domenica 29 maggio 2022

Gli altri quesiti del Referendum Giustizia del 12 giugno prossimo: 2, 3, 4 e 5. Seconda parte.

Un contributo minimo per la lettura dei quesiti referendari. Per ulteriori informazioni "politiche/filosofiche/etiche" sul senso e sulle conseguenze del voto referendario, interessante interrogare i candidati alle amministrative di Gorizia.

di Martina Luciani

Dopo aver cercato su queste pagine di illustrare il senso del  primo quesito referendario che chiede l’abrogazione di una delle leggi più sgradevoli per i politici italiani – il decreto Severino, scheda di colore rosso – parliamo degli altri temi oggetto di referendum.  A differenza del primo decisamente poco comprensibili, tranne forse quello sulla custodia cautelare, lontani da una immediata lettura e analisi ( ben più facile sarebbe stato rispondere su eutanasia e cannabis libera! ma non ci è stato concesso).
Tre di questi (quelli inerenti a consigli giudiziari, elezione del Csm e separazione delle funzioni) potrebbero essere annullati se prima della data delle elezioni venisse definitivamente approvata dal Parlamento la riforma Cartabia, che interviene sulle stesse questioni.

Il secondo quesito ( scheda di colore arancione)  è diretto a porre «limiti agli abusi della custodia cautelare».
La custodia cautelare è un istituto di grande impatto: si calcola che il 30% della popolazione carceraria non sta scontando una pena ma è detenuta in attesa di giudizio. La custodia cautelare in carcere attualmente può essere disposta solo in caso di “gravi indizi di colpevolezza” e può essere motivata dal pericolo che la persona indagata ripeta il reato di cui è accusato, dal pericolo di fuga o da quello che vengano alterate le prove a suo carico.  Se vincesse il sì al referendum non varrà più la motivazione del la possibile reiterazione del reato. L'obiettivo dei promotori è ridurre il rischio che vengano detenute persone che poi, al termine del processo o dei processi, risultino innocenti.
L’abrogazione produrrebbe effetti anche sulla custodia agli arresti domiciliari, quella in luogo di cura, sul divieto di espatrio, sull'obbligo di dimora in una località o al contrario sul divieto di dimorarvi, sull'obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, sull'allontanamento dalla casa familiare,  sulla sospensione da un pubblico ufficio o servizio, sulla sospensione della potestà genitoriale, sul divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali.



 Il terzo quesito (scheda di colore giallo) si propone la «separazione delle carriere dei magistrati».
 Attualmente, e con regole procedurali piuttosto complesse e restrittive, un magistrato può passare fino a 4 volte tra la funzione requirenti, cioè quelle relative alla pubblica accusa e alle indagini,  a quella giudicante. Se al referendum vincessero i no,  il neo-magistrato dovrà scegliere all’inizio della carriera, senza potersi misurare nella pratica effettiva della professione ( tanto più considerando che un pubblico ministero e un giudice svolgono funzioni distanti tra loro per le quali sono rischieste attitudini differenti). 
Per i promotori, l’attuale meccanismo produce effetti negativi  sull’indipendenza dei magistrati  a causa della “contiguità” determinata dal mutamento di funzioni e determina  conflitti di interesse che darebbero luogo vere e proprie persecuzioni contro cittadini innocenti.
Ma è utile considerare, per avere concretezza della situazione,  che dal 2006 - anno dell’entrata in vigore  della legge Castelli-Mastella, con cui è stato ridotto a quattro il numero massimo di passaggi - al 2021, il numero di passaggi dalla funzione giudicante alla funzione requirente ha coinvolto solo  2 magistrati su mille, quello inverso solo 3 su mille (su una media di magistrati in servizio di 8600 circa).  
Numeri che danno conto dello scarsissimo peso del quesito referendario, che personalmente mi infastidisce  tanto quanto l’attuale attenzione del Parlamento per la separazione delle funzioni.
Sul tema specifico - tanto riguardo la riforma della giustizia quasi conclusa, quanto riguardo il quesito referendario abrogativo, sia per la giurisdizione penale sia per quella civile - la preoccupazione è che la separazione delle carriere permetta poi di trasformare il ruolo stesso del magistrato requirente, attribuendogli  minore indipendenza e autonomia dal potere esecutivo: indipendenza e autonomia sanciti per l’intera magistratura dall’art.104 della Costituzione. ll ruolo del pubblico ministero, in quanto interprete dei valori della collettività e della dignità umana, non è tecnicamente accusatorio o, come intedono i promotori del referendum,  persecutorio,  ma sostanzialmente difensivo di una comunità democratica e pluralistica. “Il pubblico ministero è organo pubblico che agisce a tutela di interessi collettivi” ha scritto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007. Basta considerare che «agisce esclusivamente nell'intento di garantire l'osservanza della legge», tanto che deve svolgere anche gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini. Insomma, se riteniamo che servano maggiori garanzie sull’operare dei magistrati inquirenti,  in sostanza principale problema delle indagini troppo spesso scarsamente attente ai diritti degli indagati, non è sicuramente con la separazione delle carriere che otterremo questo risultato.

 


Il quarto  quesito ( scheda di colore grigio)  intende favorire una «equa valutazione dei magistrati».
Le norme per cui si chiede l’abrogazione riguardano la composizione e le funzioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari relativamente alla formulazione di pareri finalizzati alla valutazione di professionalità dei magistrati .
E cioè, attraverso l’abrogazione, la vigilanza sulla condotta dei magistrati in servizio e la formulazione delle pagelle relative all’avanzamento in carriera dei magistrati non sarebbe più, come ora, riservata ai componenti togati, ma verrebbe estesa  ai membri laici – avvocati e professori universitari -  che la Costituzione stessa prevede facciano parte  dei due organismi. L’abrogazione delle norme sottoposte a referendum consentirebbe anche ai membri esterni di valutare l’operato dei magistrati, migliorando, secondo i promotori del referendum,  l’oggettività del giudizio sulla base del quale il CSM dovrà poi procedere alla valutazione di professionalità. Secondo i sostenitori del no, avvocati e accademici dovrebbero restare estranei a questo particolare meccanismo.


 Il quesito 5 (scheda di colore verde)è presentato come «riforma del CSM»
La disposizione  per cui si chiede l’abrogazione - art. 25 c. 3 l. 195/1958 – fa parte della disciplina del procedimento per l’elezione dei membri togati del Consiglio Superiore della Magistratura e regola in particolare le modalità di presentazione delle candidature. La norma vigente richiede che l’aspirante candidato raccolga le adesioni di almeno 25 magistrati “presentatori”: abrogandola il singolo potrebbe presentare la sua candidatura senza bisogno dell’appoggio di altri magistrati, contando solo sulle proprie qualità professionali. Dopo le elezioni, all’interno dell’Istituzione , che è organo di governo autonomo della magistratura italiana ordinaria, non si  produrrebbero all’interno dell’istituzione le cosiddette “correnti” che influenzano le decisioni del CSM.

A chi volesse ulteriori approfondimenti consiglio il corposo dossier di Micromega e l'approfondimento di Giustizia Insieme.

 


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