Domande difficili.
Sugli scaffali dei supermercati, li troviamo i diritti
umani, la giustizia economica, i diritti del lavoro, l’uguaglianza di genere,
la tutela dei minori? O pur di pagare il meno possibile quello di cui ci
nutriamo siamo disposti a rinunciare a questa enormità di diritti, faticosamente
conquistati e ancora massicciamente negati, cancellando la faccia e la dignità
di quella metà del mondo che sgobba per far mangiare l’altra metà?
di Martina Luciani
Non è facile. Tentare di comperare “giusto”, con la garanzia che la “giustizia” copra tutta la filiera, dal produttore arrivi fino al consumatore, è operazione complessa, visto che il consumatore ha pochi mezzi per informarsi: l’etichetta, le notizie reperibili attraverso i mezzi di comunicazione, la pubblicità ( da utilizzare con tenaglie da fabbro) . E poi c’è la filosofia del marchio, ovvero le scelte adottate dal grande distributore ( la GDO copre quasi il 75 per cento del mercato italiano) che possono guidare i nostri acquisti e consumi.
OXFAM, che è una confederazione internazionale di 20 organizzazioni che lavorano in oltre 90 Paesi per costruire un futuro libero dall’ingiustizia della povertà, ha lanciato una campagna che si chiama “Al giusto prezzo”, con l’obiettivo di controllare ed evidenziare , tra i principali supermercati italiani, le situazioni di diritti negati, sfruttamento nei campi, caporalato, lavoro sottopagato, verificando “chi fa cosa” affinchè ci sia trasparenza nei prezzi dei prodotti che compriamo, rispetto dei diritti dei lavoratori che li producono, garanzia che produttori e lavoratori siano pagati in modo equo e dignitoso.
Fenomeni che durante l’emergenza sanitaria sono stati sottovalutati e che hanno raggiunto preoccupanti livelli di criticità, nelle campagne italiane e nel Sud del mondo, e che continueranno a produrre effetti devastanti sulla sopravvivenza e sulla dignità di milioni di persone. Solo che, quando ci accingiamo a mangiare, non sappiamo la vera storia di quel che abbiamo nel piatto.
(E posso anche capire che in questi sventurati mesi di emergenza gli acquisti alimentari di moltissime famiglie sono diventati una questione di sopravvivenza, e la qualità etica del cibo e i diritti sparsi in tutta la filiera produttiva sono stati sacrificati in nome della necessità: ma spiegare l'incremento dello sfruttamento del lavoro quale danno collaterale del COVID 19 non significa giustificarlo. Perchè "mors tua vita mea" è un fenomeno che prima o poi si ritorce contro gli stessi sopravvissuti e chi governa le comunità ha l'obbligo di proteggere e salvare tutti quanti, nessuno escluso.)
Dei 5 marchi posti sotto osservazione, COOP prevale nettamente su gli altri 4, cioè Selex, Conad, Esselunga ed Eurospin ( quest’ultimo definito da Oxfam “leader in Italia nel settore discount, non ha voluto cogliere l’opportunità di dialogo e miglioramento di policy offerta dalla campagna e per il secondo anno consecutivo chiude la classifica con il punteggio più basso).
La pagella etica tiene conto di 4 parametri - trasparenza e accountability, diritti dei lavoratori, produttori di piccola scala, tutela delle donne – e considera i miglioramenti attuati rispetto l’anno precedente e il posizionamento complessivo.
A pagina 13 del Rapporto Oxfam, che si intitola
"GDO E GIUSTIZIA NELLA FILIERA AGROALIMENTARE: I
RISULTATI DI UN ANNO DI CAMPAGNA AL GIUSTO PREZZO" trovate le risultanze e le osservazioni su trasparenza,
con la sottolineatura che è ancora lunga la strada per la piena attuazione dei Principi
Guida nelle Nazioni Unite su Imprese e Diritti Umani, in particolare relativamente all’obiettivo di “evitare
di produrre impatti negativi su tali diritti e porre rimedio a questi ultimi
laddove si dovessero verificare”.
“ Ancora oggi si
legge nel Rapporto - le più importanti
aziende della GDO in Italia basano le loro politiche di sostenibilità
esclusivamente sulla conduzione di verifiche pre e post sulla conformità dei
fornitori ai loro codici di condotta e principi etici, delegando però la gestione
dei rischi per i diritti umani ai fornitori che operano in quegli anelli della filiera
in cui le violazioni e le vulnerabilità sono più presenti. Cambiare approccio
significa allargare il concetto di rischio col quale le aziende sono solite
operate, includendo accanto ai rischi per l’impresa (finanziario, di mercato,
di gestione, di reputazione ecc.), di carattere esclusivamente interno, la dimensione
esterna degli impatti negativi che l’azienda può causare, o contribuire a causare,
sulle persone, sull’ambiente e sulla società con le proprie operazioni.
Sulla questione dei diritti dei lavoratori agricoli (a pag. 15) mi pare importante sottolineare che Coop, Conad e Federdistribuzione, che
rappresenta anche Esselunga e il Gruppo Selex, si sono impegnati affnchè “a partire dal 1°
gennaio 2021 a tutti i fornitori agricoli diretti della distribuzione sarà
richiesta l’iscrizione alla “Rete del lavoro agricolo di qualità” promosso dal
Mipaaf e istituito presso l’Inps. E questo varrà anche per i partner della Mdd
(Marca del Distributore), lungo la loro filiera di approvvigionamento. Parlare di produttori di piccola scala ( a pag.17) significa soprattutto controllare l’astensione da “pratiche commerciali sleali che spingono i prezzi dei prodotti alimentari verso un costante ribasso, con ricadute enormi in termini di impossibilità di coprire i costi di produzione per i fornitori e condizioni disumane per chi lavora. Tra queste, le aste elettroniche al doppio ribasso, ampiamente denunciate come prassi utilizzata nel settore della GDO italiana e contro le quali si sono fermamente espresse Coop Italia, Conad, Gruppo Selex e Esselunga.
La problematica del lavoro femminile è uno dei punti dolenti del Rapporto (a pag. 19)
Scrive OXFAM: Le disuguaglianze di genere nelle filiere continuano ad essere una questione completamente ignorata dai supermercati italiani. Quattro supermercati su cinque continuano ad ottenere un punteggio dello 0% sul tema “donne”, ovvero in merito alla adozione di politiche e pratiche che assicurino alle lavoratrici impiegate nella filiera pari condizioni lavorative e equo trattamento.
La maggior parte delle aziende non riconosce i maggiori ostacoli che le donne devono affrontare per accedere a un lavoro dignitoso, né si impegna a lavorare con i loro fornitori per attuare le misure necessarie a prevenire questo tipo di discriminazione. Gli audit commissionati non trovano quasi mai casi di discriminazione di genere, e non indagano sull’inquadramento delle donne in ruoli meno pagati e meno sicuri.”
Soltanto Coop ha cominciato a muoversi in questo settore,adottando i Principi delle Nazioni Unite per l’Empowerment Femminile, promuovendone l’adozione da parte dei propri fornitori e annunciando l’impegno a rilevare i dati relativi alla dimensione di genere nelle proprie filiere alimentari.
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