martedì 27 novembre 2018

Il cambiamento climatico ridisegna i continenti: noi stiamo dentro l'anticiclone africano, questo l'ambito degli interessi comuni e del comune sviluppo.

Importante apertura di un percorso di riflessione e discussione, a Gorizia, alla Facoltà di Scienze diplomatiche nel polo universitario di via Alviano: il sistema di equilibri che rendeva prevedibili e gestibili i fenomeni naturali è saltato a causa del cambiamento climatico, gli impatti riguardano tutte le aree del mondo ma soprattutto gli ecosistemi più fragili e le popolazioni più povere, il diritto internazionale ignora la questione ambientale e quello europeo non riconosce i migranti forzati a spostarsi per ragioni ambientali. I contributi, tra gli altri, di Grammenos Mastrojeni, diplomatico italiano, scrittore, coordinatore per l'eco-sostenibilità della Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri, e di Gianfranco Schiavone, vicepresidente di ASGI - Associazione studi giuridici sull'immigrazione e presidente di Italian Consortium of Solidarity (ICS) ONLUS.



di Martina Luciani

Il discorso introdotto oggi dall'iniziativa del Dipartimento di scienze politiche e sociali dell'Università di Trieste non può certo considerarsi concluso nell'arco della mattinata dedicata a "Migrazioni e cambiamento climatico".

Il mondo, ognuno di noi incluso, è alle prese con la crescente pressione e con l' interferenza spesso tragica su tutte le attività umane dei fenomeni climatici ormai governati dal caos che progressivamente stravolge l'ecosistema. Al traino, si manifestano l'imprevidibilità dei servizi ecosistemici, l'insicurezza alimentare ed economica, l'instabilità sociale e politica, la violazione dei diritti umani, l'esasperazione dei conflitti sociali, il diffondersi dell'illegalità, i fanatismi, il terrorismo. E la pace diventa un bene inarrivabile, così come un lavoro e una vita dignitosa e protetta, la disponibilità di acqua e di cibo, i figli a scuola, l'assistenza medica. 
 Nove su dieci dei migranti che giungono in Italia sono africani.
Provengono in particolare dal Sahel, l'enorme regione subsahariana  dove è in corso un accelerato processo di desertificazione: la crisi ambientale produce impatti che a loro volta  fanno implodere qualsiasi tipo di organizzazione umana, la migrazione non è una scelta, è forzata dalla situazione insostenibile, e ciò nonostante l'inferno che le popolazioni devono attraversare per raggiungere le coste mediterranee  per poi tentare via mare di raggiungere l'Europa.
Europa che ha perso la capacità climatica di fronteggiare l'anticiclone africano, al punto che è anacronistico considerarci contrapposti all'Africa: è con tutte le persone che vivono entro l'anticiclone africano che dobbiamo valutare e risolvere i problemi causati dal cambiamento climatico, inclusi i movimenti forzati delle popolazioni che non possono più vivere sulla loro terra devastata e deprivata di risorse. Quindi è con l'Africa  - che incrementa giorno dopo giorno le sue difficoltà ambientali, l'ingiustizia economica e sociale, i conflitti -  che dobbiamo riconoscere di avere comuni interessi e dobbiamo immaginare e costruire il co-sviluppo.
Grosso modo sono queste le prospettive e le più aggiornate consapevolezze su cui modellare utilmente la politica internazionale e le ipotesi di sviluppo economico, nello sforzo decisivo di contrastare e gestire gli impatti negativi della crisi ambientale e nello stesso tempo perseguire la pienezza della dignità e dei diritti umani, la giustizia, la pace: le dettagliate articolazioni le potete leggere nel libro "Effetto serra effetto guerra", scritto insieme al fisico e climatologo Antonello Pasini, che ha come sottotitolo "Clima, conflitti, migrazioni: l'Italia in prima linea".
" Tutti voi - ha detto Mastrojeni agli studenti che affollavano la platea goriziana - siete straordinariamente rilevanti." Tutti noi lo siamo, perchè la conversione della nostra economia e società dei consumi verso un sistema circolare e sostenibile per l'ambiente, a livello globale, passa attraverso l'adozione di diversi stili di vita da parte dei singoli, delle famiglie, delle comunità. Anche attraverso le personali scelte relative ai consumi, all'uso delle risorse, all'alimentazione, alla mobilità si modificano i meccanismi che hanno determinato e continuano a  produrre disastri ambientali e sociali: la sostenibilità determina ridistribuzione di ricchezza, recupero della biodiversità, giustizia, sicurezza e pace. 
A fronte di questo scenario, in questi giorni a Sharm el-Sheikh, in Egitto, si sta svolgendo il 14° meeting della Convenzione sulla diversità biologica, uno degli accordi ambientali multilaterali più importanti del mondo e uno strumento chiave per lo sviluppo sostenibile con oltre 196 Stati membri e oltre 6000 partecipanti che si incontrano da oltre 25 anni dalla sua entrata in vigore.
Tra pochi giorni avrà inizio in Polonia, a Katowice, la COP 24, cruciale incontro in cui i delegati di 190 Paesi delle Nazioni UNite, le ONG, i principali gruppi di lavoro internazionali sulle questioni climatiche verificheranno a che punto è l'attuazione degli accordi sul clima sottoscritti a Parigi, durante la COP 21.
Intanto però le crisi ambientali, economiche, sociali e politiche si moltiplicano e lo stesso cittadino europeo che in maniera ostile considera gli spostamenti forzati di esseri umani deprivati di tutto, quello stesso cittadino vive come se le risorse fossero perennemente disponibili e gli equilibri alterati della natura non lo riguardassero, equivocando in maniera tragica che ognuno di noi è ecosistema e nessuno di noi ne è il padrone.

Alle persone che sono costrette, a causa di stravolgimenti determinati dal cambiamento climatico, a cercare altrove una forma di sostentamento e una vita dignitosa, è molto difficile applicare la Convenzione di Ginevra e riconoscere la protezione internazionale, per l'impossibilità di stabilire formalmente il nesso causale tra il timore fondato di persecuzione e l' "agente di persecuzione". Cioè è estremamente complesso dimostrare l'azione o l'omissione da parte di uno Stato, o di una organizzazione che di fatto controlla il territorio, in relazione all'effetto ambientale.  Ma soprattutto gli Stati europei rifiutano di affrontare la questione, modificando le norme giuridiche ( in particolar modo la rifusione della Direttiva Qualifiche) in modo da affrontare la peculiare situazione dei rifugiati ambientali.
L'ha spiegato Gianfranco Schiavone, vicepresidente di ASGI, sottolineando la necessità di un nuovo istituto giuridico europeo che introduca la nozione e  fornisca gli strumenti per riconoscere

uno specifico status di protezione (non sempre riconducibile alla nozione di status di rifugiato o a quella di protezione sussidiaria) a chi subisca la minaccia grave alla vita e alla sopravvivenza materiale derivante da un evento ambientale improvviso o progressivo, tale da costringerlo ad abbandonare il luogo di vita abituale nel Paese d'origine, nel quale non possa fare ritorno in condizioni di dignità e di sicurezza.


A livello di norme interne, il decreto sicurezza, oggetto in queste ore del voto di fiducia alla Camera dei Deputati, interviene sull'art.20 del decreto 286 del 1998, di fatto senza introdurre una specifica norma di protezione ma di fatto specificando il divieto di una modalità di espulsione.
L'attuale legislatore ha voluto che sia la Questura, organo di tipo amministrativo, a valutare se rilasciare un permesso di soggiorno per calamità quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione contingente ed eccezionale sul piano ambientale, tale da non consentire  il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza. Tale permesso di soggiorno ha durata di 6 mesi e non può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Asgi ha già avuto modo di rilevare che attribuire questo tipo di potere "comporta anche un eccessivo
dilatarsi della discrezionalità amministrativa e, così, una plausibile disparità di trattamento sul territorio nazionale. In tale modo si evidenzia anche la contraddittorietà del provvedimento legislativo che, stando alla relazione illustrativa, vorrebbe delimitare l’ambito di esercizio di tale discrezionalità alla individuazione e valutazione della sussistenza di ipotesi predeterminate nella norma."
Ha concluso Gianfranco Schiavone: " Il decreto sicurezza è una norma che presenta innumerevoli profili di illegittimità costituzionale sia perchè non conforme alla nozione di asilo delineata dall'art. 10 terzo comma della Costituzione sia perchè è in contrasto con il diritto dell'Unione Europea sulla protezione internazionale. Sicuramente andrà quindi anche sollevata tale non conformità attraverso un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione".







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