Il Tar dovrà decidere sul diritto al risarcimento dell'automobilista infastidito dai lavavetri
di Marilisa Bombi
Udine non è un’isola felice, l’ho scoperto anch’io quando ci
sono ritornata dopo un’assenza di anni, anche se le vie del centro continuano a
trasudare ricchezza. Ma non immaginavo fosse anche intollerante.
Sarà il giudice amministrativo a dover decidere se il Comune
di Udine dovrà risarcire un l’automobilista per il «danno esistenziale» che gli
è stato causato dal «disagio» e dall'«ansia» provocati dalla fastidiosa
presenza dei "lavavetri" ai semafori. E’ quanto hanno stabilito le
Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 13568 depositata il 2
luglio, ovvero ieri. Ciò in quanto la questione va decisa in punta di diritto: non
è configurabile un «diritto soggettivo» ma semmai un «interesse legittimo» del
cittadino all'adozione da parte dell'ente di provvedimenti «contingibili ed
urgenti» atti a tutelare la «sicurezza urbana».
Per l’automobilista, invece, la presenza di pedoni «ben
vestiti e ben pasciuti» che «domandano insistentemente soldi sulla strada
comunale» è equiparabile «al tronco caduto sull'asfalto e perciò [...] fuori
posto rispetto al diritto di circolare dell'automobilista ricorrente». Per cui,
allo stesso modo, il Comune sarebbe «tenuto alla materiale attività di sgombero
della carreggiata da tali pericoli/insidie per garantire la sicurezza e la
fluidità del traffico».
Il tribunale di Udine invece nello stabilire la
giurisdizione amministrativa ha sostenuto che il danno lamentato non derivava
direttamente dalla strada («la cosa in custodia»), per effetto di un'omessa
attività materiale del Comune, ma dalla mancata adozione di adeguate misure
volte a fermare l'accattonaggio, e cioè dal mancato esercizio di poteri
autoritativi, che in sostanza altro non potrebbero essere che le ordinanze per
la sicurezza urbana volute dall’allora ministro dell’interno Maroni.
Tale posizione è stata confermata dalla Suprema corte secondo cui la richiesta di «aiuto» o il «mendacio», caratterizzandosi come «attività umane», non possono essere poste sullo stesso piano dell'obbligo di «pulizia delle strade», «mera attività materiale», gravante sull'ente proprietario ai sensi dell'articolo 14 del Codice della strada. Nella prima ipotesi, infatti, l'azione amministrativa deve sempre muoversi nel rispetto della «dignità umana» e, come chiarito dalla Consulta (115/2011), deve sempre incontrare una «delimitazione della discrezionalità amministrativa» a tutela della libertà dei consociati i quali devono sottostare unicamente agli obblighi di fare, non fare o dare, previsti in generale dalla legge.
Tale posizione è stata confermata dalla Suprema corte secondo cui la richiesta di «aiuto» o il «mendacio», caratterizzandosi come «attività umane», non possono essere poste sullo stesso piano dell'obbligo di «pulizia delle strade», «mera attività materiale», gravante sull'ente proprietario ai sensi dell'articolo 14 del Codice della strada. Nella prima ipotesi, infatti, l'azione amministrativa deve sempre muoversi nel rispetto della «dignità umana» e, come chiarito dalla Consulta (115/2011), deve sempre incontrare una «delimitazione della discrezionalità amministrativa» a tutela della libertà dei consociati i quali devono sottostare unicamente agli obblighi di fare, non fare o dare, previsti in generale dalla legge.
Nel caso concreto, invece, ci si è trovati di fronte al mancato
esercizio da parte del sindaco del potere di emanare provvedimenti «contingibili
ed urgenti» per fronteggiare «gravi pericoli» che minacciano l'incolumità
pubblica. Sarà dunque il tribunale amministrativo di Trieste a valutare se
nell'ordinamento c’è, o meno, una norma che accordi tutela alla posizione
giuridica dell’automobilista incavolato «cittadino automobilista fruitore di
strade pubbliche».
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