Riordino fondiario ....
di Martina Luciani
Non c’è la natura, non
c’è lirismo, non ci sono nostalgie ambientaliste, non c’è lusinga alcuna: Evaristo Cian
ci costringe a guardare la campagna, lo fa con asprezza , con colori che
se ne infischiano delle dolcezze primaverili e delle opulenze estive, il suo
pennello ha suoni (grido
-canto-lamento-imprecazione-sospiro) e riecheggia una pena di vivere che
viene lontano.
Non sono paesaggi sereni
e rassicuranti, sono i dettagli di un mondo contadino, antico ma non poi così
tanto, nel quale avere il proprio destino legato alla terra significava dover
inchinare la schiena alle imperiose esigenze dei ritmi delle coltivazioni, all’avarizia
delle annate, alla subordinazione
sociale e allo sfruttamento del lavoro. Una campagna, dunque,
trasfigurata dall’eredità genetica che
essa stessa ha prodotto (memorie, storie, archetipi, fredde nebbie respirate,
sacrifici di generazioni che ti fanno guardare e vedere nel profondo ma non ti
lasciano tirare su la testa se non con l’aiuto di una rivendicazione
ideologica) e che trova espressione
artistica definendo la natura culturale e politica dei quadri di Evaristo
Cian. Lui, in ogni quadro, per forza di
cose, è il protagonista. In questo senso: se nel suo cuore c’è speranza e fiducia, non sempre ce
lo fa capire; ma che ci sia voglia di lottare, di questo siamo sicuri.
Evaristo Cian espone alla galleria Mario Di Jorio di via Mameli (Biblioteca statale isontina) dal primo al 15 marzo.
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