L'opinione di Gian Luigi Bettoli, Legacoop: il dictat ora è basta con l'accoglienza in case normali, con il controllo dei comuni e delle comunità locali e la gestione di operatori professionali (e solidali) delle cooperative sociali e delle associazioni. E via libera alle multinazionali delle carceri private per i migranti che sopravvivono alla "cura Regeni": comprensibile, in fondo sono l'Italia e gli "italiani brava gente"che si sono inventati il fascismo.
di Gian Luigi Bettoli
cooperatore sociale e dirigente di Legacoop
Ieri mattina un politico di "governo" - o di
governance? non mi ricordo più la distinzione
tra le due parole in Costituzione... - ha detto testualmente in radio
che "ora finiremo con l'accoglienza diffusa, e così finiranno anche
gli affari delle cooperative".
Ovviamente la
dichiarazione era a commento della ennesima pagliacciata bruxelliana; con
ognuno dei 27/28 a dichiarare di aver vinto la partita... tanto ogni
suddito deve bersi le frottole nella sua lingua.
Ma la sostanza si è
capita: ai migranti, se sopravvivono nella loro odissea verso
l'Europa, saranno riservati nuovi campi di concentramento.
Come dire: se reggono
alla "cura Regeni" della colonia libica italo-franco-egiziana, glie la sarà fatta
vedere qui da noi.
E così, basta con
l'accoglienza in case normali, con il controllo dei comuni e delle
comunità locali e la gestione di operatori professionali (e solidali) delle
cooperative sociali e delle associazioni. E via
libera, nuovamente,
alle multinazionali delle carceri private ed ai loro emuli italici, che
hanno dato così "buona" prova di se, da Gradisca d'Isonzo a Lampedusa.
Fin qui, le cose da
destra. Il che è comprensibile: in fondo, non è l'Italia che si è
inventata il fascismo? Il paese che ha praticato il "colonialismo
straccione" di leniniana memoria, coprendo i massacri africani, balcanici e
russi con la demagogia dell' "italiano brava gente"?
Che però gli
"affari" cooperativi siano genericamente additati al disprezzo, in questi
giorni, dalla stessa direttrice de "il manifesto", oltre che da svariati
articoli sullo stesso quotidiano, supera la
capacità di
pazientare di chi di sinistra (vabbé, il termine non ha più senso... ed allora
diciamolo: di chi classista, dalla parte di chi è sfruttato) è sempre
stato.
E pure lavora (il classista-operaista di cui
E pure lavora (il classista-operaista di cui
sopra) nella
cooperazione, perché crede nella democrazia economica, nell'autogestione,
nel superamento di rapporti di lavoro basati sul dominio di classe e
la corrispondente estrazione del plusvalore prodotto dai lavoratori, da
parte delle classi dominanti.
Ancora più
fastidioso, è che a sparare a zero sulla cooperazione sia un giornale che sostiene
di essere comunista. Si può capire "il fatto quotidiano",
talvolta di sinistra (mah, con quel "modello Montanelli" in testa...) in politica
interna, ma irrimediabilmente di destra in
economia e politica
internazionale. Si può capire perfino Milena Gabanelli con i suoi
emuli, che di cooperative non capiscono nulla: bastava sentirne una
trasmissione, con le evidentissime confusioni
tecniche, a dispetto
di quanto si fanno pagare.
Non che a "il
manifesto" di cooperative abbiano mai capito molto. Come dimostrano, più che
le analisi che mancano, il fallimento della precedente
cooperativa editoriale e le ridicole "riflessioni" al
proposito. Come se il
fallimento del socialismo del XX secolo non
imponesse di
ripensare seriamente agli errori fatti, ed a come praticare altrimenti i valori
dell'autogestione. Ed autorizzasse invece a parlare a vanvera, sputando
sempre sugli altri. Come se la matematica non facesse parte del
bagaglio di chi si appresta a governare l'economia: la
massaia di Lenin era
un'autodidatta colta, mica una svampita che si faceva fare la spesa
dalla serva (proletaria: ma obbligata per necessità a far di conto).
D'altronde oggi tutto
il mondo dell'informazione, produttore di semplificazioni e
tormentoni modaioli, è ormai dedito a sprezzare pubblico ludibrio su
un movimento cooperativo, inevitabilmente "rosso".
Mondo variegato, che
di colpa ne ha soprattutto una, significativamente ignorata. Ovverossia
una deriva verso il modello dell'impresa privata, che ha stinto il
rosso (e sporcato il "bianco" dell'altra parte del movimento
cooperativo). Cosa dice su questo quanto rimane della sinistra ? Nulla, il vuoto più
assoluto. La totale incapacità di analisi. Anzi, peggio: il
disinteresse, sostituito dal chiacchiericcio politichese.
Salvo l'insulto. Ci
sono cooperative che sfruttano, "spurie" e non?
Ce ne sono altre, la maggioranza, che si comportano correttamente: riuscite a distinguere? Ci sono cooperative di "compagni che sbagliano" ("perfino" quelli che facevano la "lotta armata per il comunismo", e poi si sono affidati ad uno come Buzzi?... basterebbe questa per seppellire
Ce ne sono altre, la maggioranza, che si comportano correttamente: riuscite a distinguere? Ci sono cooperative di "compagni che sbagliano" ("perfino" quelli che facevano la "lotta armata per il comunismo", e poi si sono affidati ad uno come Buzzi?... basterebbe questa per seppellire
con una amara risata
certi "rivoluzionari" degli anni 70, con il loro superficiale
ideologismo ... ) ??
Ebbene, ce ne sono altre
che lavorano sul serio, hanno chiuso i manicomi,
realizzato i servizi sociali sul territorio,
realizzato l'accoglienza diffusa . Battendosi contro le istituzioni totali,
quelle di ieri e quelle di oggi.
Ma la cooperazione è
una cosa seria. Certo, in piena crisi di identità: chi non lo può
essere, in questo mondo globalizzato dove tutti i punti di riferimento sono
saltati? Ma allora bisogna analizzare, suggerire, proporre, costruire.
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