venerdì 4 maggio 2018

Rifiuti, End of waste vero o fittizio? Stop alle scelte e decisioni degli enti locali, servono norme nazionali per sviluppare una autentica economia circolare ed escludere pratiche sulla carta virtuose, in realtà dannose per l’ambiente e la salute umana.

  


Può capitare che le autorizzazioni per esercitare impianti di recupero rilasciate da Province e Regioni, diventino un veicolo per smaltire  veri e propri rifiuti, ai quali viene impropriamente conferita la qualifica di “cessazione di rifiuto” (end-of-waste).
Il Consiglio di Stato ha detto STOP: è illegittimo il sistema "caso per caso". Il potere di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, spetta solo allo Stato, in base all’art. 117 della Costituzione italiana che attribuisce alla potestà del legislatore nazionale la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.          


di Stefano Cosolo

Secondo il Codice dell’Ambiente, un rifiuto cessa di essere tale (End of Waste) quando è stato sottoposto ad un'operazione di recupero con successo il cui prodotto sia una sostanza o  un oggetto  comunemente utilizzato per scopi specifici, esista un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto, la sostanza o l'oggetto soddisfi i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetti la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti,  l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porti a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.
Queste condizioni generali necessitano di ulteriori specificazioni che sono rimandate a criteri comunitari. In mancanza di questi è possibile per gli Stati membri decidere, per tipologie omogenee di rifiuti e relative regolamentazioni, quando un determinato rifiuto cessi di essere tale. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.
Nell’assenza di una normativa adeguata, può capitare che le autorizzazioni per esercitare impianti di recupero rilasciate da province e regioni, diventino, in  realtà, un veicolo per smaltire  veri e propri rifiuti, ai quali viene impropriamente conferita la qualifica di “cessazione di rifiuto” (end-of-waste),  contribuendo così ad inquinare l’ambiente. Se poi si considerano i casi in cui non esiste nemmeno un mercato per questi oggetti o sostanze, ciò che avviene è un vero e proprio smaltimento abusivo di rifiuti e non utilizzo di end of waste.
Avviare un’economia circolare è oggi, più che mai, urgente e indispensabile per ridurre l’inquinamento ambientale, lo spreco delle risorse del pianeta e, anche, per creare nuove prospettive economiche con relativi effetti sociali positivi.
Affinchè ciò avvenga efficacemente e con la minimizzazione dell’effetto sull’ambiente è necessaria una normativa europea e nazionale che, nella decretazione della cessazione della qualifica di rifiuto, elimini l’arbitrio “creativo” delle amministrazioni locali facilitato anche dalla continua innovazione tecnologica nel settore del recupero dei rifiuti, sia  chiara, territorialmente omogenea e facilmente applicabile (e verificabile) su tutto il territorio nazionale.
In questo senso, allora, è intervenuta la recente sentenza del Consiglio di Staton. 1129/2018 che ha dichiarato illegittimo il sistema “caso per caso” finora vigente per tutti i rifiuti non regolati espressamente dalle normative nazionali o europee, chiarendo che solo lo Stato il potere di individuare i casi in cui un rifiuto cessa di essere tale ed escludendo la competenza regionale in materia.
Una sentenza che è stata vivacemente criticata, a partire dal fatto che essa bloccherebbe lo sviluppo dell’economia circolare in Italia nello specifico settore del recupero dei rifiuti e renderebbe le discariche unica destinazione di enormi quantità di materiale.
Naturalmente le critiche, nel merito condivisibili, evitano di considerare i meccanismi speculativi che si insinuano troppo facilmente nelle diverse articolazioni green economy, ne stravolgono i contenuti e gli scopi così che l’unica utilità recuperata dai rifiuti è il vantaggio esclusivo di rilevanti interessi economici.
L’urgenza di un intervento legislativo in materia è stata evidenziata dall’Unione delle Imprese dell’Economia Circolare, con un comunicato stampa del 12 marzo 2018, preannunciando il rischio di blocco dell’operatività degli impianti di recupero: siccome il potere regolamentare, sino ad oggi, non è stato esercitato dallo Stato né dall’Unione Europea, se si escludono i regolamenti comunitari emanati per vetro, metalli e rame e il decreto nazionale sul Css-combustibile (combustibili solidi secondari), l’attività delle imprese di riciclo non ha più una copertura normativa adeguata, considerato che il decreto 5 febbraio 1998, che tra l’altro si occupa solamente di alcune tipologie di rifiuti,  è da ritenersi superato.
Dello stesso avviso anche la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome che,nella riunione del 19 aprile, ha approvato un ordine del giorno con cui  chiede esplicitamente una proposta di modifica del Decreto Legislativo 152/2006 che ha poi consegnato al Governo durante la Conferenza Stato-Regioni.
    

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