sabato 18 luglio 2015

Finalmente libero! Lettera a Willer Bordon


"Ti sedesti sulle umili palanche di quell'arena improvvisata e quando arrivò il tuo turno le tue parole furono precedute da quel tuo sorriso contagioso e sbarazzino che sfoderavi a labbra strette e con gli occhi sbarrati: da uomo contento di esserci. Fu un discorso breve, sentito e soprattutto capito, anche dai più umili."


di Aldevis Tibaldi



Quando prendevi la parola dai banchi del Parlamento, il vecchio Natta sbottava: e adesso per conto di chi parla? Nessuno ha mai capito che il tuo non era il trasformismo dei soliti fracabottoni, o l'opportunismo dei tiracampanelli, ma l'odio per l'immobilismo.
Quando nella torrida estate del 1998 arrivasti alla festa del Brigante che organizzavo ai confini del mondo civile, poco mancò che il buon maresciallo dei Carabinieri si pigliasse un coccolone. Dopotutto eri un Sottosegretario ai beni culturali e, quindi, in quel profondo Sud, eri un uomo da scorta, un uomo da riverire perché in quanto tale capace di perpetuare il feudalesimo dei favori e dei posti di lavoro: quello che con farisaica e malcelata ironia chiamavano “un servitore dello Stato”.
Arrivasti a piedi, come non arrivano i Sottosegretari, e il tuo sorriso contagioso  ti rese subito bene accetto alle persone più umili, ai pastori del posto, a quel mondo primitivo abbandonato ad uno stato di selvatichezza e di rassegnazione che è l'antiporta e insieme l'humus della camorra. In effetti la camorra tentava in ogni modo possibile di prendersi i monti Lepini e la tua venuta, se non proprio a fermarla, contribuì a non farmi sentire solo, a far credere che a sostenere la mia lotta contro il malaffare ci poteva essere un pezzo da novanta, un Sottosegretario in carne ed ossa. 
Ti sedesti sulle umili palanche di quell'arena improvvisata e quando arrivò il tuo turno le tue parole furono precedute da quel tuo sorriso contagioso e sbarazzino che sfoderavi a labbra strette e con gli occhi sbarrati: da uomo contento di esserci. Fu un discorso breve, sentito e soprattutto capito, anche dai più umili.
In molti credettero che avrei sfruttato la tua venuta per ottenere un più che legittimo finanziamento a favore del “Museo del Brigante”: non lo feci, né tu mi sollecitasti a farlo. Il che contribuì a consolidare la stima reciproca.
Trascorse del tempo e tu, sulla cresta dell'onda, dopo il successivo rimpasto del governo D'Alema, il 22 dicembre del 1999 ricevesti l'investitura di Ministro dei Lavori Pubblici e la cosa fece non poco scalpore. Ebbene, poco dopo, mi invitasti a prendere un caffè nel mega ufficio di Porta Pia, cosa che accettai di buon grado, ma non senza riflettere sulle difficoltà cui saresti andato incontro e sugli intrallazzi di chi ti aveva preceduto e che avevo incontrato in quelle stanze in un recente passato. Mi accogliesti sfoderando un sorriso più smagliante del solito: ti brillavano gli occhi e non vedevi l'ora di raccontarmi la ragione di tanta euforia: “Ho appena cacciato il Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici! Che ne dici?”
Sul momento rimasi incredulo. Costui era un uomo potentissimo, arbitro incontrastato di tutti i grandi lavori della Penisola e quindi di tutte le tangenti che i grandi lavori imponevano. Con lui il Consiglio Superiore era diventato una bottega immonda, dove i suoi caporioni, anziché rimanere neutrali si spartivano progetti, direzioni lavori e collaudi a suon di ricatti e di imboscate. Una guerra per bande, che produceva maggiori oneri e opere di bassa qualità.
Ne fosti orgoglioso e io di te. Tuttavia ti misi in guardia di fronte ai colpi di coda di un sistema consolidato che avrebbe fatto le peggio cose pur di non soccombere. In effetti, quell'uomo si riciclò e ricostruì il suo potere in Calabria, mentre il governo D'Alema, trascorsi quattro mesi, chiuse bottega.
Tu, invece, rientrasti immediatamente in gioco con Giuliano Amato, questa volta  a capo del Ministero dell'Ambiente che sino a quel momento era stato sotto la guida dell'ottimo Edo Ronchi. E anche lì niente ti trattenne dall'irrompere sulla scena in difesa dei diritti. Nemmeno il Vaticano!
Da decenni le antenne di radio vaticana pompavano radiazioni senza che nessuno avesse mai osato intralciarla e senza prendere atto delle decine di bambini colpiti dalla leucemia. Tu non ti curasti del pericolo di inimicarti la curia romana sino a promuovere il sequestro degli emettitori e la sua ostilità. Fu l'ennesima sfida al potere costituito e l'inizio di un percorso politico volto a destabilizzare un sistema decotto e stantio, finché non ti decidesti ad uscire di scena con un gesto tanto eclatante da rimanere negli annali. Nel rassegnare le tue dimissioni dal Senato te ne uscisti con una filippica che ricordo per sommi capi:   
“C’è un vuoto di credibilità di un intero gruppo dirigente. I privilegi vengono considerati insopportabili perché incardinati in un ceto politico che si giudica inefficiente...La gente sembra dirci: non ci fidiamo più di voi. Andatevene tutti a casa. Certo, c’è in questo una pulsione pericolosa, ma sarebbe sbagliato confondere la causa con l’effetto. L’ho detto e lo ripeto: l’antipolitica non è il contrario della politica, ma è il prodotto della cattiva politica. Oggi l’antipolitica troppo spesso sta a Palazzo” Certo, ne hai combinato di guai. D'altro canto venivi da una terra che ha dato i natali ad Alma Vivoda, Vittorio Vidali, Rapotez.
Scusami se non sarò a Roma, al tuo funerale. Mancherò di proposito perché non vorrei trovarmi di fronte ai soliti che dopo aver denigrato la tua eresia, oggi, per amore di visibilità o solo per godersi una trasferta romana, saranno capaci di sfruttare persino la cerimonia funebre, a Iacob, a Rosato... Mi limiterò a ricordarti dal piccolo schermo di Video Regione, l'unico che si sottrae all'obbligo della censura da parte della stessa casta che hai combattuto. Finalmente libero!

 

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