coprire le inadempienze della dirigenza, le prevaricazioni sono diventate all'ordine del giorno. Ad approfittarne  e ad assumere posizioni ricattatorie nei confronti dei dipendenti sono stati in molti, ma soprattutto i peggiori. E i peggiori sono anche quelli che sanno abusare dell'ambiente e che meglio di tutti sanno approfittare della carenza dei piani ambientali e domani sapranno giovarsi della genericità del nuovo sistema sanzionatorio ambientale della legge 68. Per quanto sia fonte di ingiustificato orgoglio da parte dei suoi proponenti, di questa legge abbiamo già dato un parere poco lusinghiero, ma oggi torniamo sull'argomento per criticare a ragion veduta il generoso atteggiamento premiale nei confronti di chi si ravvede e, una volta scoperto a commettere un reato ambientale -anche se grave-, è disposto ad “adoperarsi” per evitare che la azione delittuosa venga portata a conseguenze peggiori. Sconti di pena assai generosi che ricordano le sanatorie di infausta memoria e che nella genericità dei pentimenti e delle azioni riparatorie trova aleatorie valutazioni. Senza contare come la apprezzabile volontà del legislatore di incentivare comportamenti riparatori si possa tradurre in attività di lunghissimo periodo inconciliabili con l'andamento processuale, se non in vere e proprie prese in giro.


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