Tra natura e passione: proposte pratiche per valorizzare la peculiarità di un luogo.La riuscita collaborazione tra il ŠENT sloveno (Slovensko združenje za duševno zdravje, Associazione slovena di salute mentale) e il CSM (Centro di salute mentale) e le prospettive di sviluppo di un'agricoltura sostenibile transfrontaliera.
di Thomas Scholz
Tempo fa ho avuto l’occasione di descrivere tramite questo
sito la mia esperienza di volontariato nell’ambito dei così detti ‘orti
sociali’ al Parco Basaglia (link). Avevo concluso l’esposizione con un auspicio
in forma di domanda: Sarà possibile creare al centro del parco Basaglia un
piccolo orto botanico? La proposta di organizzare a proposito una conferenza
rivolta al pubblico, sia per promuovere una partecipazione attiva, sia per
coinvolgere enti ed istituzioni che operano nel campo dell’agricoltura e
dell’ambiente, non è stata accolta dai responsabili con molto entusiasmo e
chissà se e quando si farà.
Già in settembre era stato pubblicato un simpatico articolo
sul periodico del comune di Šempeter con il significativo titolo Vrtiček ne
pozna meja, l’orticello senza confini. L’articolo parla della riuscita
collaborazione tra il ŠENT sloveno (Slovensko združenje za duševno zdravje,
Associazione slovena di salute mentale) e il CSM (Centro di salute mentale)
italiano e conclude con l’augurio che questo progetto possa continuare.
Invitando personaggi che operano nel campo a relazionarsi su argomenti che
riguardano l’orticultura, la conferenza avrebbe avuto lo scopo di sviluppare e
migliorare questo progetto di orto comune. Vorrei esporre solo alcune idee
raccolte assieme agli utenti e operatori del ŠENT ed a tutti quelli che vi
hanno partecipato.
Salvaguardare la biodiversità, compito comune
Punto di partenza per la concezione dell’orto era l’idea di realizzare un centro che si occupasse della salvaguardia di antiche varietà di ortaggi. Ci sono già realtà operanti in questo campo e il parco Basaglia sarebbe un luogo ideale come punto di riferimento. Il compito di selezionare e migliorare le sementi, in tempi passati era in mano a numerosi contadini e ortolani che assicuravano la vitalità del vasto patrimonio agricolo acquisito nei millenni.
Nel corso della industrializzazione dell’agricoltura le sementi, però, sono state ulteriormente adattate alle esigenze della produzione e dello smercio in massa e selezionate con l’impiego di concime chimico, di conseguenza le antiche varietà classificate ‘non commerciabili’ sono sparite, e non solo dal mercato. Qui si potrebbe sviluppare una linea di massima del progetto: coinvolgere, promuovere e rendere consapevole –soprattutto, ma non solo- l’ortolano privato, che oltre alla maggior soddisfazione di coltivare qualcosa di particolare con la sua attività, può contribuire a salvaguardare un patrimonio culturale.
Rendere più fertile la terra e togliere carbonio dall’atmosfera
Un’altra questione importante deriva dalla necessità di
concimare. Nello storico ospedale psichiatrico, famoso per la sua
autosufficienza, era incorporata la ‘colonia agricola’ con il bestiame. La
disponibilità di concime naturale era dunque garantita. Il ciclo del materiale
organico dei prati e dei pascoli, delle stalle, dei campi e degli orti, era
armonioso e chiuso in sé stesso. Nella ricerca di una concimazione più
sostenibile e considerando il problema del cambiamento climatico, viene
attualmente riscoperto e sperimentato un antico sapere: l’utilizzo del carbone
vegetale come ammendante agricolo. I terreni trattati in questo modo, noti
anche come ‘terra preta’, sono resi più fertili in modo durevole. Grazie
all’enorme porosità del carbone vegetale il terreno è in grado di immagazzinare
meglio sostanze nutritive, creando un ambiente favorevole ai microorganismi e
mantenendo più costante l’umidità del terreno, oltre ad avere l’effetto di
sequestrare il carbonio, togliendolo dall’atmosfera.
La carbonella vegetale può essere prodotta tramite pirolisi
da biomassa di scarto, ottenuta dalla manutenzione del parco stesso. Sarebbe
logico cercare di utilizzare in un futuro anche il calore che libera questo
tipo di combustione per il riscaldamento delle serre, intanto risulta più
realistico limitarsi all’utilizzo e alla sperimentazione di semplici focolari
per cucinare. Infatti la pirolisi, realizzabile in semplici bidoni di lamiera,
da alcuni anni viene promossa da vari progetti universitari internazionali.
L’argomento è stato riferito di recente al pubblico nella conferenza intitolata
‘Il fuoco perfetto’, organizzata da Legambiente a Villa Manin. Lo scopo è
quello di raggiungere una combustione più efficace e pulita nelle cucine dei
paesi più poveri. Qui, dove spesso la preparazione del cibo avviene a fuoco
aperto, resta da risolvere il problema della reperibilità del combustibile e
addirittura della progressiva desertificazione che ne deriva, problemi che noi
non conosciamo. Bisogna a questo punto constatare però l’assurdità di
consigliare al terzo mondo procedure virtuose che noi abbiamo scartato per
comodità.
La carbonella stessa, prima di essere aggiunta alla terra,
richiede una procedura di caricamento di sostanze nutritive. Ottimo anche sotto
l’aspetto igienico sarebbe il suo utilizzo nelle stalle come assorbente per i
liquami. Ma anche il compostaggio e il trattamento con macerati vegetali
-classico esempio: l’ortica ricca di azoto- sono aspetti da sperimentare e
verificare, in particolare per studiare lo sviluppo di antiche varietà di
ortaggi. Insomma, l’orto avrebbe la funzione di ricerca nel campo della
concimazione alternativa a quella chimica e attiverebbe l’utilizzo delle aree
circostanti del parco, nel tentativo di inserirle in un sostenibile e logico flusso
di materia organica.
Un concetto ‘verde’ per il parco
Nel corso degli anni le estese superfici dello storico ospedale psichiatrico (oltre15
ettari) sono state parzialmente adibite ad altre funzioni. Sul lato destro è
stato realizzato l’accesso al traffico, fiancheggiato da villette a schiera,
che termina in un grande parcheggio. Qui si trova l’istituto per geometri
Nicolò Pacassi, ricavato da due storici edifici dell’ospedale psichiatrico uniti
da un atrio. In fondo c’è una grande palestra con annessi impianti esterni.
L’area del futuro orto botanico occuperebbe la parcella di terreno fra questa
palestra e il così detto ‘quadrilatero’, o anche ‘padiglione del lavoro’, come
si può leggere sulla planimetria generale d’epoca. Comprende circa 2000mq.
Giudicando dalle semplici strutture che sono state aggiunte già in tempi
remoti, rimesse per carri e attrezzi, una struttura per far svernare piante da
vaso e dei vani che potrebbero aver ospitato piccoli uffici, questa era proprio
l’area destinata alla logistica della manutenzione del verde. Oggi, nel
tentativo di recuperare quest’area trascurata, occorre una concezione che possa
essere valida anche per la gestione complessiva del parco. Se una volta
l’ospedale psichiatrico era un luogo chiuso, ma per certi versi
autosufficiente, oggi si vede più che mai la necessità di renderlo pubblico. Di
recente un articolo del direttore del CSM Franco Perazza ha reso noto -sia su
questo sito (link) che sul Piccolo del 29 novembre- un programma che riguarda
la futura destinazione del parco e che è stato presentato anche ad una serie di
autorità regionali e locali, dalla Presidente Serracchiani in giù.
Sottolineando ovviamente l’importanza storica e geopolitica del luogo, il
programma propone un’ampia gamma d’interventi, dei quali alcuni non possono
essere considerati altro che positivi, cioè la casa del parto e l’asilo nido
bilingue. Perazza critica soprattutto,
oltre allo stato d’abbandono di alcune strutture, l’evidente degrado delle aree
verdi. L’attuale divisione del parco tra i due enti ‘proprietari’ (L’ASS 2
Isontina e l’amministrazione provinciale) avrebbe creato una situazione che ostacola non solo una manutenzione logica
delle aree verdi, ma anche una progettualità complessiva e condivisa del parco.
Sotto questo aspetto sarebbe utile creare un punto
d’attrazione, dando all’area in questione la valenza di orto botanico-didattico
con ampio spazio per fiori, piante officinali e erbe aromatiche. Si creerebbe
così non solo un percorso educativo, ma anche un luogo invitante dove si
manifesta la vitalità e la bellezza della natura. Questo luogo potrebbe essere
in un futuro un punto di riferimento per la manutenzione del verde dell’intero
parco. In questo contesto la cooperativa sociale ‘Il Grande Carro’, situata con
le sue serre di floricoltura in immediata vicinanza, e la comunità ‘La
Tempesta’, impegnata a dare orientamento e sostegno a tossicodipendenti,
collocata nella storica ‘colonia agricola’, offrono già un’ottima base di
possibile collaborazione.
La realizzazione di questo progetto non ha una difficoltà principalmente economica, ma richiederebbe anzitutto una visione complessiva a lungo termine; altrimenti tutti gli sforzi fatti e i rispettivi finanziamenti svanirebbero in breve tempo nel nulla. Per questo è necessario acquisire delle certezze su come l’azienda sanitaria, da ‘proprietaria’ del terreno e degli immobili, intenda proseguire. In autunno c’ è stato un intervento di bonifica del tetto della struttura che oggi contiene la caldaia per il quadrilatero. L’amianto è stato sostituito con pannelli di lamiera. Più in là invece, nella parte più degradata (ed abusata in passato come discarica), è stato solo rimosso l’amianto, abbandonando l’edificio alle intemperie e all’ulteriore degrado.
Questa semplice struttura in mattoni dalle dimensioni di
circa otto metri per dieci di un unico piano, forse non ha un’importanza storica
tale da escludere la sua demolizione. Considerando però la funzione che
potrebbe assumere come luogo di accoglienza e aggregazione per le persone che
si occupano dell’orto, per gli utenti e gli operatori dell’azienda sanitaria
ed, infine, anche per il pubblico che visiterà il futuro ‘orto botanico’, si
potrebbe rendere opportuna e necessaria la sua ristrutturazione. Visto che si
tratta di un intervento di dimensioni relativamente modeste, conservando
volutamente un certo carattere ‘bucolico’, si potrebbe pensare a un
finanziamento mirato e responsabile, ma indipendente dall’azienda sanitaria.
Per esempio a un progetto che offra l’occasione di fare esperienza pratica a
giovani apprendisti e studenti del campo edile, in collaborazione con
l’università.
Del resto basterebbero piccoli provvedimenti come il
completamento della recinzione in gran parte già presente, la realizzazione di
una fonte d’ acqua, una tettoia ed altri accorgimenti per facilitare la
permanenza del pubblico.
Importante però sarebbe raggiungere la garantita continuità
dei lavori nell’orto, ovviamente a lungo termine. Come è stato anche annotato
in una riunione con i responsabili, ci vorrebbero almeno due figure
professionali retribuite regolarmente: un giardiniere e un infermiere, magari specializzato
in orto-terapia. Qua siamo però arrivati al punto più dolente e sofferto di
tutta la questione… .
Un progetto transfrontaliero per lo sviluppo dell’agricoltura sostenibile
Un altro approccio al problema potrebbe essere di
convincere enti che operano nell’ambito
del territorio, dell’ambiente, dell’agricoltura -possibilmente a livello
regionale- ad assumersi il patrocinio per un progetto transfrontaliero.
Argomento possibile sarebbe lo studio sul modo di
organizzare e realizzare il recupero –anche in termini economici- di campagne
abbandonate, tematica che al parco Basaglia viene evidenziato in modo
esemplare: l’erba che cresce qui non è più una risorsa, ma un costo da
fatturare. Nel complesso potrebbe rientrare benissimo l’inserimento di persone
assistite, è essenziale però che ci sia a disposizione la necessaria logistica
per i lavori, e che questi siano coordinati e programmati da persone con
sufficiente esperienza del mondo agricolo.
Recentemente è stato presentato il progetto ‘Orti Goriziani/Goriški
Vrtovi’ che vuole mettere in relazione, nel raggio di 50km, i piccoli
produttori agroalimentari con i consumatori dell’area urbana di Gorizia, Nova
Gorica e Šempeter-Vertojba, utilizzando una piattaforma in rete per lo smercio
diretto (www.ortigoriziani.eu), iniziativa importante per promuovere l’economia
locale. Infatti il compito di sviluppare strategie per un’agricoltura
sostenibile è strettamente legato al sostegno delle aziende agricole di piccole
dimensioni. In questo senso potrebbe nascere e crescere nel corso degli anni un
istituto italo-sloveno per lo sviluppo agricolo sostenibile. Il posto e le
circostanze al parco Basaglia sembrerebbero ideali, e valorizzare le conoscenze
e le risorse slovene sarebbe un passo importante per la riconquista economica
del territorio.
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