giovedì 1 maggio 2014

Primo maggio. Festa del non lavoro



di Marilisa Bombi


Centri commerciali aperti, ragazze e ragazzi che ciondolano nei caffè del corso e se chiedi loro notizie circa la possibile partecipazione alla manifestazione a Pordenone, ti guardano allucinati: ma di che cosa stai parlando? Insomma più che quarant’anni sembra passato un secolo da quando la festa del primo maggio era la Festa per antonomasia, con la banda che, ad esempio, a Farra, di buon mattino, attraversava le vie del paese e la mia nonna che, di norma, trascorreva le giornate festive assieme a noi, aveva difficoltà a raggiungerci perché nemmeno le corriere circolavano in quel giorno.
La manifestazione a Monfalcone in piazza che si concludeva, inevitabilmente, con il corteo dei trattori arrivati dalla provincia. Ed, infine, per chi era di Gorizia, il raduno a San Floriano, nell’osteria delle Taccò a cantare fino a tardi Contessa, Cara moglie, e poi, via via che le ore trascorrevano, le canzoni diventate ornai patrimonio collettivo di una generazione. Di protesta, si diceva allora. Adesso, a riascoltarle, come Bella ciao, sono il canto disperato che accompagna la paura di un futuro sempre più oscuro.
Cosa significa oggi festeggiare il primo maggio che lavoro per le nuove generazioni non c’è o, se c’è è comunque precario? Riempiamo questa giornata di nuovi contenuti, di riflessione sulla solidarietà che non c’è, sul mancato senso civico di una generazione che non può guardare al futuro con serenità e certezza del domani. Cerchiamo di essere, almeno oggi, un po’ più altruisti e leggere con un po’ di speranza il messaggio che il Presidente del Consiglio ha inviato a tutti i lavoratori del pubblico impiego, quale indizio di un percorso condiviso ed innovativo.
Questo il testo della lettera:
"Vogliamo fare sul serio.


L'Italia ha potenzialità incredibili. Se finalmente riusciamo a mettere in ordine le regole del gioco (dalla politica alla burocrazia, dal fisco alla giustizia) torniamo rapidamente fra i Paesi leader del mondo. Il tempo della globalizzazione ci lascia inquieti ma è in realtà una gigantesca opportunità per l'Italia e per il suo futuro. Non possiamo perdere questa occasione.

Vogliamo fare sul serio, dobbiamo fare sul serio.

Il Governo ha scelto di dare segnali concreti. Questioni ferme da decenni si stanno finalmente dipanando. Il superamento del bicameralismo perfetto, la semplificazione del Titolo V della Costituzione e i rapporti tra Stato e Regioni, l'abolizione degli enti inutili, la previsione del ballottaggio per assicurare un vincitore certo alle elezioni, l'investimento sull'edilizia scolastica e sul dissesto idrogeologico, il nuovo piano di spesa dei fondi europei, la restituzione di 80 euro netti mensili a chi guadagna poco, la vendita delle auto blu, i primi provvedimenti per il rilancio del lavoro, la riduzione dell'IRAP per le imprese. Sono tutti tasselli di un mosaico molto chiaro: vogliamo ricostruire un'Italia più semplice e più giusta. Dove ci siano meno politici e più occupazione giovanile, meno burocratese e più trasparenza. In tutti i campi, in tutti i sensi.

Fare sul serio richiede dunque un investimento straordinario sulla Pubblica Amministrazione. Diverso dal passato, nel metodo e nel merito.

Nel metodo: non si fanno le riforme della Pubblica Amministrazione insultando i lavoratori pubblici. Che nel pubblico ci siano anche i fannulloni è fatto noto. Meno nota è la presenza di tantissime persone di qualità che fino ad oggi non sono mai state coinvolte nei processi di riforma. Persone orgogliose di servire la comunità e che fanno bene il proprio lavoro.

Compito di chi governa non è lamentarsi, ma cambiare le cose. Per questo noi, anziché cullarci nella facile denuncia, sfidiamo in positivo le lavoratrici e i lavoratori volenterosi. Siete protagonisti della riforma della Pubblica Amministrazione.

Nel merito: abbiamo maturato alcune idee concrete. Prima di portarle in Parlamento le offriamo per un mese alla discussione dei soggetti sociali protagonisti e di chiunque avrà suggerimenti, critiche, proposte e alternative. Abbiamo le idee e siamo pronti a intervenire. Ma non siamo arroganti e quindi ci confronteremo volentieri, dando certezza dei tempi.

Le nostre linee guida sono tre.

Il cambiamento comincia dalle persone. Abbiamo bisogno di innovazioni strutturali: programmazione strategica dei fabbisogni; ricambio generazionale, maggiore mobilità, mercato del lavoro della dirigenza, misurazione reale dei risultati, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, asili nido nelle amministrazioni.

Tagli agli sprechi e riorganizzazione dell’Amministrazione. Non possiamo più permetterci nuovi tagli orizzontali, senza avere chiari obiettivi di riorganizzazione. Ma dobbiamo cancellare i doppioni, abolendo enti che non servono più e che sono stati pensati più per dare una poltrona agli amici degli amici che per reali esigenze dei cittadini. O che sono semplicemente non più efficienti come nel passato."

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